GABRIELE BALDINI: STUDIOSO, SAGGISTA, TRADUTTORE, FU IL PRIMO CURATORE UNICO DELL'OPERA COMPLETA DI SHAKESPEARE

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Gabriele Baldini

Il diagramma di un’emozione nella fruizione del testo
(di Enrico Terrinoni)


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iviso in quattro parti — di cui la prima è denominata ‘l’intenzione violetta’, per descrivere la gamma di voci e volti di un fantomatico personaggio, ‘lo Straniero’ — Selva e torrente racconta il passato terreno del dialogante principale, incalzato dalle domande del compagno, e le realtà ultraterrene a cui ha potuto testimoniare una volta superata la soglia finale dell’esistenza, quella che conduce all’eternità. Il passaggio dalla prima dimensione, l’umana, alla seconda, l’eterna, è descritto in questi termini dalle battute del dialogo:

«[...] ci salutammo ai piedi di una lunga scala di cui non potevo vedere la fine che si perdeva tra le nuvole. [...]

– Dove ti condusse la scala? Alla morte o alla resurrezione?

– Né all’una né all’altra: si trattò soltanto di una fuga» [37]

Nella dimensione ultraterrena, il defunto incontra i sette peccati capitali di fronte ai quali non è più possibile alcun pentimento poiché la loro comparsa fa l’effetto di una «macchina medievale dall’uso malcerto: non tanto vecchia da essere arrugginita e inutilizzabile, se si fa tanto d’assecondarne l’ipocrisia. Certo, oggi non morde più, e si usa soltanto in provincia, dove cede ancora qualche risultato. Le vestigia comunque interessano la storia dell’arte medievale [...]» [38].

Come si vede, un simile distacco ironico dalla materia trattata, oltre che risultare straniante, suggerisce in qualche modo una formazione accademica da cui non ci si vuole allontanare. In Baldini l’artista e il critico, lo studioso e il creatore d’immagini, si fondono insieme e mai si distanziano troppo l’uno dall’altro. In tale qualità — insieme con un utilizzo della lingua che non cede certo agli usi dell’italiano contemporaneo del secondo dopoguerra — risiede quanto v’è d’originale e creativo nella sua narrativa. E così, forse paradossalmente, gli scritti di fiction a cui si è fatto breve e insufficiente cenno, sembrano muoversi ancora nella tradizione della critica impressionistica, sempre a metà tra la rappresentazione letteraria del “percepito” e la sua immediata categorizzazione.

Accattone
Un fotogramma del film Accattone (1961), di Pier Paolo Pasolini. Gabriele Baldini vi fece una veloce apparizione. Nel 1965 coprì il ruolo del "Dentista Dantista" in Uccellacci e uccellini, dello stesso regista.
D’altra parte, gli studi critici di Baldini spesso partecipano della stessa qualità, e si giovano di immagini derivate dalla letteratura, per tentar di definire “il diagramma di un’emozione” nella fruizione del testo. In quelli l’analisi critica, talvolta pedante perché di natura prettamente filologica, si affianca sempre alla chiosa di carattere impressionistico. La chiave di lettura suggerita, in cui inquadrare lo stile di Baldini, è quella, per dirla in breve, che procede direttamente dalle provocatorie idee di Oscar Wilde sul rapporto tra critica ed arte, e sulla superiorità della prima sulla seconda:

«It is the critical faculty that invents fresh forms. The tendency of creation is to repeat itself. […] The mere creative instinct does not innovate, but reproduces» [1994, 1119-20].

Un caso illuminante, in cui a tale interrelazione tra critico e artista accade di manifestarsi, è la cornice che lo studioso costruisce per proporre al lettore l’interpretazione di una precisa circostanza testuale in Shakespeare: la ragione a cui si deve la mancata presenza, e quindi la morte, nell’Enrico V, di Sir John Falstaff — personaggio di successo insuperato sui palcoscenici elisabettiani — dopo le sue fortunatissime avventure nella prima e seconda parte dell’Enrico IV. Alla fine del secondo play il borioso cavaliere viene rinnegato dal principe Hal, ormai divenuto re e quindi costretto ad abbandonare le sconsiderate e truffaldine imprese di gioventù. Baldini, nella nota introduttiva all’Enrico V, mentre si prova a dar conto della mancanza di Sir John in tale dramma, così imposta il dilemma e la sua soluzione:

«“Perché Shakespeare ha ucciso Falstaff?”, ebbe a domandarsi qualche critico, come Sir Arthur Quiller Couch. “Perché doveva farlo,” si risponde; “perché aveva già consentito che il re lo colpisse al cuore, e una volta ferito il cuore, a un uomo non resta che morire”» [1985, 15].

