Maria Luisa Spaziani nasce a Torino nel 1924. La città di Torino compare pochissimo nella sua poesia; più presenti sono invece i paesaggi tra il Piemonte e la Liguria, e le campagne dellastigiano, dove vive gli anni dello sfollamento. È lì che impara a conoscere «gli odori, i profumi, le scorze degli alberi, i ritmi della semina», e tutto questo la avvicinata al mondo dei contadini: «la raccolta delle patate lei dice è inebriante, perché viene fuori il sapore della terra viva». Una delle sue poesie più antiche, inserita nella silloge desordio, Le acque del Sabato (1954), racconta il paese della madre, Mongardino dAsti:
Alberi nudi dentro un tempo nudo
sul cielo del paese di mia madre.
Dove singorga lacqua nei canali
tra lerba rinsecchita
e la vite sattorce nella bruma
con mani disperate. [
]
A dodici anni scopre la figura di Giovanna dArco e se ne innamora follemente. «Settimane e mesi passati nella luce straordinaria di questo mistero. Quando ho scoperto che è esistita una donna come Giovanna dArco ho scoperto il mondo: è stata la mia grande educazione incontrare in ununica persona dei valori così straordinari, le punte estreme della semplicità contadina, lalta illuminazione morale e religiosa, la capacità di incarnare unazione pratica, lamore di patria, il carisma straordinaria. Questo mio amore è nato a dodici anni e non è ancora finito. Per me Giovanna dArco è semplicemente la poesia; è la donna come dovrebbe essere dopo ogni femminismo riuscito, e cioè una creatura che abbia le stesse potenzialità di un uomo ma che agisce autonomamente, secondo il suo personale destino, secondo i suoi gusti, le sue scelte, in stretta simbiosi con luniverso maschile. Come il cervello ha il lobo di destra e quello di sinistra, così la nostra civiltà ha il maschile e il femminile. È assolutamente impensabile, se non pagandola con tutte le crisi della nostra storia, che uno prevalga sullaltro, e brutalizzi laltro».
Si stemperò quellangelo sul muro,
i lillà ricoprirono la spada,
quel viso formidabile e stupendo,
la lucente armatura circonfusa
da un candore di penne. Sempre tacqui.
Portavo in me il germoglio del futuro,
la gloria della Francia e di Gesù.
Tutto ciò che lui disse, un giorno fu.
(da Giovanna dArco, 2000)
A diciannove anni dirige la rivista «Il dado», senza avere mai il coraggio di scrivere su quelle pagine. Tra i collaboratori figurano Vasco Pratolini, Sandro Penna, Vincenzo Ciaffi. Virginia Woolf, poco prima di morire, invia alla giovane Maria Luisa un capitolo del romanzo Le onde, con una dedica autografa: «Alla piccola direttrice». È in quegli anni che conosce anche Leonardo Sinisgalli, presenza importante nella sua formazione letteraria, ed Ezra Pound, incontrato a Rapallo.
Fondamentale è lincontro con Eugenio Montale. Pur conoscendo a memoria Ossi di seppia, al principio non ha desiderio di incontrarlo: «Ne avevo sentito parlare male: dicevano che fosse misantropo, misogino, scostante, che non sorridesse mai. Ma poi langelo tessitore me lha spedito a Torino, e per curiosità sono andata a una sua conferenza al teatro Carignano il 14 gennaio del 1949. Mentre stavo per uscire, la direttrice mi dice: Si fermi, ché vogliamo presentare i giovani poeti torinesi a Montale. Io non mi sentivo poeta, perché non avevo pubblicato niente, e poi ero molto intimidita. Allora si è verificata una cosa molto strana, che né io né Montale stesso siamo riusciti a capire negli anni seguenti. Eravamo sei persone in fila; lui passava, dava la mano con gli occhi bassi senza guardare in faccia nessuno e diceva: Piacere, piacere. Stavo per scappare quando lui arriva davanti a me e appena sente il mio nome alza gli occhi e mi dice: Ah, è lei. Rimango senza fiato, e dico la prima banalità che mi viene in mente per vincere limbarazzo: Viene a pranzo da me, domani? E lui: Sì».
E lui mi aspetterà nellipertempo,
sorridente e puntuale, con saluti
e storie che alle poverette orecchie
dellarrivata parranno incredibili.
Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico?
In poche note o versi qui raccolgo
i messaggi essenziali. Un alto raggio,
aria diversa glieli tradurrà.
(Viaggio Verona-Parigi 1987-1990, da I fasti dellortica, 1996)
«Sodalizio è una bella parola un po vecchia che vuol dire ununione profonda di due creature, sulla base di cose comuni. Questa base di fondo comune tra me e lui è stata sempre la poesia».
Poco tempo dopo il primo incontro, Maria Luisa trova lavoro nellufficio stampa di una ditta anglo-cinese a Milano. Anche Montale si è trasferito di recente a Milano, dove lavora per il «Corriere della Sera». Iniziano a vedersi ogni giorno, avendo anche unaltra complicità: quella del canto. «Io avevo una voce discreta, e lui sognava avendo perduto la possibilità di diventare un baritono di avere unallieva. È nata così unamicizia quasi amorosa, che non è paragonabile però a una storia damore. Ci vorrebbe una lunga analisi per dire che cosa è stato questo legame, testimoniato da 360 lettere di lui che sono state date, dopo la sua morte, allarchivio di Maria Corti, presso lUniversità di Pavia».
Lamicizia dura per oltre quindici anni, più o meno fino al 65-66. I rapporti si allentano un poco a seguito del trasferimento di Maria Luisa a Roma.
