La letteratura si è spesso misurata con passioni umane interessanti, come lambizione, la cupidigia, lazzardo, la vergogna, che esaminate singolarmente permettono di sviscerare potenzialità particolarmente distruttive, soprattutto per gli stessi soggetti in cui si manifestano.
La realtà, più potente di qualsiasi messinscena letteraria, ha a volte combinato queste importanti pulsioni del comportamento in una miscela in grado di causare, nelle sue manifestazioni più appariscenti, serissimi danni anche agli interessi terreni delle comunità e persino allimmagine internazionale dei paesi in cui si verificano.
La storia italiana dallo scandalo della Banca Romana, che travolse il governo Giolitti nel 1893, ai giorni nostri suggerisce che lorigine del potenziale distruttivo di questo parossismo di passioni sia da attribuire principalmente a una deficienza, più che nel profilo psicologico dei singoli protagonisti, nel sistema dei controlli della società. Un difetto che va sotto il nome di conflitto dinteressi, oggi noto alle masse più che altro in riferimento alle malefatte del presidente di un noto club calcistico e, forse proprio per questo, svuotato del suo contenuto più intrinseco, che afferma: nessuno può essere il controllore di se stesso.
«Una questione di buon gusto, dicono alcuni, e di cultura». In realtà, in mancanza delluno e dellaltra, un problema estremamente serio, che rischia di compromettere l'economia e il sistema capitalistico, non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo occidentale, come si è visto anche in relazione ad alcuni episodi che si sono recentemente verificati Oltre Atlantico.
Pie Town, New Mexico, Russel Lee 1940
«Lunico auspicio che mi sento di formulare scrive Guido Rossi, già presidente della Consob (l'organismo di controllo della Borsa) e autore de Il conflitto epidemico, Adelphi 2003 è che, così come da un giorno allaltro lo spettacolo dei conflitti è sembrato a vasta parte dellopinione pubblica un fatto forse poco elegante, ma in fondo normale, da un giorno allaltro torni ad apparire inaccettabile. A quel punto le buone leggi e le regole efficaci, come le salmerie di un tempo, seguiranno.»
Nel frattempo?
Abbiamo chiesto a Carlo Bellavite Pellegrini, autore di una Storia del Banco Ambrosiano: fondazione, ascesa e dissesto 1896-1982 (Laterza 2002), la sua opinione sui casi Cirio e Parmalat, per aiutarci a capirne le dinamiche in una prospettiva storica, culturale ed etica.
Dal suo punto d'osservazione di studioso di Finanza Aziendale, gli avvenimenti che hanno scosso il gruppo Parmalat e la Cirio e così preoccupantemente ricordano quelli che affondarono Ferruzzi e Banco Ambrosiano, sono storie di risparmio tradito. Oggi la grande massa dei risparmiatori si rende conto del concetto di rischio nella valutazione degli strumenti finanziari nella costruzione di un portafoglio di titoli mobiliari, con la variabile della frode che rende ancora più difficile la valutazione del rischio complessivo e rende necessario il recupero di una dimensione umana, ancora prima che etica, del mondo degli affari.
un osservatore attento alle vicende di corporate finance delle società italiane sia per ragioni accademiche, sia per ragioni professionali, gli avvenimenti che in questi ultimi mesi hanno scosso il gruppo che faceva capo a Calisto Tanzi sembrano, per molti versi, un deja vu, deja ecoute. La memoria corre sia a vicende vicine, come quelle della Cirio, sia a vicende lontane nel tempo come quelle della Ferruzzi, del Banco Ambrosiano negli anni Ottanta e infine delle banche di Sindona nei primi anni Settanta. Molte delle vicende che hanno visto protagonista Parmalat negli ultimi due mesi hanno, nella mente di chi scrive, il sapore del te con la madeleine di proustiana memoria. Inoltre, come di solito è sempre accaduto in questi casi, il tutto sembra essere scoppiato apparentemente allimprovviso. Così accadde infatti per tutti i casi precedentemente citati.