In tal senso, la critica diviene “critica d’arte”, e la funzione dello studioso si approssima sempre più a quella dell’artista creativo e creatore, poiché, parafrasando ancora Wilde:

IIC Londra
Johann Wolfgang Goethe, Muro Torto di Porta del Popolo a Roma, circa 1790. Acquerello, 10,7x18,7 cm. Istituto di Stato d'Arte, Frankfurt am Main
«[…] the highest criticism, being the purest form of personal impression, is in itself more creative than mere creation. […] it deals not with the events, but with the thoughts of one’s own life; not with life’s physical accidents of deed or circumstances, but with the spiritual moods and imaginative passions of the mind»[1125].

Una conclusione simile potrà raggiungersi se oggetto di studio, anziché gli scritti narrativi di Baldini, diventino le sue traduzioni. Come s’è accennato, infatti, lo studioso fu curatore d’un edizione dell’opera completa di Shakespeare, di cui tradusse tutti i drammi.

In verità, rare furono le occasioni in cui le versioni di Baldini vennero rappresentate. Tra queste si ricordano le interessanti performance, negli anni Cinquanta, sul terzo programma della Rai. Una delle motivazioni per cui quelle traduzioni vennero generalmente considerate “poco rappresentabili” fu il loro esser caratterizzate da una capillare meticolosità nella resa “fedele” del significato, che spesso portò il critico a rendere eccessivamente lunghe delle battute originariamente più brevi ed agili.

Altro aspetto del quale si pensò le versioni dovessero soffrire fu lo stile, diciamo, “manzoniano” — alcuni dissero “rondiano” — che condizionava la prosa. (Qui prosa è termine adatto se altri mai poiché, fatte salve alcune eccezioni, nelle traduzione di Baldini — come in tante altre di quegli anni e prima, pubblicate in Italia — rispetto ai versi, viene privilegiata per lo più la scelta della prosa, anche nei casi in cui l’originale si affidava all’uso della poesia). In breve, la monumentale opera del critico, si disse, soffriva di taluni vizi di forma che ne avrebbero compromesso la recitazione.

In realtà, almeno se prese in comparazione con altre versioni italiane dei drammi di Shakespeare, incluse quelle “rispettose” dell’alternarsi i poesia e prosa — invero, nella lingua d’arrivo, non sempre d’effetto — quelle di Baldini dimostrano una straordinaria tensione nei confronti della “rappresentazione” a tutto tondo dell’universo di partenza, mirata ad inserirsi nel contesto culturale della target language con la fedeltà di un filologo rigoroso e tutte le peculiarità di un gusto letterario raffinato e colto.

IIC Londra
La biblioteca dell'Istituto Italiano di Cultura di Londra consta di oltre 25,000 libri in Italiano, con ampi riferimenti alla cultura e alla storia del nostro paese
Certo, taluni dubbi sulla possibilità effettuale che certe rese possano subire un’agile messa in scena permangono. Ma ad interessare il presente discorso è la qualità prettamente artistica, e dunque creativa, dell’atto della traduzione, connessa ed interrelata con la comprensione fenomenologica della cultura — non solo del linguaggio — del source text, e dunque del suo messaggio. Sembrano, le versioni di Baldini, precorrere talvolta i tempi e i percorsi di alcune conclusioni delle teoria della traduzione moderna perché, come spiega Umberto Eco:

«[…] il concetto di fedeltà ha a che fare con la persuasione che la traduzione sia una delle forme dell’interpretazione […] e che l’interpretazione debba sempre mirare, sia pure partendo dalla sensibilità e dalla cultura del lettore, a ritrovare non dico l’intenzione dell’autore, ma l’intenzione del testo, quello che il testo dice o suggerisce in rapporto alla lingua in cui è espresso e al contesto culturale in cui è nato» [1995, 123].

