CLAUDIO DAMIANI, IL POETA CHE ATTRAVERSA DA SOLO LA DIMENSIONE DELL'UMANO CON LA PROPRIA ESPERIENZA

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Claudio Damiani (1957)


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laudio Damiani è uno di quei poeti racchiusi in una dimensione percettiva "perimetrata", ma non per questo limitante o difensiva, o peggio ancora auto-referenziale. Tutt’altro. Infatti questo autore che risiede a Roma (adottivo nella capitale e nato in Puglia), fa venire in mente l’esattezza di una provocazione, se vogliamo definirla tale, di Paolo Volponi, il quale diceva esplicitamente: «Locale fa rima con universale, è localistico che fa rima con particolaristico».

Damiani è universale, sia quando scrive della sua amata Sabina, sia quando si “immerge” naturalisticamente nel laghetto di Fraturno, sia quando tocca l’essenza più profonda nello sguardo in superficie dell’amato albero di noci o della stradina trasfigurata, per un attimo, in una misteriosa fanciulla.

I luoghi intimi di Damiani sono conchiusi, dicevamo, sono i soliti, ma si estendono in un ampio panorama dal quale scorgere l’immaginazione indefettibile del mondo intero, perfino del "dopo". Questa poesia innocente e creaturale, sulla linea del Saba domestico, è un esempio raro di come San Francesco e Orazio siano ancora presenti, non solo nella tradizione, ma anche nel migliore presente così frammentato e non classificabile, fortunatamente, quale è il panorama odierno della poesia italiana.

Damiani ha molte affiliazioni, ma si distingue per quel timbro inconfondibile, marcato, che specie di questi tempi non è poco. È stupefacente la sua capacità di far entrare il lettore nei meandri del verso al primo impatto, verso non intaccato da una vena sperimentalista e speculare. La combinazione dei materiali linguistici non nasce, pertanto, da un fondo misterioso, irregolare. No, Damiani utilizza il gergo comune per scrivere poesia, perché non fa mai il verso al poetico, ma ricerca e trova le cose poetiche che parlano da sé, con una definizione che ha codici saldi, mai forzati. Il corpo del mondo è la sua casa, è il suo tempo, è la sua risoluzione compatta del dire. Il piacere della lettura non assapora il retrogusto, ma sempre il sapore che percorre un palato fresco.

Fraturno (Roma, Abete, 1987) segna l’esordio, in un’autenticità struggente che può essere emblematizzata negli oggetti che provano sentimenti, perché la natura non è mai distante dall’uomo, anzi è un tutt’uno con esso, respira e sogna con l’ambiente.

«Albio è il piccolo noce che è a sinistra / della strada salendo dalla casa / al cancello. Passando stamattina / l’ho guardato e ho veduto che aveva / fatto delle nocette, a coppie, già / grandine, verdi lucide, un po’ rade, …»

Tra le altre pubblicazioni di Claudio Damiani ricordiamo La miniera (Roma, Fazi, 1997), in cui i luoghi reali e mentali del piccolo borgo di Morella rappresentano la conservazione di quella lunga stagione, che è l’infanzia, proiettata in un’invariabile nitidezza dell’adesso, unico blocco dell’innocenza creaturale e immacolata.

Ma non si dimentichi quello che spinge il poeta, nel suo ordine intimista, a sondare lo spazio immaginario e tutto da scoprire: è spesso il dubbio metafisico il sentore concepito con lo sguardo stupefatto del bambino.

In Eroi (Roma, Fazi, 2000) esplode il senso emotivo dell’amore e della morte, uniti nella speranza che qualcosa debba ancora accadere. Il dialogo con il figlio, riportato integralmente così come è avvenuto, è il centro motore di una vitale quiete che parte da lontano e arriva lontano, un ragguaglio nell’occhio del fanciullino, dove l’esempio del Pascoli appare incrollabile, in un insieme che tutto vede e tutto rende più grande.

«Giovanni, tu giustamente dici / meglio stare qui che nel cielo / quando saremo morti / perché qui sei con i tuoi cari, / sai dove sei, anche se non sempre sei contento, / qualche volta sei triste, qualche volta arrabbiato, /invece in cielo non sai con chi sei, / non si capisce bene dove e come si starebbe / e ti fa un po’ paura di stare così in alto, / e non si capisce dove si poggerebbero i piedi. / E anche io penso: Giovanni, in cielo, ti rivedrò / o non ti rivedrò? / Ma certo, certamente ci rivedremo, / io ti aspetterò e tu verrai, / e poi staremo lì, anche se non si sa bene in che modo, / anche se non si sa bene, non importa»

Damiani afferra un simbolo mitico, quello dell’età migliore, che traccia con un segno indelebile, come quelle matite che non si cancellano più nel foglio di carta. Il filo conduttore della sua poesia ha l’espressione candida e trasognata del padre che si riconosce nel figlio, che tenta perfino, ci sembra, di assomigliargli. Abbiamo qui l’identificazione con l’indispensabile stupore di cui parlavamo, e per dirla alla Bertolucci (altro poeta di luoghi vicino a Damiani) l’età è un dato anagrafico, perché il poeta non si accorgerà mai di essere diventato prima adulto e poi anziano. È cioè stazionato in un’età sospesa, indefinita numericamente, “irresponsabilmente” grata a l’esistenza per la consapevolezza che scaturisce proprio dalle cose poetiche, costituzionalmente emerse all’evento in sé poetico.

Come scrive Roberto Galaverni nel suo Dopo la poesia, volume che raccoglie saggi sui poeti tra le letture del nostro tempo, le forme distintive di Damiani non costituiscono né la possibilità di sprofondamenti insondabili nel regno dell’informe, né il termine ultimo di un afflato panico e vitalistico. Le forme distintive sono i luoghi della concordia, della misura, dell’armonia, della visibilità degli affetti. Il luogo dell’amore si confonde con l’amicizia, ma, aggiungiamo, anche con la sensitività di un felice esito sul "come andrà a finire". E siamo anche convinti che sarà questa la strada che Damiani continuerà a percorrere, in un dialogo ininterrotto da quell’osservatorio privilegiato e disincantato, nell’attesa e nell’anelito di immaginare Dio, il mondo che sta sopra di noi, quando nel silenzio della società sempre più meccanizzata e asettica, si respira un’aria stantia. Quella società dalla quale il poeta di distacca volutamente, attraversando da solo la dimensione dell’umano con la sua esperienza che è la faccia esatta della sua poesia, come in un lancio della moneta che torna sempre a ricadere dalla stessa parte.


Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo in provincia di Foggia, vive a Roma. Ha pubblicato le raccolte poetiche: Fraturno (Roma, Abete, 1987); La mia casa (Forte dei Marmi, Pegaso, 1994); La miniera (Roma, Fazi, 1997); Eroi (Roma, Fazi, 2000); Albio e altri eroi (Centro Studi Franco Scataglini, Comune di Ancona, 2001).
Ha curato i volumi Almanacco di primavera. Arte e poesia (Roma, L’Attico, 1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Roma, Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Milano, Mondadori, 2000).
È stato tra i fondatori della rivista «Braci» (1980-’84).

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 30 ottobre 2003
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