Tommaso Landolfi si laurea all'Università di Firenze in lingua e letteratura russa. Traduttore quindi di importanti autori russi, i suoi primi testi compaiono sulle riviste letterarie del tempo. Nobile aristocratico, ironico e indifferente, affascinato dai ragni, dal tappeto verde della roulette e dal caso, in cui crede dubitandone, ci ha lasciato una vasta opera letteraria, delle più pregevoli e raffinate, al di fuori del tempo, a livello dei maggiori protagonisti della sua incredibile epoca.
«In un’opera come quella di Tommas Landolfi la prima regola del gioco che si stabilisce tra autore e lettore, è che presto o tardi ci si deva aspettare una sorpresa; e che questa sorpresa non sarà mai gradevole o consolante, ma avrà l’effetto, nel più blando dei casi, d’un unghia che stride contro un vetro o d’una carezza contropelo d’una associazione d’idee che si vorrebbe subito scacciare dalla mente.» [Italo Calvino (1)]
ommaso Landolfi nasce a Pico Farnese, in provincia di Frosinone 9 agosto 1908. Da studente non si distingue per un curriculum scolastico particolarmente brillante, dato che allo studio preferisce la frequentazione dei bar e, soprattutto, dei luoghi dove si gioca d’azzardo, tuttavia, nel novembre del 1932 riesce a laurearsi all'Università di Firenze in lingua e letteratura russa con una brillante tesi sulla poetessa russa Anna Achmatova.
Frequenta la cerchia degli ermetici e conosce Carlo Bo, con cui stringe un intenso e duraturo sodalizio. Collabora a importanti testate letterarie , tra cui «Corrente» «Latteratura», a «Campo di Marte» e «Il Mondo» di Pannunzio. La sua intensa attività di lettura e i frequenti incontri con gli intellettuali fiorentini alimentano il substrato di una vasta cultura letteraria. La conoscenza del russo, del tedesco e del francese e l’amicizia con Renato Poggioli e Leone Traverso lo portano a intraprendere la traduzione di impegnativi testi, tra cui il teatro di Puskin, le poesie di Lermontov, Gogol nella sua quasi totalità, Dostoevskij, Tolstoj, Leskov e quindi Hofmannstahl, Novalis, Merimée. Una vasta e consolidata cultura, stratificata su innumerevoli e variegate letture, fa il resto e contribuisce a produrre qualcosa di unico nel panorama della Letteratura Italiana del Novecento.
Tommaso Landolfi esordisce nel 1929 su «Vigilie letterarie» con il racconto Maria Giuseppa, che descrive la bizzarra e tragica relazione tra un bislacco proprietario e la sua serva.
«Maria Giuseppa aveva grosse mani, grossi piedi e camminava sempre con un rumore da far spavento. Ma del resto l’avevo presa dalla campagna e, il primo giorno, non sapeva neppure spezzare un uovo e le dovetti insegnare a far la frittata per non restare senza pranzo. Essa diceva che era campagnola e che là in campagna lavorava soltanto i campi e andava a giornata e non si occupava mai di cucinare. Ma, alla fine che vi importa tutto questo? Ho perduto il filo... Ah, ecco. Dunque, Signori, vi dicevo che non so che diamine andassi a fare in quella casa.» (2)
Il racconto compare con altri sei nella prima raccolta di Landolfi, intitolata Dialogo dei massimi sistemi (Parenti, Firenze 1937) da cui emerge fin da subito uno stile personale, paradossale e ironico, tragico e surreale, vettore delle acute e a volte scabrose osservazioni sulla vita che compongono le storie, spesso amare, proposte dall’autore senza mai prendersi sul serio, senza mai prendere sul serio il lettore, senza mai prendere sul serio alcunché, tranne la scrittura, ma anche questa spesso in maniera all’apparenza arbitraria.
