I libri ridefiniscono allinfinito le nostre finalità La grande promessa di una ritrovata cultura letteraria sta nello stimolare negli intellettuali la serena consapevolezza che la redenzione possa solo provenire dalla propria immaginazione.
Richard Rorty
indubbio che il secolo non è cominciato, sotto i migliori auspici. Le contraddizioni non mancano: interculturali, economiche, politiche, apparentemente insanabili. Ci sentiamo un po disorientati, anche perché il termine progresso ha assunto una valenza negativa. Per progredire, infatti, occorre avere un obiettivo e i contorni della società ideale che ciascuno nel proprio animo pensava che si stesse finalmente costruendo si sono annebbiati e stanno perdendo consistenza.
Nel presente stato di incertezza, il piano della cultura sembra costituire ancora un terreno sicuro, il solo per confrontare le idee civilmente, senza farsi del male, per recuperare un senso di direzione. Dato che la letteratura rappresenta il nostro principale ambito dinteresse, proponiamo una visione del mondo in cui la letteratura e i libri assumono una posizione centrale.
Conosciamo Richard Rorty per i suoi scritti scritti, che razionalizzano comportamenti a favore della convivenza sociale, del rispetto, della tolleranza e dei diritti umani. Durante un ciclo di conferenze, tenute allUniversità di Stanford, in California, nel novemre 2000, il filosofo pragmatista annunciava il declino della verità redentiva e lavvento di una cultura letteraria.
«Il progresso intellettuale in occidente, dal Rinascimento ad oggi, si è andato sviluppando attraverso tre fasi fondamentali, in cui gli intellettuali hanno cercato le loro risposte prima in Dio, poi nella filosofia e ora nella letteratura».
Che cosa intende Rorty con questa affermazione?
La maggior parte della gente legge per passare il tempo o per essere in grado di conseguire degli obiettivi prestabiliti; giammai per scoprire quali finalità porsi. La gente non legge per raggiungere la redenzione. Questa è unesclusiva caratteristica degli intellettuali, che lo fanno perché «desiderano costantemente diventare qualcosa di più o di meglio di quello che già sono».
Quale tipo di cultura superiore può favorire il clima di tolleranza che meglio si addice a un sistema di società democratiche? Dobbiamo affidarci alla scienza o possiamo abbandonarci alla letteratura?
Come Harold Bloom ha recentemente suggerito (Come si legge un libro (e perché), Rizzoli 2001), lo scopo insito nella lettura sistematica di un libro dopo laltro è quello di acquisire conoscenza di altrettante finalità alternative, e quindi raggiungere uno stato di autonomia, lequivalente della speranza di autenticità di Heidegger, la speranza di sentirsi responsabili del proprio sviluppo personale, piuttosto che essere il prodotto delleducazione e dellambiente.
Unintellettuale, secondo Rorty è qualcuno che insegue lautonomia (quella di Bloom): sperimenta chiese e conosce guru diversi, va a teatro e visita musei ma, soprattutto, legge un sacco di libri.
Se gli intellettuali delle precedenti culture preferivano immergersi nella lettura di opere edificanti o di trattati di filosofia, le opere più lette dai membri della cultura letteraria appartengono piuttosto ai generi del romanzo, della poesia e del dramma teatrale. Questa preferenza non è il frutto di una valutazione di merito, ma piuttosto un dato di fatto: gli intellettuali letterari inseguono le proprie finalità prevalentemente nel campo della narrativa, della lirica e del teatro, anche se si voltano spesso a cercare ispirazione nelle opere del passato, dalla filosofia e dalle opere di carattere religioso.
Per dimostrare la conformità della proposta di una cultura letteraria, Rorty isola il concetto, insito nelle finalità delle precedenti culture, di verità redentiva che definisce «linsieme delle credenze che esauriscono una volta per tutte il processo riflessivo sulle finalità morali della propria vita e soddisfa lesigenza a cui religione e filosofia hanno tentato di rispondere: lesigenza di alloggiare ogni cosa - persona, evento, idea o poema - in un singolo contesto che si dimostra essere naturale, unico e predestinato. Credere nella verità redentiva significa credere nellesistenza di qualcosa che sta alla vita umana come la fisica delle particelle sta ai quattro elementi, la realtà che sottende allapparenza, lunica vera descrizione di quello che succede».
La filosofia ha cominciato a porsi in alternativa al pensiero religioso con Socrate ma si è affrancata del tutto quando, con lIlluminismo e con la Rivoluzione Francese, Dio non è stato più così importante, rispetto a una crescente centralità delluomo.
