CHI SI NASCONDE DIETRO IL NOME DI ELENA FERRANTE? CHI DICE GOFFREDO FOFI, CHI UNA DONNA IN CARNE E OSSA

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Elena Ferrante


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«Assenza, più acuta presenza» [Attilio Bertolucci]

necessario che un libro abbia un volto? Una voce? Una presenza che riceva i premi durante le ormai sempre più numerose manifestazioni letterarie? Il Festival della Letteratura di Mantova, i Saloni del Libro, le presentazioni che anticipano l’uscita dei romanzi sembrerebbero dimostrare di si. Sembrerebbe che i lettori abbiano sempre più necessità di ascoltare le parole degli scrittori, dagli scrittori che le hanno scritte.

Elena Ferrante sfugge a questa nuova tendenza, ma in realtà non sfugge a coloro che entrano nel suo mondo, né utilizza questa “assenza” per farla divenire motivo di una mondanità del pettegolezzo. Attilio Bertolucci scriveva «Assenza, più acuta presenza». Ecco, saremmo più portati a pensare questo di lei. Lei è presente nelle sue parole. In maniera lancinante oseremmo dire, forte, acuta.

Una scrittrice raffinata ed elegante prima di essere un’autrice misteriosa e schiva. Una narratrice che fin dal primo romanzo è riuscita a scavare nelle pieghe dell’animo umano e a farne uscire un romanzo quale L’amore molesto a cui la straordinaria attrice Anna Bonaiuto ha dato il volto (L’amore molesto, Mario Martone, 1995).

Elena Ferrante non vuole essere un personaggio pubblico. Non andò a ritirare il premio Oplonti né il premio Procida Elsa Morante che L’amore molesto le fece vincere. Nessun galà di presentazione né interviste in pubblico ad eccezione di alcuni scambi epistolari tenuti con Mario Martone in occasione della lavorazione del film, di un’intervista rilasciata al quotidiano «L’Unità» nel settembre 2002 e di alcune risposte filtrate dalla casa editrice E/O a Goffredo Fofi. Sono in molti a pensare che dietro il nome di questa donna misteriosa si celi proprio Goffredo Fofi. Ma al di là di alcuni “indizi” che la identificano come necessariamente partenopea per la presenza forte di Napoli in entrambi i romanzi, Elena Ferrante ha fisicità nei suoi libri. Forse perché non crede al culto dell’effige, forse perché vuole che i lettori prescindano dalla sua immagine e costruiscano su di lei il proprio mondo, le proprie emozioni.

E se fosse avvenente, bella, sensuale, crederemmo di meno o di più alla forza tragica delle sue descrizioni di donna combattiva, amazzone e guerriera che prende il mondo su di sé e lo porta avanti nonostante tutto il dolore? E se non fosse questa Sofia Loren della letteratura ma un omino magro saremmo forse delusi? Qualcuno pensa viva in Grecia, che si sia poi trasferita a Torino. Come la protagonista dell’ultimo romanzo I giorni dell’abbandono uscito a distanza di dieci anni dall’altro.

Ecco noi crediamo che Elena Ferrante non sia un fantasma come molti la definiscono ma una donna che scrive in maniera intrigante e che ha deciso come scelta di linguaggio quella radicale ed essenziale di far vedere e parlare la parola.

La scrittura e la carne. Il sangue delle parole, e nonostante tutto la raffinatezza, la classicità. Questo lo stile di Elena Ferrante ne L’amore molesto e I Giorni dell’abbandono. In entrambi la figura di una donna a fare i conti con se stessa, con il proprio passato. Rapporti di odio e di amore, quelli verso la madre nel primo romanzo e quelli verso un marito che abbandonandola, morendo quindi in qualche modo, le permette di rivivere.

Virginia Woolf, che della figura della donna ha parlato nella maniera più profonda e perturbante, da Una stanza tutta per sé come spazio necessario per la scrittura femminile, a Orlando nel suo doppio maschile e femminile, ne La Signora Dalloway ci mette di fronte alla fugacità dell’esistenza e della sua incompletezza proprio dopo la morte di Septimus Warren Smith. Qualcuno deve morire, sembrano dirci queste scrittrici, qualcosa di doloroso e profondamente lacerante deve avvenire perché noi possiamo riguardare alla nostra vita; perché passato e presente possano confondersi, in questo tempo nuovo che è quello del ricordo, della memoria che va a ripercorrere quello che non è più e lo fa avvenire pensandolo, o semplicemente riguardandolo.

Ora, Elena Ferrante e Virginia Woolf ben si differenziano per lo stile e l’andamento musicale delle loro narrazioni. Ma entrambe sono animate dal desiderio di penetrare l’interiorità dell’anima. Ci verrebbe più semplice paragonare la scrittura della Ferrante a quella de La donna spezzata di Simone de Beauvoir. Per uno stile lucido, spoglio, e proprio per questo forte e intenso. Quello delle grida che finalmente si liberano. Sopite, trattenute e poi all’improvviso ritrovate, nel dolore, nei vuoti che possono riempirsi.