In uno dei racconti raccolti in questa sua prima opera, La Piccola Apocalisse, l’interesse della narrazione è totalmente rivolto alla parola. Tommaso Landolfi rimane ai margini del panorama intellettuale della sua epoca, ma è assolutamente rappresentativo della crisi esistenziale dell’uomo del Novecento: l’incomunicabilità, la rappresentazione letteraria come lente deformante della realtà sono prerogative onnipresenti nella scrittura landolfiana, nell'ambito di quel filone della prosa che oltrepassa i limiti del reale in direzione del fantastico.
«Inadeguato appare il tentativo di segnare nell’ambito dell’attività letteraria di Landolfi una qualche scansione di scrittore in progress: a dimostrarlo basterebbe accostare Maria Giuseppa o Mani [in Dialogo dei massimi sistemi ndr.] con uno qualsiasi dei Racconti impossibili (Firenze, Vallecchi, 1966) o con quelli di Le labrene (Milano Rizzoli , 1974) e rendersi così conto della persistenza – in più o meno estesa e più o meno felice variazio – della medesima temperie stilistica e tematica, del medesimo sottile gusto del gioco letterario, che si esplica ora nella parodia, o nella sapiente couche d’ironia stesa sull’oggetto o sul personaggio, ora in quelle che Montale definì «glosse autodistruttive» ora in uno “scandaloso” iperrealismo che nel freddo puntiglio descrittivo coltiva anche l’intento di risvegliare nel lettore l’inquietante sentimento di attrazione-ribrezzo generalmente provocato dal macabro o dal ripugnante [...]».(3)
Ne La pietra lunare (Firenze, Vallecchi, 1937) «le figure di donna che Giovancarlo immagina finiscono presto per coincidere con quella, inquietante quanto seducente, della donna-capra: Gurù “d’ossa e polpe”. Donna-animale che è impossibile decifrare e, infine, possedere, come una sirena, perché proviene da un’altra realtà, non terrestre, marina o celeste o, in questo caso, lunare. Temi e figure ripetutamente frequentate, fiabesche, surreali, immaginose: Gurù non è dimessa e priva di lusinghe come la donna-iguana di Anna Maria Ortese (L'iguana ndr); Gurù canta a tutte le ore, come le sirene di Ulisse, abita sola e, oltretutto, legge libri — fatto questo che non può non suscitare una certa diffidenza nelle vecchie del paese, che, a sentire il suo nome eccentrico, mugolano dubbiose: “Hm hm”.» (Paolo di Paolo, Il seno a punta di Gurù).
Seguono le pubblicazioni de i racconti di Il Mar delle Blatte (Roma Edizioni della Cometa, 1939, La spada (Firenze, Vallecchi, 1942).
Nel frattempo, insofferente (come quasi tutti i suoi compagni fiorentini) del regime fascista, viene arrestato nel 1943 e tradotto alle Murate, quindi dopo trenta giorni rilasciato. L'atmosfera della guerra animerà, come sempre alla sua maniera, il romanzo Racconto d’autunno (Firenze, Vallecchi, 1947). Una dimora gentilizia sul limitare della boscaglia è teatro dell'azione. All'interno un anziano signore e i suoi cani, a guardia di un segreto. Un ritratto sul muro suggerisce la presenza di una enigmatica figura femminile, di cui, nell'oscurità della notte si percepisce il profumo e il respiro. Uno spirito affascinante e terribile che riporta il lettore ai turbamenti dell'infanzia.
«Lo spirito di Gogol, presente in maniera sottile in molte opere di Nabokov – scrive Harold Bloom – raggiunge la sua apoteosi ne La moglie di Gogol [in Ombre, Firenze, Vallecchi, 1954 ndr.] forse il racconto più buffo e irritante che abbia mai letto, ideato da Tommaso Landolfi.»(4) Si tratta della “rievocazione” e al tempo stesso della “rivelazione” da parte del biografo dell’autore russo (di cui Landolfi stesso è stato lo splendido traduttore) che Gogol – che non si sposò mai e che in realtà a 43 anni si lasciò morire di fame dopo aver bruciato tutti i suoi manoscritti inediti – si era sposato con un pupazzo gonfiabile che plasmava secondo la sua fantasia e la libidine del momento.
