CORRADO ALVARO: SCRITTORE, SAGGISTA, POETA E DIARISTA;. FONDATORE NEL 1945 DEL SINDACATO NAZIONALE SCRITTORI

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Corrado Alvaro (1895-1956)


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iglio di un maestro elementare, nasce a San Luca, nel cuore dell’Aspromonte calabro, il 15 aprile 1895. Il padre, fondatore di una scuola serale per contadini e pastori analfabeti, gli dà la prima istruzione e gli fa conoscere e sentire profondamente la natura e la cultura della sua terra. Dopo aver terminato gli studi elementari, il padre lo iscrive al Collegio dei Gesuiti di Frascati. Ama studiare, per cui trae buon profitto e incomincia a scrivere poesie e racconti.

Dal Collegio di Frascati viene però espulso dopo i primi cinque anni di ginnasio, perché sorpreso a leggere testi considerati proibiti. Si iscrive così in un collegio di Amelia in provincia di Perugia, dove completa gli studi ginnasiali. Si dedica molto allo studio della letteratura, e in particolare, di alcuni autori: Carducci, Pascoli e D’Annunzio. Nel gennaio del 1915 è chiamato alle armi, assegnato a Firenze a un reggimento di Fanteria. All’inizio di settembre è combattente della Prima guerra mondiale, viene ferito alle braccia sul monte Sei Busi, nei pressi di San Michele del Carso, e per questo motivo dovrà sottoporsi a una lunga degenza presso gli ospedali militari di Ferrara prima e di Firenze poi.

Nel settembre del 1916 è a Roma dove incomincia a collaborare al «Resto del Carlino» e, quando ne diventa redattore, si trasferisce a Bologna dove sposa Laura Babini. Qualche anno dopo il matrimonio e la nascita del figlio Massimo, si trasferisce a Milano dove viene assunto come redattore del «Corriere della Sera». Nel 1922 pubblica il suo primo romanzo L’uomo nel labirinto; l’anno dopo è chiamato a Roma come redattore del «Mondo» di Giovanni Amendola, dando così una connotazione ben precisa al suo pensiero politico, chiaramente antifascista. Dopo il delitto Matteotti, è tra i cinquanta firmatari dell’Unione nazionale delle forze democratiche, guidata da Amendola. Collabora poi a «La Stampa» sulle cui pagine pubblica le pagine iniziali di Gente in Aspromonte, e ad altri giornali e periodici, per molti anni ancora. Pubblica i racconti L’amata alla finestra (1929) e Incontri d’amore (1940); i romanzi Vent’anni (1930), Gente in Aspromonte (1930), che gli vale il primo importante premio letterario italiano, bandito da la «Stampa» nel 1931, L’uomo forte (1938).

Nel 1941 torna a San Luca per i funerali del padre. In seguito, si recherà più volte in Calabria a far visita alla madre e al fratello, don Massimo, parroco di Caraffa del Bianco, un paese vicino San Luca.

Nel ’43 dirige «Il popolo di Roma», proprio durante il brevissimo periodo (45 giorni) in cui fu nominato capo del Governo, il generale Pietro Badoglio. Con l’occupazione tedesca di Roma, colpito da mandato di cattura, si rifugia a Chieti; nel giugno del ’44 ritorna a Roma.

Nel 1945 fonda il Sindacato Nazionale Scrittori, per il quale ricopre la carica di segretario fino alla sua morte, e la Cassa Nazionale Scrittori.

Nel 1946 esce L’età breve, primo romanzo del ciclo Memorie del mondo sommerso.

Alvaro è anche saggista, poeta e diarista eccellente. Al riguardo si possono citare opere come Calabria, Viaggio in Turchia, Itinerario italiano, Quasi una vita, Ultimo diario e le raccolte di poesie Il viaggio e Poesie grigio-verdi.

Vive e lavora tra Roma, nell’appartamento di Piazza di Spagna, e Vallerano, nei Monti Cimini, in provincia di Viterbo, dove possiede una casa in campagna.

Nel 1955 Bompiani pubblica I settacinque racconti. Esemplare la novella Il carnefice disattento, la storia di una donna che, rinchiusa nel forno di un lager nazista, riesce a scappare grazie alla disattenzione del carnefice nel chiudere adeguatamente la porta del forno — crudele ironia della sorte. La novella Un fatto di cronaca è concepita sotto forma di réportage realizzato da un gruppo di giornalisti arrivati in un quartiere povero.

Già nel 1954 Corrado Alvaro è colpito da un tumore addominale per cui si sottopone a un delicato intervento chirurgico. Ma la malattia si aggrava, ha colpito anche i polmoni, muore nella sua casa di Roma l’11 giugno del 1956, lasciando incompiuti alcuni romanzi e vari altri inediti. La cerimonia funebre, nella chiesa di Santa Maria delle Fratte, viene officiata dal fratello, don Massimo. È sepolto, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero di Vallerano

Postumi, a cura di Arnaldo Frateili, sono stati pubblicati alcuni suoi romanzi incompiuti o non rifiniti: Belmoro, Mastrangelina, Tutto è accaduto.

Corrado Alvaro è rimasto per tutta la vita, anche nelle opere di ispirazione più vasta, non ambientate nella regione che gli dette i natali (per es. ne L’uomo forte), legato alla concezione dolorosa dell’esistere che è della plebe calabrese, e ne ha derivato una sorta di visione tragica, che ha però una sua precisa connotazione.

Infatti, con le sue opere, Alvaro rinnova una tradizione gloriosa della nostra letteratura, quella della narrativa a ispirazione regionale e meridionale, rappresentata da grandi autori quali Verga, Capuana, De Roberto e Pirandello, ma con una differenza sostanziale: agli occhi di questi autori, la società meridionale appare come qualcosa di immutabile, senza speranza, soggetta a una fatalità di tristezza, sofferenza, subalternità, contro la quale nulla poteva, nemmeno la volontà e la forza degli uomini e della storia.

Agli occhi di Alvaro, invece, quel mondo arcaico fatto di ignoranza, superstizione, povertà e tragico fatalismo, è già sgretolato e in parte sommerso, è un mondo giudicato con gli occhi della memoria.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 22 Marzo 2004
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