Torquato Tasso, poeta della controriforma. "genio e follia" nella società cortigiana del Cinquecento.

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Torquato Tasso (1544-1595)



orquato Tasso nacque a Sorrento l’11 marzo del 1544, in una famiglia nobile e ben inserita nell’ambiente dell’epoca: il padre Bernardo era infatti gentiluomo di corte e autore del poema cavalleresco Amadigi.

Nei primi anni di vita Torquato fu costretto a seguire il padre prima a Roma poi a Urbino, alla corte dei Montefeltro; a Venezia, dove nel 1560 iniziò i primi abbozzi di un poema epico (Gierusalemme).

Nello stesso anno andò a studiare diritto a Padova, ma poi scelse la filosofia e la letteratura che sentiva più congeniali. Fu in questa città che venne in contatto con Sperone Speroni e col suo cenacolo di aristotelici, esperienza importante questa per l’acquisizione di una base culturale filosofica.

Nel 1562 scrisse il poema epico Rinaldo e cominciò contemporaneamente a comporre poesie d’amore per Lucrezia Bendidio, dama della duchessa Eleonora d’Este, poi per la mantovana Laura Peperara.

Le sue esperienze giovanili lo portano a individuare prestissimo la sua vocazione di scrittore di genere epico e il suo pubblico ideale, quello cortigiano. Importante fu anche l’esperienza come membro di Accademie e cenacoli culturali e filosofici: negli anni di Padova fu in contatto con l’Accademia degli Infiammati, poi fu ammesso a quella degli Eterei.

Nel 1565 la svolta: assunto al servizio del cardinale Luigi d’Este si trasferì a Ferrara e lì, forte della sua esperienza di cortigiano e letterato si inserì facilmente in quella che era una delle corti più illustri e prestigiose d’Italia già dal Quattrocento. In città ebbe modo di conoscere anche il Guarini e il Pigna.

Nel 1577 entrò al servizio del duca come gentiluomo stipendiato senza compiti precisi e questo gli diede la libertà di dedicarsi completamente alla poesia. Egli fu anzi spinto a lavorare a un poema epico, genere molto in voga in quel periodo, considerato uno delle principali fonti di intrattenimento della società cortigiana. Già dal 1570 Tasso lavorava alla Gerusalemme liberata, che rese pubblico nel 1575 leggendolo al duca Alfonso. Nel frattempo aveva composto nel ’73 l’Aminta, dramma pastorale.

Finito il poema, però, si concluse anche il periodo felice della vita del poeta. Fu proprio la sua opera a scatenare inquietudine, insoddisfazione, dubbi ossessivi che si dimostrarono ben presto i prodromi della malattia nervosa che condizionò pesantemente tutto il resto della sua vita, dando vita all’immagine ormai consolidata di poeta folle e vittima della società.

Chiese infatti ad un gruppo di accademici romani di giudicare la Gerusalemme liberata: le critiche moraliste e pedanti di costoro accentuarono quel senso di colpa e di persecuzione che nasceva in lui.

Per riparare alle critiche, compose nel 1576 una Allegoria che attribuiva significati allegorici agli episodi del poema più edonistici, come quelli amorosi. Non contento, nel ’77 sottopose il poema al controllo dell’Inquisizione di Ferrara e fu assolto, ma questo non fugò i suoi patologici dubbi. Intanto aumentarono gli episodi strani anche nella vita quotidiana: si scagliò contro un servo con un coltello, fatto a seguito del quale il duca Alfonso lo fece rinchiudere in un convento da cui però fuggì. Si è molto discusso della drastica scelta di Alfonso: forse egli preferì allontanare lo scomodo personaggio dalla corte di Ferrara (allora centro di predicazione protestante), per non incorrere in indagini dell’Inquisizione.

Pateticamente famoso è l’episodio in cui si presentò travestito alla sorella annunciandole la propria morte per verificare dalla reazione quanto la sorella lo amasse.

Cominciò a girovagare da una corte all’altra avvertendo anche disagio a vivere a Ferrara. Tornò in città nel ’79 proprio durante le terze nozze del duca Alfonso con Margherita Gonzaga. Non sentendosi ben accolto diede in escandescenze e a questo punto il duca lo fece ricoverare presso l’Ospedale di Sant’Anna dove rimase rinchiuso per 7 anni. Inizialmente totalmente segregato, poi in regime di parziale libertà, poteva scrivere, leggere e ricevere visite.

Riprese infatti la produzione letteraria costituita da rime, dai Dialoghi e da moltissime Epistole. In molte di quelle scritte in ospedale egli descrive con estrema precisione i suoi disturbi e attribuisce ripetutamente le sue stranezze a “folletti” che gli nascondono gli oggetti e ad allucinazioni quali fiamme nell’aria, strepiti spaventosi, fischi, campane.

Fu dunque un periodo altalenante tra periodi di tregua e allucinazioni e perdita della realtà, tra mania di persecuzione e tendenze autopunitive.

Sempre in questi anni fu pubblicata contro la sua volontà un’edizione incompleta della Gerusalemme. Saputolo, egli scrisse una Apologia, poi revisionò completamente l’opera per renderla più conforme alla morale controriformista che permeava la società del tempo. E’ questa la seconda versione dell’opera, che successivamente i critici hanno rigettato a favore della prima, giudicata quella originale perché conforme alle vere intenzioni del poeta quando ancora era consapevole.

Uscito da Sant’Anna nel 1586, ricominciò a passare da una corte all’altra cercando soprattutto l’appoggio delle istituzioni ecclesiastiche.

Nel 1593 ripubblicò il poema revisionato col titolo Gerusalemme conquistata.

Nel ’94 papa Clemente VII propose per il Tasso l’incoronazione poetica a Roma, onore che non veniva più tributato dai tempi del Tetrarca, ma l’aggravarsi delle condizioni di salute del poeta impedirono la celebrazione: ritiratosi nel convento di Sant’Onofrio sul Gianicolo, vi morì nell’aprile del 1595.


BIBLIOGRAFIA
Baldi G.-Giusso S. , Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia
AA.VV., Storia della civilità letteraria italiana v.III, Utet

A cura della Redazione Virtuale

14 luglio 2006
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