«La cosidetta moglie di Gogol, dunque, si presentava come un comune fantoccio di spessa gomma, nudo in qualsiasi stagione, e di color carnicino, secondo usa chiamarlo, color pelle. Ma poiché le pelli femminili non sono tutte dello stesso colore, preciserò che in generale si trattava di pelle alquanto chiara e levigata, quale quella di certe brune. Esso, o essa, era infatti, è ozioso aggiungerlo, di sesso femminile».(5)
L’anno precedente aveva pubblicato LA BIER DU PECHEUR, titolo da leggersi indifferentemente nelle sue quattro varianti, come “la birra del pescatore” o come “la bara del peccatore”, “la bara del pescatore” o “la birra del peccatore”(6) ed è ispirato dalla contemplazione dell'etichetta di una fortunata marca di birra alsaziana; tutto strettamente coerente con una casualità che Landolfi erige a propria cifra rappresentativa, fino all’immedesimazione dello scrittore con l’immagine ossessiva del ragno, essere kafkianamente onnipresente nella sua opera (un po’ forse come la capra nei quadri di Chagal), insetto dal corpo flaccido, che secerne ad arte una sostanza vischiosa della quale si circonda, nella contemplativa, pigra, accidiosa attesa di catturare, letteralmente “a caso”, le piccole prede di cui si alimenta.
«In verità, questo volume, quando apparve nel ’53, segnò nella carriera pubblica di Landolfi, una svolta forte, e rese evidente quella sorta di iato, sino allora latente, e poi immedicato e immedicabile, che veniva a porsi tra un diarismo dominato dalla musa di una compiaciuta autodenigrazione e le compensazioni fantastiche, ancorché costantemente coerenti tonalmente e psichicamente, del fabulatore di “racconti surreali”. [...] Perché si capisce, lungi dall’essere composto “a caso” (una locuzione destinata ad innalzarsi a titolo, come ora sappiamo bene), è calcolatissimamente costruito, con verificabile “arte consumata”, in calcolatissima, e invano deprecata architettura.»(7)
Nel 1956 Landolfi sposa per davvero una giovane donna di Pico, Marisa, che gli dona una figlia: Idolina. Con la famiglia si stabilisce sulla Riviera ligure, ad Arma di Taggia e poi a San Remo, ritornando nella vecchia casa di Pico ogniqualvolta «la penna s’impunta e per avviarla ci vuole la mano di Dio». Il nuovo ruolo di padre e di marito lo mette di fronte a responsabilità che l’autore forse non aveva ben calcolato e che male si conformano alla sua indole irregolare, insofferente degli obblighi e incline a indulgere, da un lato alla pigrizia, dall’altro a quel brivido che solo gli trasmettono le atmosfere fumose dei casinò. Il tutto aggravato dalla sfiducia nelle proprie capacità, dalla fatalista convinzione delle proprie debolezze e dalla certezza della propria irrilevanza.
Sentimenti e opinioni che racchiude nei diari Rien va (Firenze, Vallecchi, 1963) e De moi (Firenze, Vallecchi, 1967) e che contribuiscono – più che a fornire informazioni sul loro autore – ad aggiungere mistero al suo personaggio, ovvero all’“io” che narra e firma i suoi racconti. Nelle proprie compulsive apatie e, al contrario, nelle altrettanto compulsive attività, quali il gioco d’azzardo, che rappresenta il filo conduttore della sua vita e della sua fortuna, egli “pesca” i motivi che poi sviluppa in complessi e sofisticati intrecci (su questo argomento vedi anche La maschera grottesca del nulla e della morte).
Ancora il gioco e il caso. Insieme questi due elementi assumono un’importanza fondamentale nella vita e nell’opera di Tommaso Landolfi. Italo Calvino, a cui si deve la cura di un’antologia dell’opera landolfiana (8) delinea un collegamento tra il “caso” che guida la dea bendata al tavolo da gioco e l’involuta poetica dell’autore.