Utilità della memoria (1966). «Loblio e la memoria giocano un ruolo fondamentale nella nostra vita. Senza memoria sarebbe tutto piatto: un presente senza sale. Nella mia poesia la memoria vive di cose che si vedono, che si toccano, e così spazia ampiamente dal Piemonte agli anni di Milano, alla Sicilia, dove ho abitato tanti anni, seppure in modo saltuario perché ero una pendolare universitaria, e poi il Nord Europa, il Belgio, la Normandia, Parigi. Sono molti i riferimenti diretti o indiretti a questi luoghi nella mia poesia».
Parigi dorme. Un enorme silenzio
è sceso ad occupare ogni interstizio
di tegole e di muri. Gatti e uccelli
tacciono. Sono io di sentinella.
Agosto senza clacson. Sopravvivo
unica, forse. Tengo fra le braccia
come Sainte Geneviève la mia città
che spunta dal mantello, in fondo al quadro.
(da Viaggio Verona-Parigi 1987-1990, op. cit.)
Lungo la sua educazione filosofica e letteraria, la lettura di Marcel Proust è fondamentale per le due grandi distinzioni riguardanti la memoria. «La memoria volontaria è quella che si affida alla nostra intelligenza, e ci permette di creare un filo di continuità fra le cose; quella involontaria è quella che ci viene da una sensazione, da unemozione sensoriale, perché i nostri sensi sono le grandi porte dellanima, e non abbiamo altro modo per ricevere messaggi se non attraverso i sensi; per cui, come racconta Proust, un fazzoletto con quattro gocce di profumo dimenticato in un cassetto ti scaraventa nel passato in un modo quasi magico. Anzi, decisamente magico».
Locchio del ciclone (1970) si riferisce agli anni in cui la poetessa vive a Messina e scopre la Sicilia. «Io che allora abitava a Roma, sono stata catapultata a Messina quando invece facevo di tutto per andare a vivere nel Nord Europa, specialmente a Parigi, a Bruxelles i miei due poli di attrazione. A Messina ho fatto un mucchio di scoperte: per amicizia, per viaggi, per bellezze, anche per solitudine. I primi tre o quattro anni abitavo in un albergo isolato dove, a parte le due ore del mattino di lezione, stavo tutto il giorno sola. Lì ho scritto moltissimo e letto moltissimo. Insegnavo lingua e letteratura tedesca, benché il tedesco non sia veramente la mia lingua, fino a quando non si è liberato lincarico di lingua e letteratura francese e allora ho potuto rientrare nel solco delle mie predilezioni e dei miei studi».
Dopo Transito con catene (1977), «un libro impuro, ricco di suggestioni diverse e lontane», Geometria del disordine (1981), La stella del libero arbitrio (1986), I fasti dellortica (1996), La freccia (2000), pubblica una raccolta «anomala perché monotematica», La traversata delloasi (2002): «poesie damore che riguardano uno stato danimo attuale una specie di fascio unico di ispirazione. Situazioni diversissime, attraverso cui lamore è cantato agganciandosi agli eventi del giorno, a un incontro, a una telefonata. Sovente invece il tono è molto alto, come se questo fondamentale accadimento della nostra vita fosse contemplato da un elicottero celeste».
Volo sopra le Alpi, il tuo ricordo copre
la pianura del Po fino alle nevi dellEtna.
Sei il mio paesaggio, la mia patria,
il mio emblema, il respiro profondo.
Sei lalbero di cui sono la chioma,
fiorisco alta sui tuoi folti rami.
Le tue radici mandano la linfa
che sale e canta e nutre le mie cellule.
Chi le nutriva in quegli anni incredibili
quando di te ignoravo gli occhi e il nome?
Quella voce segreta che sussurra
nei giorni giovani le sillabe: Aspetta!.
Poesie dalla mano sinistra, (2002) è «una raccolta di poesie manoscritte, con caratteri tipografici a fronte.Il tono è giocoso, ai limiti dell'aforisma, come nella prima parte, L'inciviltà dei consumi, con versi scherzosi di critica al consumismo:
GLI INNOCENTI
Gira la ruota, e sempre nel progresso
tu ti ostini, t' illudi.
Un tempo gli Innocenti erano santi,
oggi soltanto tubi.
«Ma nella seconda parte ci sono poesie di forte ispirazione come
UNO STRIDORE
Immetti nei tuoi flauti uno stridore
perchè così è la vita. In paradiso
talvolta i cori angelici riposano
per regalarci un lampo d'uragano.
Sono pietosi gli angeli, non vogliono
che si cancelli quel passato umano,
quando il tempo glorioso svettava
dagli intervalli del dolore.
Teatro comico e no, (2004), «un libro inatteso e imprevedibile di testi teatrali più comici che umoristici. La parte più spiritosa, aggressiva e paradossale del suo carattere si rifugia in questi testi che il pubblico ha tanto mostrato di apprezzare. Una schizofrenia inspiegabile per la stessa Autrice, ma che il famoso critico Luigi Baldacci ha definito «la rivincita inevitabile della sua fondamentale cattiveria». I personaggi che compaiono in questo libro vanno da La vedova Goldoni a Rousseau, da Caterina di Russia a Monaldo Leopardi, da certi personaggi struggenti della corte del Re Sole alla corte di Re Numa alle prese con la ninfa Egeria. Particolarmente divertenti e cattivi i processi a Giosuè Carducci e a Giacomo Puccini».
«Io ho vissuto come volevo. Non ho grandi rimpianti, né rimorsi. Tra le sofferenze più grandi metterei i tradimenti dellamicizia e dellamore, e poi alcune difficoltà pratiche che, vivendo da sola, soprattutto in certi periodi, mi creano molto disagio. Quando si è soli, come in fondo sono sempre stata io, bisogna continuare a guidare la propria barca, anche se si è stanchi, anche se cè la bufera».
A cura della Redazione Virtuale
Milano, 10 ottobre 2003
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