MARIO LUZI, GRANDE POETA DELL'ERMETISMO TOSCANO, DRAMMATURGO, SAGGISTA, TRADUTTORE E SENATORE A VITA

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Mario Luzi (1914-2005)


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a lunghissima vita di Mario Luzi è interamente dedicata alla composizione di un’opera multiforme e vastissima (saggistica, poesia, teatro di poesia, libri di interviste, traduzioni), che riesce a mettere in secondo piano le esigenze individuali: la vita familiare con Elena, la nascita del figlio Gianni, le amicizie (da Cristina Campo — a cui è dedicata, decine di anni dopo, una poesia di Sotto specie umana, senza tracce di un trasporto diverso — a Carlo Betocchi), l’insegnamento universitario. Solo la figura materna lascia segni evidenti nelle opere: o come figura consolatrice («non mi nega cibo né alloggio») o come ispiratrice di un senso religioso della vita.

L’impressione generale è una grande distanza dai fatti individuali, in nome di una «vita di raccoglimento» (intervista a Paolo Di Stefano, «Corriere della Sera», 19 agosto 1993) in cui le vicende che diventano poesia sono altre. Luzi si presenta come poeta «non del tutto cervellotico», autocommentando il dramma Ipazia (1978), e infatti la sua opera nasce come scoperta e rivelazione, a partire dagli ultimi titoli (Per il battesimo dei nostri frammenti: «Quasi sempre un titolo è un mantra, viene da molto lontano. Mi suonò intimamente questa locuzione e nessun’altra per due anni è venuta a contrapporvisi. Questo è stato allora il titolo. Spero che gradualmente mi riveli il suo significato pieno e reale»: nel libretto Spazio stelle voce. Il colore della poesia, 1992).

Più che poeta cristiano, Luzi è — in questo senso — un poeta mistico, al di fuori di una precisa appartenenza confessionale (cfr. l’intervista a Stefano Verdino, «Il Secolo XIX», 26 settembre 1998: «Il crisma o sigillo del cristiano, una volta che si è ricevuto, è irrevocabile. È più doloroso che lieto, ma non sapresti rinunciarvi mai, anche se ti discosti dalle sue credenze», ed è questo il caso di Luzi). Al tema religioso Luzi ha dedicato una lunga conversazione con Stefano Verdino: La porta del cielo (1997).