«“A caso”: la stessa locuzione, nel racconto Mano rubata, diventa programma esistenziale: “Vivere a caso”; e poi compare come titolo d’un racconto (e nel volume che lo contiene: A caso, 1975) [...] In verità il caso era un nume cui Landolfi tributava una devozione fervorosa, ma della cui esistenza e dei cui poteri egli era continuamente portato a dubitare. Se un assoluto determinismo domina il mondo, il caso è reso impossibile e la nostra sorte è una condanna senza scampo»(9)
Calvino prosegue con la clinica osservazione di un Landolfi colto al Casinò di San Remo, concentrato a seguire le evoluzioni della pallina sulla ruota della roulette, a cui partecipa con puntate piazzate apparentemente “a caso”, o “a casaccio”, diremmo noi.
Anche questo particolare descrive un che di compulsivo, da ascrivere forse all’origine e alla personalità aristocratica dell’autore (che nobile era davvero e anzi si definiva «Ultimo forse rappresentante genuino della gloriosa nobiltà meridionale») che lo portava a contemplare le cose dall’alto di una suprema indifferenza, anche quando si trattava delle cose a cui riservava maggior importanza.
«Fatto sta che avevo, a vederlo maneggiare i gettoni sul tappeto verde (e riflettendo a quell’a caso che tornava come un motto), stabilita un’equiparazione tra lui giocatore e lui scrittore: in entrambi c’era da una parte l’immedesimarsi in una forma o formula rigorosamente stabilita che potesse contrapporsi al caos e contenerlo, e dall’altra il gesto di sovrana nonchalance che sdegna ogni opera e ogni valore, perché l’unico fondamento di ogni atto e discorso sta nella costellazione caso-caos-nulla-morte, verso la quale, il solo atteggiamento possibile è quello di una contemplazione ironico-disperata.»(10)
Questa indifferenza si spinge fino all’atteggiamento di distacco nei confronti della propria opera letteraria, e alla superficialità riservata alla correzione delle bozze, salvo poi ridersela compiaciutamente degli errori che comparivano “a caso” nell’opera pubblicata.
I particolari di questa vita, a volte scabrosi, indisponenti come lo sono le inutili provocazioni, che danno la sensazione di una vita “buttata via”, fanno da contorno a un’opera che è delle più pregevoli e raffinate, al di fuori del tempo, a livello dei maggiori autori della sua incredibile epoca, come Borges, Nabokov e pochi altri. Come riconoscimento di tale realizzazione riceverà i maggiori premi letterari italiani, dallo Strega al Campiello, al Viareggio, al Bagutta, al Pirandello, tra gli altri.
Muore a Ronciglione, Viterbo, nel 1979.
Dal 1992, le maggiori opere, pubblicate in precedenza da Vallecchi ed altri editori e ormai fuori catalogo, vengono ripubblicate dalla casa editrice Adelphi a cura di Idolina Landolfi, figlia dell'autore. Nel 1996, sotto la presidenza della stessa, nasce il Centro Studi Landolfiani, che pubblica il bollettino «Diario perpetuo».
Per esprimere la tua opinione e partecipare al dibattito aperto innescato su questo autore:
NOTE
(1 ) Italo Calvino, L’esattezza e il caso, in Tommaso Landolfi, La più belle pagine, Rcs Libri, 1982.
(2) Tommaso Landolfi, Maria Giuseppa in Dialogo dei massimi sistemi, Parenti, Firenza, 1937.
(3) Eugenio Ragni, Cultura e letteratura dal primo dopoguerra alla seconda Guerra mondiale, in Storia della Letteratura Italiana, Salerno Editrice 2000
(4) Harold BloomCome si legge un libro e perché, Rcs Libri, 2000
(5) Tommaso Landolfi, La moglie di Gogol in Ombre, Firenze, Vallecchi, 1954.
(6) Letteratura Italiana vol.XIX, Einaudi 2008
(7) Edoardo Sanguineti, La bara dell’accidioso, in Il chierico organico, Feltrinelli 2000
(8) Tommaso Landolfi, La più belle pagine, Rcs Libri, 1982.
(9) Italo Calvino, L’esattezza e il caso, opera citata.
(10) ibid.
