«Non sono gradite ne' cerimonie religiose, ne' commemorazioni civili»
orse riuscirò a crederci, a convincermi soltanto quando, a settembre, vedrò che la sua Stanza avrà ancora la porta chiusa. Forse solo allora comincerò a rendermi conto quanto vano fosse camminare giorni fa sulla spiaggia e rimuginare a lungo cosa avrei potuto scrivergli per dirgli bentornato: sa, questanno più che mai ci ha messo a dura prova, Direttore, due mesi senza di lei, le sue risposte ai nostri dubbi, la sua prosa brillante, gli insegnamenti quotidiani. Gli avrei detto questo, e glielo avrei detto con la mia foga un poco sentimentale da frequentatore assiduo di quel salotto a tutto campo ora rimasto al buio.
Ma forse neppure allora mi rassegnerò: un giorno questa porta si riaprirà, penserò, io resto qui ad aspettare. Perché è strano: non si tratta solo di smarrimento, di dolore. Ma anche di una incredulità estrema. Sentire ogni giorno di più il peso dellassenza, ma non rinunciare allingenuità di credere che niente sia vero.
Ma cè «quel» congedo. Scritto nel cuore della notte, dettato anzi: laddio, e non un addio generico, laddio ai suoi lettori, alle loro voci che per oltre settantanni hanno alimentato la misteriosa caldaia interna di Indro Montanelli, quella che gli ha dato forza fino allultimo di picchiare con furia i tasti della Lettera 22.
Nel mio computer non vedrò più quel file, presente 365 giorni allanno: «Lettera a Montanelli»; nessuna pagina più si aggiungerà a quelle gelosamente custodite tra le cose più care e preziose: i molti fogli di giornale in cui è apparso vicino il mio nome e il suo; e non potrò più aspettare lappuntamento in Tv e disperarmi quando, in montagna, non riuscivo a prendere quel canale; né potrò più sognare, sognare un altro incontro come quello di qualche anno fa: avevo molte cose da dirgli, ma gliene dissi ben poche, e ricordo quella carezza della sua mano bella ed enorme; né più ci saranno pomeriggi sottratti allo studio per passarli sul suo ultimo articolo; né più potrò sapere (potremo sapere) «cosa ne pensa Montanelli», ma continueremo a chiedercelo, e con rimpianto.
Montanelli è entrato nella mia vita come quegli amori da romanzo, amori a prima vista. Ho cominciato a leggere i suoi articoli che ero ancora un bambino, alluscita da scuola, tra gli scambi di figurine undici anni, e oggi ne ho diciotto. Quella sua figura scolpita, gli occhi abbaglianti, i suoi sorrisi e i suoi bronci, le sue memorabili sfuriate, tutto questo mi affascinava. Quel pomeriggio destate di diversi anni fa in cui mi fu regalata la sua «Storia di Roma, sarei stato ore solo a guardarlo quel libro, e ora il ricordo ha il fragore di lontananze perdute. E poi la foto appesa in camera da letto, o addirittura stampata su una maglietta di cotone, il desiderio che avevo di entrare in quel suo studio pieno zeppo di quadri di foto di ricordi per trafugare la vecchia Olivetti verde militare
Erano i miei sogni di aspirante cronista, di quando improvvisavo i miei telegiornali davanti ai parenti, i miei sogni bambini di gloria, irrimediabilmente legati a quel leggendario maestro.
Grazie a Montanelli ho imparato la chiarezza, la coerenza, laudacia di andare controcorrente, ho imparato a scrivere, ho capito cosè la passione unita al talento, leleganza, il coraggio. Sono cresciuto al suo fianco, e con la sua morte se ne vanno i miei sogni antichi, un poco ingenui e mitologici. Mi resta però una valigia, una valigia piena, dentro ci sono i suoi scritti, e loro del mondo, di quello che mi piacerebbe conoscere e vivere. Me la terrò stretta, sarà sempre con me, ora che mi tocca proseguire senza di lui, con le scarpe in spalla, la mia strada.
Certo è dura pensare che nei mattini destate degli anni futuri non ci saranno più i suoi articoli da cercare trepidante nel giornale, e da leggere poi ai miei genitori sdraiato su un pedalò, prendendo il largo nellazzurrità, con voce alta e tremante, con gli occhi che bruciano del sole e della gioia di quelle sue parole sempre così incredibilmente scintillanti.
Dove sei?
A cura della Redazione Virtuale
24 luglio 2001
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