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Cosa resta oggi della preziosa eredità intellettuale di Leonardo Sciascia? |
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A vent'anni di distanza la situazione è, se possibile, peggiorata: due stragi hanno spazzato via i giudici Falcone e Borsellino, la crisi della I Repubblica ha partorito il fenomeno populista di Forza Italia, i ministri della giustizia castigatori di giudici e l'impunità che deriva dalla pena non più certa. Alcuni ventilano lo sgretolamento del contratto sociale.Nella storia dei Misteri Italiani la mafia ha finito per diventare la misura di tutto. Con leccezione di Sciascia: gli altri scrivevano e scrivono romanzi sulla mafia, però, solo lui seppe portare la mafia dentro la sua narrativa e i suoi saggi bellissimi. Opere che partivano dallOnorata Società, parlavano, in realtà, del limite del mondo. Cosa resta oggi della sua preziosa eredità intellettuale? Il lascito più rassicurante e politicamente corretto o le sue contraddizioni e le sue opinioni più scomode?
La sua più tragica profezia è stata quella di intuire che il terreno sul quale si sarebbe realizzato il più grande incontro di questi fanatismi sarebbe stato la giustizia: la sua amministrazione, il ruolo dei magistrati, il loro inevitabile quanto pericoloso inserirsi nel vuoto della politica. Due casi emblematici su tutti: il caso Tortora nel 1983 e il caso Sofri nel 1988: due affairs giudiziari che hanno dimostrato quanto lItalia della manzoniana colonna infame non fosse molto lontana dallItalia-da-bere di quegli anni. E neppure da quella di oggi: lItalia della Seconda Repubblica, che Sciascia non ha potuto conoscere e giudicare.
Da che parte, dunque, starebbe oggi Leonardo Sciascia, il più lucido e severo intellettuale italiano della fine del XX secolo? Dalla parte della democrazia, della libertà e della giustizia, che per lui rischiavano di essere ridotti a puri nomi. Allora. Ed oggi? Il 10 gennaio 1987 scoppiava il caso dellarticolo su I professionisti dellantimafia. La tesi dellarticolo è semplice eppure rigorosa: «la soluzione dei problemi legati alla mafia dovrà passare attraverso il diritto, la legge, o non ci sarà soluzione, perché sarebbe come opporre alla mafia unaltra mafia, come avvenne durante il fascismo. Non si può fare antimafia lasciando che lo Stato, che le città marciscano nella corruzione e nel disservizio». Lantimafia può diventare strumento di potere: «può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando». La forza di queste parole non stava solo nella lucidità dellanalisi. Ma, ancora una volta, nella potenza profetica, capace di scavalcare i confini stessi delloggetto della sua analisi. Cosa avrebbe detto, in piena tangentopoli, della via giudiziaria alla riforma della politica, della via carceraria alla lotta alla corruzione? Non avrebbero potuto quelle parole bene adattarsi anche a questo oggetto di analisi storica? Poteva esserci lotta vera alla corruzione e al malcostume senza rispetto del diritto, in nome di una solo presunta e proclamata virtuosità dellazione giudiziaria, con tanto di tintinnio di manette? Nella lotta alla mafia, Sciascia fu collocato dal coordinamento antimafia «ai margini della società civile». Dove lo avrebbero collocato i virtuosi dei girotondi? «Sciascia combatte Sciascia», scriveva Pansa, richiamando involontariamente un qualche tradimento dei chierici. E invece Sciascia era Sciascia. Come oggi, ventanni dopo, Pansa non combatte Pansa, quando con i suoi libri ricorda gli eccidi del triangolo rosso e rivela le ombre della lotta partigiana, rimosse dalla retorica dellantifascismo. Va detto che lo difesero in pochi. La maggior parte degli intellettuali pretese labiura: se non ti piacciamo noi che combattiamo la mafia Allora ti piace la mafia. Sciascia rimase inflessibile. Anzi, dette A Futura Memoria il patrimonio di idee e battaglie che avrebbero dovuto costituire il suo non negoziabile lascito di pensiero e azione. Respingere il garantismo, quale richiamo non retorico, non intermittente ed equilibrato al diritto e alla costituzione, sarebbe stato un errore incalcolabile. Nella lotta alla mafia, come anche, malgrado la sua assenza, nella lotta alla corruzione politica. «Preferirò sempre che la giustizia venga danneggiata piuttosto che negata», questa leredità più duratura, non solo di un uomo libero, ma di uno degli ultimi testimoni di una tradizione di pensiero critico ed autonomo, contro «lintolleranza del pensiero totalizzante», come scriveva Piero Ostellino in quei giorni di polemica. È curioso leggere sulla pagina che apre un libro che a Sciascia sarebbe piaciuto... 1/2
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