Ci si può chiedere se quello che dicevano Galileo e Locke fosse vero, ma che senso ci sarebbe a porsi la medesima domanda per quanto riguarda Dante?
Per la cultura religiosa, lesistenza di una verità redentiva è condizione indispensabile per stabilire e sostenere un rapporto privilegiato ed esclusivo con unentità non-umana, da cui gli animali sono esclusi. Con lavvento del materialismo metafisico, lepistema scientifico ha sostituito la regola religiosa ma ha mantenuto il medesimo valore redentivo che sopravvive ai giorni nostri. «Lattuale dibattito, se la verità sia un fatto di corrispondenza col reale e quello parallelo, intorno al rifiuto di Kuhn di riconoscere che la scienza si avvicina al reale asintoticamente, rappresentano gli ultimi spasimi di unidea che collega insieme filosofia e religione. Abbandonarla significa riconoscere alla scienza la capacità di aumentare la conoscenza, e insieme riconoscere alle teorie scientifiche lutilità pratica di predire i fenomeni, ma significa anche negare a entrambe le finalità un valore di ricerca redentiva».
Quanto alla letteratura, questa ha cominciato a porsi in alternativa alla filosofia quando scrittori del calibro di Miguel de Cervantes e di William Shakespeare hanno cominciato a insinuare il dubbio che gli esseri umani siano così diversi tra loro che davvero non ha senso pretendere che tutti portino in sé la medesima verità.
Friedrich Shiller poteva contare sul consenso degli intellettuali postromantici (Nietzsche, Baudelaire) quando affermava che lulteriore sviluppo del genere umano si sarebbe realizzato sul piano estetico, piuttosto che su quello etico. Costoro avrebbero potuto sottoscrivere laffermazione di Shelley, che le grandi tappe dellemancipazione delluomo da preti e tiranni avrebbe potuto essere superate anche senza «Locke, Hume, Gibbon, Voltaire, e Rousseau» ma che «va oltre ogni possibile immaginazione pensare in che condizioni morali verserebbe il mondo se Dante, Boccaccio, Chaucer, Shakespeare, Calderon, Lord Bacon e Milton non fossero mai esistiti; se Raffaello e Michelangelo non fossero mai nati [...] e se la poesia e la religione del mondo antico si fossero estinte insieme alle proprie credenze».
Più si abbandonano le tentazioni di ricorrere ai sogni di una fuga dal tempo e dal caso, più ci si convince che gli esseri umani non hanno nessuno a cui ricorrere, tranne che reciprocamente a se stessi.
Ci si può chiedere se quello che dicevano Galileo e Locke fosse vero, ma che senso ci sarebbe a porsi la medesima domanda per quanto riguarda Dante? «Obiettivamente vero, [nel senso di] meritare un consenso permanente da parte dei membri di una cultura esperta riconosciuta, non è nozione che gli intellettuali letterari potranno mai trovare di alcuna utilità, dato che limmaginazione letteraria non procede per accumulo di risultati».
È il mondo della scienza ad essere organizzato per nuclei di cultura esperta, diversamente dallintelligentia letteraria. Una cultura esperta si ha quando si conosce dove si vuole arrivare, non quando ci si interroga sul tipo di vita che sarebbe giusto desiderare. La scienza persegue delle finalità, ma quali fini sottendono a romanzo, poesia e dramma?
La risposta è che questi libri ridefiniscono allinfinito le nostre finalità.
Quale tipo di cultura superiore può favorire il clima di tolleranza che meglio si addice a un sistema di società democratiche? Dobbiamo affidarci alla scienza o possiamo abbandonarci alla letteratura?
Assodato che la dialettica è una condizione indispensabile sia per il quotidiano esercizio della scienza che per quello dellattività democratica, che basano le loro decisioni su argomentazioni originate da premesse dimostrabili a chiunque sia motivato ad ascoltarle, bisogna ammettere che né i preti né gli uomini di lettere sono avvezzi a procedere dialetticamente. Tuttavia, quando i singoli sono chiamati a deliberare, sarà bene mantenere anche una distinzione netta tra ciò che riguarda le esigenze dello spirito e quelle di una società democratica. La pratica scientifica fornisce un ottimo esempio di cooperazione democratica, un modello di onestà, tolleranza e verità. Ma si tratta pur sempre di procedure che possono essere applicate a diversi campi pratici, come il cantiere o la fabbrica. Ed è evidente che qualsiasi illuminazione provenga da una teoria del tutto, sarà dura che possa fornire anche delle indicazioni sulla politica da adottare o sui precetti da seguire per aver salva lanima.