In questi termini, dunque, l’atto del tradurre di Baldini si presenta come una ulteriore creazione mai distante dal testo, e sempre tesa verso l’universo del lettore, con la sobrietà rigorosa dello studioso, modellata sull’estro divertito dell’artista. Si prenda a titolo d’esempio la resa di un poetico passo in prosa dell’Enrico V: una battuta di Sir John Falstaff in cui si legge il manifesto delle ribalderie sue e del compagno di truffe, il principe Hal, sotto la luce d’una umanità estrema, che Baldini sa rendere magistralmente e col sorriso sulle labbra, nella sua peculiare generosità linguistica:

«Fal. Well, then, sweet wag, when thou art king, let not us that are squires of the night’s body be called thieves of the day’s beauty. Let us be Diana’s Foresters, Gentlemen of the Shade, Minions of the Moon; and let men say we be men of good government, being governed as the sea is, by our noble and chaste mistress the moon, under whose countenance we steal» [I, ii – 1956, 14].

[Fal. E allora, per la Madonna, mio caro burlone, quando sarai re, non fare che noi, cavalieri della notte, siamo chiamati ladri delle bellezze del giorno. Concedi pertanto a noi di far la scorta alle cacce di Diana, d’essere i gentiluomini delle tenebre, i favoriti della luna, e la gente dica pure che siamo uomini di condotta esemplare, essendo governati, come lo è il mare, dalla nostra nobile e casta padrona, la luna, sotto il cui volto e sotto la cui protezione noi… rubiamo] [15].

In conclusione, Gabriele Baldini, in virtù dei suoi scritti critici ma anche di quelli narrativi e delle traduzioni, si propone come un modello di critico-artista, o artista-critico, in linea di continuità con Ruskin o Pater nel mondo inglese e, diremmo, con Cecchi o Manganelli nel panorama italiano. L’importanza delle opere postume Memorietta sul colore del vento e Selva e torrente — da intendersi come ideali prolungamenti dei frutti dell’attività di studioso e filologo — risiede quindi proprio nella loro qualità di testi “critico-narrativi”, ovvero di composizioni di natura sperimentale in cui facoltà critica e creativa si fondono insieme, in un risultato certamente originale e senza precedenti nel contesto della letteratura italiana del secondo dopoguerra.

(FINE)
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Si ringraziano la dott.ssa Luisa Carrer e l'editorial board di «Arachnofiles» (University of Edinburgh) per la gentile concessione a ripubblicare il saggio.
Opere citate:
Gabriele Baldini, Memorietta sul colore del vento (Milano, Mondadori, 1973)
Gabriele Baldini, Selva e torrente (Torino, Einaudi, 1970)
Oscar Wilde, Complete Works (Glasgow, HarperCollins Publishers, 1994)
William Shakespeare, Enrico V, a cura di Gabriele Baldini (Milano, Rizzoli, 1985)
Umberto Eco, Riflessioni teorico-pratiche sulla traduzione in Teorie contemporanee della traduzione, a cura di S. Nergaard (Milano, Bompiani, 1995)
William Shakespeare, Enrico IV, I Parte, a cura di Gabriele Baldini. (Roma, Angelo Signorelli Editore, 1956)

Enrico Terrinoni: nato a Gorizia nel 1976, è docente a contratto di Lingua e Traduzione Inglese all’Università di Roma Tre. Precedentemente è stato Government of Ireland International Scholar, e “assegnista di ricerca” presso il dipartimento di letterature comparate dell’Università di Roma Tre. Attualmente è Research Scholar in the Humanities and Social Sciences presso lo University College Dublin. Nel 2001 ha pubblicato il volume Voci d’Irlanda: oralità e tradizione nella cultura irlandese (Il Bagatto libri, Roma). Ha tenuto interventi su James Joyce a Dublino, Belfast, Edimburgo, Aberdeen, Parigi, Roma, Trieste. Tra le sue pubblicazioni sull’autore di Ulysses figurano lavori usciti in To the Other Shore (Belfast), Joyce Studies in Italy (Roma), PaGes (Dublin), James Joyce Broadsheet (Leeds). Ha tradotto e curato l’autobiografia di Brendan Behan (Confessioni di un ribelle Irlandese, Giano, 2003) e sta lavorando alle traduzioni di altri autori scozzesi e irlandesi, presso Giano e Adelphi, che usciranno nell’autunno 2004.

Milano, 28 giugno 2004
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