Poeta ermetico esemplare

ario Luzi, poeta ermetico esemplare, è nato il 20 ottobre 1914 a Castello, in provincia di Firenze, da genitori maremmani: Ciro Luzi, impiegato ferroviario, e Margherita Papini, una delle figure centrali nella sua vita e produzione poetica — «I'ho visto in mia madre tutto quel mondo di religione contadina ed elementare ma introflesso e pensato e molto intensamente vissuto. Questo mi ha incantato in lei, al di là del grande affetto che ci legava. Mi affascinava il suo trasportare tutte le cose in una interiorità, che forse la società modesta in cui si viveva allora non sentiva come bisogno primario».
Anche se suo padre vorrebbe un altro tipo di lavoro per il figlio, Mario si laurea a Firenze in Letteratura francese con una tesi su Mauriac che influisce molto sulle sue posizioni poetiche future. Il padre, «visto che in questo mi ci trovavo bene, che ne traevo soddisfazione, che i risultati erano interessanti, ha compreso che per vivere e realizzarmi avevo bisogno di seguire questa strada, e ne è stato contentissimo».
Nel 1935 pubblica il primo libro di poesia La barca in cui esprime tutta la sua giovinezza (ha solo 21 anni) in uno stile acerbo e fragile, ma che già determina i suoi dominanti motivi poetici: un contrasto continuo fra il tempo e l'eternità, fra la vita individuale e la vita totale, fra l'apparenza e l'essenza.
In quel periodo comincia anche a collaborare con la rivista letteraria «Frontespizio», ma ben presto si trasferisce a Parma per insegnare in un liceo e inizia a scrivere per una nuova rivista (dalla vita breve poiché uscirà solo per un breve periodo nel 1938 sotto la direzione del famoso editore Vallecchi): «Campo di Marte», che, ispirandosi a posizioni politiche di sinistra, si prefigge l'ambizioso scopo di rinnovare il rapporto fra pubblico e letteratura, finendo con l'elaborare unicamente temi letterari — come pure successe alle altre due riviste fiorentine con le quali Luzi collaborò, «Letteratura» e «Paragone» .
Tornando alla produzione poetica, troviamo un'importantissima raccolta datata 1940, Avvento notturno, manifesto non proclamato dell'Ermetismo il cui linguaggio, estremamente raffinato, fa della poesia la sola realtà praticabile e proponibile. Questa ermeticità e compattezza viene scossa dalla Seconda guerra mondiale e porta a un'apertura innaspettata, nel 1946, con Un brindisi, raccolta fondamentale che lo stesso Luzi definisce come «una prefigurazione, tra allucinata e orgiastica, del dramma della guerra che mette a soqquadro il falso olimpo o giardino di Armida in cui molti credevano».
La raccolta successiva, Quaderno gotico (1947), rappresenta un momento di transizione dove si affaccia l'idea dell'amore che potrebbe vincere la solitudine del soggetto poetico, ma resta solo una mera speranza. Un cambiamento definitivo nella poetica di Luzi arriva con la raccolta Onore del vero (1957), dove si percepisce una grande apertura nel linguaggio, vicino al parlato, dai motivi più comuni e concreti. A questo proposito Luzi dice di aver sentito «il bisogno di dare al mio lavoro una sostanza e un aspetto più elementari, più fondati sulla natura dell'esperienza dell'uomo e sulla natura del linguaggio che la esprime».
Questi sono anche gli anni di un'aperta critica all'Ermetismo da parte della Resistenza, diventa perciò inevitabile l'avvicinamento della poesia luziana alla storia e alla lingua comune. Il profondo cambiamento di posizioni viene espresso più profondamente nella raccolta Nel magma (1963), quando comincia per Luzi un confronto aperto con la società contemporanea italiana, che rivela le indelebili mancanze e illlusioni di quest'ultima. La raccolta diventa una vera e propria denuncia di una società, di una vita senza significato e sicurezza, espressa anche attraverso il linguaggio, adesso più comunicativo e vicino alle forme dialogate.
A questa raccolta ne seguono altre che riaffermano il cambiamento definitivo, pur restando sulla posizione di una poesia-testimonianza di un vuoto profondo e incolmabile: Dal fondo delle campagne (1965), Su fondamenti invisibili (1971), Al fuoco della controversia (1978), Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), Sotto specie umana (1999), Poesie ritrovate (2002), Dottrina dell'estremo principiante (2004).
Oltre alla complessa produzione poetica, Luzi ha svolto anche un'intensa attività saggistica — L'inferno e il limbo (1949), Studio su Mallarmé (1959), L'idea simbolista (1959), Tutto in questione (1965), Poesia e romanzo (1974), Vicissitudine e forma (1974), Discorso naturale (1974), Naturalezza del poeta (1995), Vero e verso (2002) — e teatrale — Ipazia (1972), Rosales (1984), La Passione (1990), Io, Paola, la commediante (1992), Teatro (1993), Felicità turbate (1995), Ceneri e ardori (1997) — oltre che universitaria, come insegnante di Lettreatura francese presso le università di Urbino e di Firenze.
Un'ultima conferma della sua grande attività poetica, intellettuale e sociale è arrivata dallo stesso Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che il 14 ottobre 2004 lo ha nominato Senatore a vita. (V. P.)
Mario Luzi è nato sessant’anni dopo Arthur Rimbaud (20 ottobre 1854) il 20 ottobre 1914, presso Firenze. «I primi sintomi d’inclinazione verso la poesia li ho avuti da bambino, quando non sapevo nemmeno che cosa andavo cercando e cosa scarabocchiavo sulle pagine dei quaderni. A nove anni scrissi la mia prima poesia, senza sapere se poteva essere ritenuta tale» (intervista a Ugolino Vagnuzzi, «Il Messaggero di Sant’Antonio», novembre 1993).

Il primo libro di poesia è La barca (1935), in cui è esibito l’«alimento più sicuro della continuità poetica» di Luzi (nell’intervista a Vagnuzzi, cit.), e cioè una contemplazione stupefatta della natura e della solarità. Seguono esperimenti che situano decisamente Luzi nella corrente dell’Ermetismo fiorentino, con Parronchi e Bigongiari, in particolare: Avvento notturno (1940), Quaderno gotico (1947), Onore del vero (1957).

Una svolta verso le qualità drammatiche del linguaggio (testi di quasi-prosa, dialoghi di stampo eliotiano) avviene con Nel magma (1963), che fin dal titolo vuole testimoniare l’immersione nella complessità più dura e nella metamorfosi, che d’ora in poi diventano un suo motivo conduttore esplicito. Il giudizio di Luzi sul tempo umano tiene presente il caos e il suo calore violento: «Prima io lo chiamavo magmatico, poi caotico; però conservo la tenace convinzione che dalla confusione possa nascere anche qualcosa di più positivamente orientato verso il rinnovamento» (intervista a Gianni Boari, «Il Secolo XIX», 2 luglio 1995). In termini poetici, nel Libro di Ipazia: «Ma è nel fuoco che bisogna ardere. / Niente si addice alla parola più che la temperatura del fuoco».