Nel variare dei tempi, delle situazioni storiche, politiche, macroeconomiche ed aziendali che caratterizzano tali vicende, alcuni tratti sembrano essere immutabili. In primo luogo sono storie di risparmio tradito. Risparmio significa tempo, fatica, sacrifici, lavoro, capitale umano di molte persone che viene sperperato. Distruggere in modo fraudolento il risparmio significa non avere rispetto della vita e della dignità delle persone.
Lelemento più interessante di queste ultime vicende è che per la prima volta in Italia la grande massa dei risparmiatori sta rendendosi conto del concetto di rischio nella valutazione degli strumenti finanziari e di come questo influisca nella costruzione di un portafoglio armonico e ben equilibrato. Si evidenzia per la prima volta anche una dimensione culturale peraltro completamente assente di importanza non irrilevante in queste vicende. Cè un problema di inculturazione finanziaria. Che cosa voglia dire infatti costruire un portafoglio, che cosa significhi la diversificazione e che impatto possa avere il rischio su un portafoglio di titoli mobiliari sono temi elementari negli studi di finanza che però risultano essere sconosciuti purtroppo non solo al grande pubblico dei risparmiatori.
In modo molto approssimato si può dire che sono i titoli che rappresentano capitale di rischio, come le azioni ordinarie ad essere percepiti come rischiosi. Nei casi specifici di Cirio e Parmalat anche strumenti come le obbligazioni che hanno tipicamente un profilo di rischio-rendimento più modesto sembrano essere diventate molto rischiose. I risparmiatori legittimamente non vedono tutto questo rischio nel produrre pelati da sugo o latte a lunga conservazione. Il rischio però non deriva dalla sola attività caratteristica dellimpresa, ma anche dal grado di indebitamento. Inoltre dove il livello di monitoraggio sulla gestione da parte degli organi preposti è insufficiente, il rischio diventa maggiore. Di fatto non è sempre facile valutare quale sia il rischio effettivo di azioni ed obbligazioni emesse da unimpresa, anche nel caso in cui questa sia quotata e debba, o meglio dovrebbe, essere soggetta a tutta una serie di norme e di prescrizioni. Inoltre la valutazione del rischio diventa particolarmente difficile quando la struttura societaria di un gruppo è molto ramificata allestero e soprattutto non è chiara, come accadde ad esempio nel caso del Banco Ambrosiano. Va infatti detto che certi caratteri di queste ultime due vicende ricordano quella del Banco Ambrosiano, ovviamente solo dal punto di vista di ingegneria finanziaria e di operazioni societarie. Come tali non sono esenti da un elemento di frode che rende ancora più difficile la valutazione del rischio complessivo.
Contro la frode le norme e i controlli hanno sicuramente un valore, ma questo valore è in qualche modo relativo. Chi scrive non crede nelle spesso decantate virtù taumaturgiche del Sarbanes Oxley Act del 2002, promulgato negli Stati Uniti dopo lo scandalo di Enron. Chi scrive crede in un recupero di una dimensione umana ancora prima che etica del mondo degli affari. E mancato sicuramente anche qualcosa nel meccanismo dei controlli e della trasparenza e in unapplicazione più rigorosa di norme di buona corporate governance come quelle che sono già scritte nel codice Preda, ma non sono obbligatori. Si potrebbe ad esempio stabilire la possibilità per le imprese in difficoltà di lanciare un financial warning, in analogia con gli ormai celebri profit warning. Da ultimo, visto che si è citato a più riprese il caso del Banco Ambrosiano non bisogna però dimenticare che da quel dissesto sono passati più di ventanni, che forse non sono stati utilizzati al meglio nellopera di controllo e di prevenzione.
Note
Carlo Bellavite Pellegrini (1967) dottore di ricerca e dottore commercialista, è ricercatore confermato di Finanza Aziendale presso la facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E' autore di diversi articoli di ricerca in tema di struttura finanziaria delle imprese, corporate governance, non profit ed evoluzione dei sistemi finanziari. Ha recentemente pubblicato Storia del Banco Ambrosiano. Fondazione, Ascesa e Dissesto: 1896-1982 con Laterza (2001) e Il Quasi Equity: aspetti istituzionali, teoria economica ed evidenza empirica con Giuffrè (2003).