Largomento avanzato da Rorty a favore della cultura letteraria si basa sullaffermazione che il metodo scientifico ha reso possibile lemarginazione dei ciarlatani, ma che ciò esaurisce la sua utilità per quanto riguarda fini politici o trascendentali.
Espandere i limiti dellumana immaginazione è un fine che può benissimo sostituire quello dellobbedienza a una volontà divina in una cultura religiosa, o della ricerca di ciò che è realmente reale in una cultura filosofica, ed è di gran lunga meno pericoloso.
Unoperazione che ridimensiona la scienza, da veicolo di verità redentiva a modello di cooperazione razionale, va paragonata alla riforma che ha ridotto il Vangelo, da ricettario per raggiungere la vita eterna a compendio di solide regole morali.
Proprio come il XVIII secolo ci ha insegnato a vedere la cristianità, non come rivelazione celeste, ma come naturale continuazione della riflessione socratica, così il XX secolo ha acquisito la consapevolezza che la scienza non è in grado di rivelarci la natura intrinseca delle cose, ma è da porre in prospettiva con altre competenze pratiche che accomunano edificatori vari e altri costruttori di manufatti, compresi i carpentieri e i castori che razzolano nei fiumi.
Negare lesistenza di una natura intrinseca nelle cose che preti e filosofi potrebbero scoprire è il primo passo se si vuole operare una distinzione tra esigenze di redenzione e ricerca di un accordo universale. Più si abbandonano le tentazioni di ricorrere ai sogni di una fuga dal tempo e dal caso, più ci si convince che gli esseri umani non hanno nessuno a cui ricorrere, tranne che reciprocamente a se stessi.
Espandere i limiti dellumana immaginazione è un fine che può benissimo sostituire quello dellobbedienza a una volontà divina in una cultura religiosa, o della ricerca di ciò che è realmente reale in una cultura filosofica, ed è di gran lunga meno pericoloso. Ma questo non esaurisce la ricerca di ununica forma utopica di cooperazione, di una Giusta Società Globale.
Una cultura letteraria, possiede energia e focalizzazione paragonabili a quelle degli evangelizzatori delle virtù del Cristo, della Scienza o di Marx?
Per difendere la propria tesi dallaccusa di decadentismo, Rorty invita a rileggere il saggio di Oscar Wilde The Soul of Man under Socialism, in cui si afferma che lobiettivo di una Giusta Società Globale è quello di «mettere le persone nelle condizioni di vivere la vita che preferiscono, a patto che questo non diminuisca le opportunità di altri di fare la stessa cosa». Mano libera agli eccentrici cultori del bello quindi, a patto che si limitino a consumare nulla più che la loro dotazione standard di prodotto sociale.
Una cultura letteraria non sarà la sola disponibile né sarà quella dominante, in quanto, semplicemente, non ci sarà posto per una cultura dominante.
La disputa tra quelli che sostengono che gli esseri umani si realizzano al meglio quando giocano (Shiller, Wilde) e quelli che li vorrebbero realizzati quando arrancano per sopravvivere si risolve nella nozione che una società utopica è in grado di distribuire risorse e agio di fare ciò che a ognuno aggrada, in misura equa sia ai fondamentalisti kantiani che a epicurei shilleriani. Infatti, in questo mondo ideale non sarà necessario trovare un accordo su argomenti generici, quali il significato della vita o la vita che merita di essere vissuta per creare le condizioni che permettono al nostro prossimo di vivere le proprie convinzioni morali, a patto che queste convinzioni non intralcino la nostra libertà di vivere a nostra volta le convinzioni nostre.
Una cultura letteraria non sarà la sola disponibile né sarà quella dominante, in quanto, semplicemente, non ci sarà posto per una cultura dominante.
«In questo Mondo Ideale gli intellettuali avranno rinunciato a credere nellesistenza di uno standard di confronto per misurare il prodotto dellimmaginazione, al di fuori dellutilità sociale che ne deriva, dato che questa utilità sarà valutata da una comunità globale idealmente libera, realizzata e tollerante. Avranno rinunciato a identificare la redenzione con lottenimento della perfezione.»
Loperazione di Rorty consiste quindi mettere la scienza nelle condizioni di concentrarsi sui problemi pratici. Come? Liberandola del valore redentivo, che affida alla letteratura. Ma in una forma indeterminata, in modo tale che dipenda dai singoli intellettuali di raggiungerlo, espandendo i limiti della propria immaginazione in misura pari alla motivazione che li sospinge. E in maniera forse anche un po casuale.
E lasciando che la dialettica faccia il resto. Quel che conta è il viaggio.