BIBLIOGRAFIA
Racconti, romanzi, diari e poesie
Dialogo dei massimi sistemi, racconti, Firenze: Parenti, 1937; Milano: Rizzoli, 1975; a cura di Idolina Landolfi, Milano: Adelphi, 1996. La pietra lunare. Scene della vita di provincia, romanzo, Firenze: Vallecchi, 1939, 1944; Milano: Mondadori, 1968; con una nota di Andrea Zanzotto, Milano: Rizzoli, 1990; a cura di Idolina Landolfi e con l'appendice Dal giudizio del signor Giacomo Leopardi sulla presente opera, Milano: Adelphi, 1995. II mar delle blatte e altre storie, racconti, Roma: Edizioni della Cometa, 1939; Milano: Rizzoli, 1975. La spada, racconti, (contiene anche la ristampa de II mar delle blatte e altre storie), Firenze: Vallecchi 1942, 1944; Milano: Rizzoli, 1976. Il principe infelice, romanzo per bambini, Firenze: Vallecchi, 1943, 1954; Giunti Marzocco, 1985; come Il principe infelice e altre storie per bambini, Milano: Adelphi, 2004. Le due zittelle, racconto, apparso a puntate su «Il Mondo» nel 1945; in volume, Milano: Bompiani, 1946; Milano: SE, 1985; a cura di Idolina Landolfi, Milano: Adelphi, 1992. Racconto d'autunno, romanzo, Firenze: Vallecchi, 1947, 1963; Milano: Rizzoli, 1975, 1990. Cancroregina, racconto, Firenze: Vallecchi, 1950; Milano: Guanda, 1982. La biere du pecheur, diario, Firenze: Vallecchi,1953; Milano: Longanesi, 1971; Milano: Rizzoli, 1989; a cura di Idolina Landolfi, Milano: Adelphi, 1999. Ombre, racconti, Firenze: Vallecchi, 1954. La raganella d'oro, racconto per bambini, Firenze: Vallecchi, 1954; ristampato in AA. VV. La bottega dello stregone, a cura di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, Milano: Editori Riuniti, 1985. Ottavio di Saint-Vincent, racconto, apparso in cinque puntate su «Il Mondo» tra il dicembre 1956 e il gennaio 1957; in volume, preceduto dalla ristampa di Le due zittelle, Firenze: Vallecchi, 1958; Milano: Rizzoli, 1979; Milano: Adelphi, 2000. Mezzacoda, Venezia: Il Sodalizio del Libro, 1958.
Landolfo VI di Benevento, poema drammatico in sei atti, Firenze: Vallecchi, 1959. Se non la realtà, raccolta di articoli precedentemente apparsi su «Il Mondo» e altre riviste, Firenze: Vallecchi, 1960. In società, racconti precedentemente apparsi su «Il Mondo» e altre riviste, Firenze: Vallecchi, 1962. Rien va, diario, Firenze: Vallecchi, 1963; Milano: Longanesi, 1970; Milano: Rizzoli, 1984; Milano: Adelphi, 1998. Scene dalla vita di Cagliostro, scene scritte per un programma televisivo trasmesso dalla Rai-TV il 14 maggio 1961; in volume, Firenze: Vallecchi, 1963. Tre racconti, Firenze: Vallecchi, 1964; con introduzione di Carlo Bo, Milano: Rizzoli, 1990. Un amore del nostro tempo, romanzo, Firenze: Vallecchi, 1965; a cura di Idolina Landolfi, Milano: Adelphi, 1993. Racconti impossibili, Firenze: Vallecchi, 1966. Des mois, diario, Firenze: Vallecchi, 1967; Milano: Longanesi, 1972; a cura di Idolina Landolfi, con prefazione di Enzo Siciliano, Milano: Rizzoli 1991. Colloqui, racconti per bambini, in AA.VV., Sei racconti, Milano: Rizzoli, 1967. Un paniere di chiocciole, raccolta di articoli precedentemente apparsi sul «Corriere della Sera», Firenze: Vallecchi, 1968. Filastrocche, in AA.VV., Le nuove filastrocche, Milano: Rizzoli, 1968. Faust '67, testo teatrale, Firenze: Vallecchi, 1969; rappresentato a Roma, Teatro Arlecchino, maggio 1969, regia di Sandro Sequi. Breve canzoniere, dialoghi e poesie, Firenze: Vallecchi, 1971. Gogol a Roma, recensioni, 1971; Milano: Adelphi, 2002. Viola di morte, poesie, 1972. Le labrene, racconti, 1974. A caso, Milano: Rizzoli, 1975. Il tradimento,v 1977. Del meno, Milano: Rizzoli, 1978 .