Ma Elena Ferrante porta avanti anche la tradizione della Morante e della Ortese. Si inscrive quindi in una ricerca provocatoria e primitiva del sentire umano con tutte le contraddizioni della solitudine e della ricerca dell’altro. Nessuna finzione letteraria per queste scrittrici. Tutto è vita vera. Soprattutto i loro romanzi. La vita del resto ha i tempi del romanzo. Fatica e attesa del piacere…

Come Delia ne L’amore molesto scopre nuovi lati della propria persona nell’indagare sulla morte misteriosa della madre, allo stesso modo Olga ne I giorni dell’abbandono scopre lati di sé che non conosceva. Costruisce una nuova identità di sé. Una nuova donna. Perché, proprio come ha più volte detto Simone de Beauvoir, «Donne non si nasce, si diventa», e lo si diventa solo quando si ha il coraggio di «plonger les mains dans la merde», sembra rispondere dall’altro lato Jean-Paul Sartre, ne Le mani sporche. Ed è proprio in atmosfere pesanti e soffocanti che Elena Ferrante ambienta le sue storie, nelle immondizie del proprio passato, alla ricerca dei propri fantasmi rimossi e maleodoranti. Uno sporco che libera un’enorme sensualità diventando candido.

Per questo i suoi romanzi possono essere considerati thriller dell’anima alla ricerca delle ombre nel caos delle paure e dei nemici con il coraggio di compiere un viaggio negli inferi dove l’unica salvezza è ritrovarsi.

In quell’intervista su «L’Unità», alla domanda sul perché aveva deciso di non diventare un personaggio pubblico, Elena Ferrante rispondeva così: «Per un desiderio un po’ nevrotico di intangibilità. La fatica di scrivere tocca ogni punto del corpo. Quando il libro è finito, è come se si fosse stati perquisiti senza rispetto, e non si desidera altro che riacquistare integrità, tornare ad essere la persona che comunemente si è, nelle occupazioni, nei pensieri, nel linguaggio, nelle relazioni. Pubblica del resto è l’opera: lì c’è tutto quello che abbiamo da dire. Oggi a chi importa veramente della persona che l’ha scritta? L’essenziale è il lavoro fatto».

Ci fa venire in mente una frase di un’altra grande scrittrice Maria Bellonci durante un’intervista sulla sua vita: «La mia vita è il lavoro. Mi sveglio la mattina alle cinque e mezza, d’inverno e d’estate, comincio a leggere, ad annotare e a scrivere. Vado avanti così sino a sera. La giornata ha pause dedicate a occupazioni diverse: mi piace truccarmi un poco e vestirmi di pulito, interrogare la gatta Tommasina sugli umori vaganti per l’aria. A settembre viaggio. Non vado in villeggiatura. Viaggio. Spesso ritorno a respirare l’aria di Mantova, patria del mio spirito. Mi piacciono i cibi semplicissimi e anche quelli di gusto elaborato. Basta?»

Ecco, forse Elena Ferrante fa tutto questo. Basta?

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 18 marzo 2003
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Giovanna, 22/09/'04

Chiara, veloce, intuitiva, pressante, a tratti fonte di ansia, indaga e sviscera fino in fondo situazioni e sentimenti,attraversa in modo fulmineo e lancinante l'evoluzione del mondo interiore delle donne che spesso deve sgretolarsi per iniziare a cambiare davvero.Comunica che niente è assoluto, nulla è risolto e al tempo stesso in questa incompletezza sta il senso.

Maria Lo Bianco, (maria86@hotmail.com), Palermo, 01/02/2004

Elena Ferrante l'ho conosciuta prima al cinema tramite Anna Bonaiuto ne L'amore molesto e dopo col libro La frantumaglia. Nella frantumaglia é rinata la mia voglia di leggere, ho letto parola per parola delle lettere dell'autrice alla sua editrice e agli altri interlocutori, ho soddisfatto la mia curiosità su come si scrive una sceneggiatura grazie alle lettere puntuali tra la Ferrante e Martone mai una parola di più, mai una parola di meno. Sono contenta che l'autrice dell'amore molesto abbia riconosciuto la bravura di un'attrice, Anna Bonaiuto, che personalmente considero la più brava delle attrice italiane di oggi. L'interpretazione di Delia da parte di un'attrice friuliana é eccezionale, mai non vera, mai non intensa, mai non precisa. Frutto di un lavoro ma anche di un talento rari. Napoli di Elena Ferrante é fredda, piovosa e grigia come quando la attraversa camminando dalle pagine della frantumaglia. Dice, Elena ferrante, che per lei questa é Napoli, non il sole e le altre consuetudini letterarie. E questo mi piace moltissimo. Detesta i luoghi comuni e racconta della madre, sarta, attraverso la osservazione minima del suo lavoro; ne esce una donna vissuta e osservata dalla figlia con attenzione e freddezza. L'autrice de I giorni dell'abbandono racconta luoghi come un muro fiorito rendendoli davvero persone reali della sua anima e del suo cuore. La frantumaglia, momenti di pianto improvviso vissuti dalla madre, rimane un libro del tutto nuovo tra i libri che finora si sono visti nelle librerie, lettere in cui l'autrice con una ricchezza di particolari non comune racconta di sé e del suo lavoro costante e continuo di osservazione della realtà, sua, personale, privata, letteraria, politica, sociale. Attenta alla situazione politica italiana, ne riporta emblemi brevissimi quanto importanti. Si spiega così il suo distacco dalla scena di una realtà che putroppo rappresentandosi scena é invece drammaticamente realtà. E mi riferisco al suo rifiuto dei media e delle "apparizioni". Racconta persino di un pezzo de I giorni dell'abbandono tolto dalla stesura finale in cui sono raccolti passi così nutrienti della vicenda di Olga e dei suoi stati d'animo e delle sue riflessioni. L'amore molesto rimane un film importante di questi ultimi anni e la collaborazione tra autrice e regista sceneggiatore ne contiene tutta la ricchezza. Sensibilità, attenzione, misura, scelta delle parole dei dialoghi, ambientazione, attori e attrici sono il pilastro dell'opera. Brava ad Elena Ferrante. Maria Lo Bianco




http://www.italialibri.net - email: - Ultima revisione Ven, 6 ott 2006

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