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Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952)


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ato a Polizzi Generosa, in provincia di Palermo, nel 1882, Giuseppe Antonio Borgese fu figura di spicco del panorama intellettuale italiano del primo Novecento. Profondo conoscitore di lingue e letterature straniere, collaborò a numerose riviste e giornali, e si distinse sia nell’ambiente accademico (fu docente di letteratura tedesca e di estetica a Torino, a Roma e a Milano) sia in quello della cultura militante, dove peraltro mantenne sempre una posizione libera e distaccata rispetto alle correnti dominanti.

La sua autonomia giungerà al culmine con il rifiuto di prestare il giuramento richiesto dal regime fascista ai professori universitari, scelta che lo costrinse a trasferirsi in America, dove visse dal 1931 al 1949, insegnando in varie università.

Il suo percorso critico prendeva le mosse dallo storicismo di stampo crociano: fu proprio Croce a fare pubblicare nel 1903 la sua tesi di laurea, la Storia della critica romantica in Italia, per la quale ebbe anche parole di lode; il giovane Borgese, inoltre, subì il fascino e l’influenza di D’Annunzio e del suo nazionalismo superomistico, suggestioni chiaramente evidenti nella rivista «Hermes», da lui fondata nel 1906. Ma già nel 1909, in un saggio su Gabriele D’Annunzio, queste posizioni apparivano completamente superate, e all’estetismo dell’arte per l’arte era venuta sostituendosi un concezione dell’arte “per la vita”, una vita intesa, come nota Ferroni, «nel suo integrale spessore umano e morale», vista e rappresentata in «un’organicità e una drammaticità in contrasto non solo con l’estetismo dannunziano, ma anche con il frammentismo vociano e con la stessa nozione di “liricità”». Con questa sua profonda maturazione, Borgese riuscì a superare il provincialismo culturale di tanta borghesia italiana di inizio secolo, ponendosi sullo stesso livello delle maggiori esperienze europee contemporanee, come mostrano le tre serie di saggi La vita e il libro (1910-13); la modernità del suo pensiero critico trova conferma nel fatto che egli fu uno dei pochissimi ad apprezzare subito la narrativa di Tozzi così come, alcuni anni più tardi, Gli indifferenti di Moravia (1929).

Nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale fu un interventista convinto, ma gli esiti umani e culturali della guerra suscitarono in lui una profonda e dolorosa delusione, che trova piena espressione nel suo romanzo Rubè (1921): divisa in quattro parti, l’opera narra le vicende di un intellettuale piccolo-borghese meridionale, Filippo Rubè che, così come l’autore, guarda con giovanilistica speranza alla guerra e al futuro da essa annunciato. Il romanzo descriverà il duro contrasto tra questo entusiasmo prebellico e la disillusione dell’esperienza vera e propria, in cui l’uomo è fagocitato da un ingranaggio mostruoso e alienante che non gli concede di reagire, né tanto meno di esprimere la propria individualità: illusorio è l’intento di intervenire e modificare il corso degli eventi storici. Particolarmente significativo è il finale, dove Rubè, capitato per caso in mezzo a una manifestazione socialista a Bologna, finisce travolto da una carica di cavalleggeri e ciò avviene, sottolinea Luperini, «senza che nessuno riesca a capire se era dalla parte dei fascisti o da quella dei socialisti rivoluzionari: che è intuizione niente affatto spregevole della ambiguità sovversiva della piccola borghesia dell’età giolittiana». Lo stesso clima di disillusione, ma con in più una nuova prospettiva di propositività, si incontra anche nel volume Tempo di edificare (1923), in cui Borgese ribadisce il suo rifiuto del frammentismo di stampo vociano per recuperare un modello romanzesco fondato su strutture compatte e ampie, che dia spazio non solo alla storia, ma anche ai nuovi territori esplorati dalla psicologia moderna.

Sposò in prime nozze Maria Freschi, letterata e poetessa, da cui ebbe due figli: Leonardo e Giovanna. Negli Stati Uniti incontrò Thomas Mann, a cui fu legato da vincoli di amicizia e non solo: conosciuta la figlia di questi, Elisabeth, se ne innamorò e, divorziando dalla prima moglie, si unì a lei in matrimonio. Rientrato in Italia dopo l’esilio statunitense, Borgese visse per lo più a Milano, dove collaborò anche al «Corriere della Sera»; morì a Fiesole nel 1952.

A cura della Redazione Virtuale

15 gennaio 2001
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Zazzà (z@tin.it), 22/04/03

leggendo Rubè mi sono arcideluso ed indignato (anche se divertito, mi è sembrato un libro sincero). ma questi liberali, borghesi, provinciali, che cosa avrebbero da insegnare a noi delle estra-urban periferie ? Mi sembra siamo molto meglio noi altri!




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