Antologie e raccolte
Racconti (contiene, con poche variazioni, i racconti pubblicati dall'autore fino ad Ottavio di Saint-Vincent incluso), Firenze: Vallecchi, 1961. Le più belle pagine di Tommaso Landolfi, a cura di Italo Calvino, 1982. Il gioco della torre, raccolta di racconti pubblicati sul «Corriere della Sera», 1987. Opere, I (1937-1959), a cura di Idolina Landolfi, Milano: Rizzoli, 1991. Opere, II (1960-1971), a cura di Idolina Landolfi, Milano: Rizzoli, 1992.
Traduzioni
Nikolaj Vasil'evic Gogol', Racconti di Pietroburgo, 1941; Milano: Adelphi, 2000. Novalis, Enrico di Ofterdingen, 1942. Jacob e Wilhelm Grimm, Sette fiabe. Prosper Mérimée, I falsi Demetrii, 1944. Aleksandr Puškin, La dama di picche, Il fabbricante di bare, Il mastro di posta, 1948. Ivan Turgenev, Il prato di Bežin, La reliquia vivente, Mumù, 1948. Fëdor Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, 1948; Firenze: Vallecchi, 1964; Milano: Longanesi, 1971 (coll. "I libri pocket", 295); con un' introduzione di Alberto Moravia, Milano: Rizzoli, 1975, 1984 (coll. "BUR", L54), 1990 (coll. "BUR Superclassici, 29); con uno scritto di Tzvetan Todorov, Milano: SE, 1993 (coll. "L' altra biblioteca", 69); a cura di Idolina Landolfi, Milano: Adelphi, 1995, 2007 (coll. "Piccola Biblioteca Adelphi", 356); con illustrazioni di Flavio Costantini, Milano: Nuages, 1997 (ISBN 8886456247). Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il'ič, Tre morti, 1948. Anton Cechov, La lettura, Kaštanka, 1948. Ivan Bunin, La grammatica dell'amore, 1948. Charles Nodier, La novena della Candelora, Inés de Las Sierras, 1951. Hugo von Hofmannsthal, Le nozze di Sobeide, Il Cavaliere della Rosa, 1959. Aleksandr Puškin, Poemi e liriche, 1960; traduzione e introduzione di Tommaso Landolfi, Milano: Adelphi, 2001. Aleksandr Puškin, Teatro e favole, 1961; Milano: Biblioteca Adelphi, 2005. Mikhail Yuryevich Lermontov, Liriche e poemi, 1963. Fëdor Tjutčev,, Poesie, 1964. Nikolai Leskov, Il viaggiatore incantato, Torino: Einaudi, 1967; a cura di Idolina Landolfi, Milano: Adelphi, 2004.
Bibliografia della critica
Graziella Barnabò Secchi, Tommaso Landolfi, Milano: Mursia, 1978. Tarcisio Tarquini, Rileggendo Landolfi, in «Libri e riviste d'Italia» n.32 (1980), pp. 267-269. Romana Capek-Habekovic, Some aspects of the grotesque in the works of Tommaso Landolfi, dissertazione, Ann Arbor: University microfilm international, 1984. Landolfi. Libro per libro, a cura di Tarcisio Tarquini, introduzione di Walter Pedullà, Alatri (Frosinone): Hetea Editrice, 1988. Barbara Villiger Heilig, Leidenschaft des Spiels. Untersuchung zum Werk Tommaso Landolfis, Tübingen: Stauffenburg, 1989. Marcello Verdenelli, Prove di voce: Tommaso Landolfi, Alessandria: Edizioni dell'Orso, 1997. Marcello Carlino, Landolfi e il fantastico, Lithos, Roma, 1998
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