Il percorso poetico continua con Su fondamenti invisibili (1971), Al fuoco della controversia (1978), Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), Sotto specie umana (1999), fino all’ultimo Dottrina dell’estremo principiante (2004). La Dottrina ossimorica di chi inizia eternamente, senza esaurire il percorso (e quindi è più l’Uomo in generale che l’uomo-Luzi in particolare), salda il 1935 con il 2004, i vent’anni con i novanta, attraverso l’ultimo testo, che è un omaggio al proprio passato, ma — forse — con un atteggiamento di distacco e di sensibilità all’evidenza: il mutamento del magma in caos.

L’itinerario di Luzi non è tanto dall’ermetismo alla chiarezza — anche se i testi diventano in parte più limpidi e diretti — quanto dal narcisismo di una sola voce alla pietas di una coralità di voci attive e di “scribi” che sono disponibili a scrivere. La nascita del teatro di Luzi deriva da questa attenzione, continuamente rimessa in gioco in una produzione vastissima: Ipazia (1971-1978; e in Ipazia Luzi ammette di aver alluso a Cristina Campo); Rosales (1983); Hystrio (1987); Corale della città di Palermo per Santa Rosalia (1989); Io, Paola, la commediante (1992); Il fiore del dolore (2003, sull’assassinio di don Pino Puglisi). Un posto particolare, più drammatico che teatrale in senso stretto, ha la Passione, il testo scritto per la Via crucis al Colosseo (1998).

Nel 1998 le poesie di Luzi sono state riunite in un volume dei Meridiani Mondadori, curato da Stefano Verdino: le raccolte edite fino a quel momento si dividono in tre sezioni (Il giusto della vita, che comprende i primi sei libri; Nell’opera del mondo, che indica i successivi quattro; Frasi nella luce nascente, che comprende le poesie del Luzi anziano, e che si può considerare il periodo ancora in fieri oggi).

Giovanni Raboni, recensendo («Corriere della Sera», 24 novembre 1998) questo lavoro di sistemazione, scrive che sono «tre parti: tre come le età fondamentali della vita, come le cantiche della Commedia, come i tempi di una sonata».

Il 20 ottobre 2004 Mario Luzi compie novant’anni. Nei giorni precedenti, riceve dal Presidente della Repubblica la nomina a Senatore a vita, anche a parziale risarcimento di un Premio Nobel mai assegnato, nonostante ripetute candidature. Ma il titolo risarcisce, soprattutto, la distanza del potere politico italiano da Luzi: «Facendo un bilancio di tanti anni, direi che non ho avuto molto. Ho ricevuto gratificazione da singole persone, che hanno espresso apprezzamento della mia poesia. Ma dall’ufficialità non ho avuto molto, neppure sul terreno pratico» (intervista redazionale, «Il Santo dei miracoli», 3, 1998).

La nomina riceve consensi aperti, ma anche voci contrarie, come quella — rispettosissima del percorso e della persona di Luzi — di Giuseppe Genna nel sito www.miserabili.com. La critica negativa tiene presente la differenza di Luzi da altre figure italiane (Montale, Ungaretti, Zanzotto) e soprattutto europee (Eliot e Pound, in particolare): non è in discussione la bellezza dei testi di Luzi — spesso di un’eleganza lancinante, quasi “saggistica” (Mengaldo) — ma l’invenzione di un nuovo immaginario e/o di una nuova lingua.

In Luzi non avviene quello che avviene in Zanzotto e in Pound: Luzi parte dal presupposto che il magma e la metamorfosi della realtà siano ugualmente dicibili, nella misura in cui la coscienza umana li coglie. Che questa coscienza sia deformabile e sofferente (come in Pound e Zanzotto, in Artaud, in Pasolini, in Testori…) e che questa deformazione sia spinta anche a deformare il linguaggio è vero, e su questo si fondano una poesia altissima e un’estetica a parte: il lettore deve sapere che il discorso di Luzi si pone su un livello non maggiore o minore, ma diverso. (M. S.)

Commentando la sua scomparsa, il 28 febbraio 2005 Dario Fo, a cui è stato attribuito quel riconoscimento che al poeta fiorentino è sempre sfuggito, ha commentato: «E' morto il Senatore, perché il Poeta resterà sempre con noi».


Nell'intervista concessa a ItaliaLibri nel dicembre 2002, Mario Luzi ci parla del ruolo della scuola per la diffusione della poesia.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 20 ottobre 2004
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