1. Genesi e vicenda editoriale.
Una consolidata consuetudine vuole che si inizi ogni discussione su Horcynus Orca partendo dalla genesi e dalla decennale vicenda editoriale di questo grande romanzo, perché esse, divenute ormai quasi leggendarie, non solo costituiscono per molti versi un unicum nella storia della letteratura contemporanea, ma offrono anche una prima e insostituibile chiave di accesso a questo monstrum narrativo.
Stefano DArrigo (Alì Marina, Messina, 1919 - Roma, 1992), laureatosi in Lettere a Messina con una tesi su Hölderlin, svolse servizio come sottotenente a Palermo durante la seconda Guerra Mondiale fino allo sbarco alleato. Dopo unaltra parentesi a Messina, si stabilì a Roma nel 1946, dove si dedicò al giornalismo e alla critica darte, frequentando pittori e mercanti darte. Intorno alla metà degli anni 50, DArrigo passa allattività letteraria scrivendo un libro di versi (Codice siciliano) e cimentandosi con unopera di narrativa di ampio respiro, La testa del delfino, scritta di getto in quindici mesi tra il 1956 e il 1957. Questopera, ancora inedita, è il primo abbozzo di quel romanzo che poi, dopo infinite riscritture e ampliamenti protrattisi per quasi ventanni, diventerà Horcynus Orca.
Nel corso del 1958 DArrigo sottopone a una prima revisione il testo de La testa del delfino e ne manda un paio di brani al Premio Cino del Duca, che vince (la premiazione avvenne il 23 aprile 1959). Questo avvenimento cambia la sua vita, perché tra i giurati cera Elio Vittorini, il quale si dimostra entusiasta del work in progress e chiede a DArrigo di pubblicare i due brani dellopera sul «Menabò», che egli dirigeva insieme a Italo Calvino, mentre Mondadori gli propone un contratto per la pubblicazione integrale. DArrigo accetta entrambe le offerte e si rimette a revisionare ulteriormente il testo, due capitoli del quale (un centinaio di pagine) appaiono lanno dopo sul terzo numero del «Menabò» col titolo I giorni della fera.
Nel frattempo DArrigo rivede ulteriormente il romanzo da consegnare per contratto a Mondadori in tempi brevi. Il titolo provvisorio, come si apprende dal carteggio, è ora I fatti della fera, e il dattiloscritto definitivo (1305 cartelle) viene finalmente mandato alleditore nel settembre 1961. Sembra fatta, perché subito dopo la casa editrice manda a DArrigo le bozze, che per contratto devono essere corrette in un mese circa, e DArrigo è così sicuro di farcela che rifiuta laiuto di alcuni collaboratori di Mondadori, come Niccolò Gallo e Walter Pedullà, i quali avevano trascorso qualche pomeriggio con lui per effettuare una lettura comune, e promette che in massimo quindici giorni avrebbe restituito le bozze corrette. Comè noto, ci metterà quasi quindici anni, e il libro uscirà finalmente nel 1975 con una mole poco meno che doppia e con un altro titolo ancora, questa volta quello definitivo: Horcynus Orca.
Ma cosa fece DArrigo alle bozze in tutto questo tempo, nel corso del quale esse viaggiavano a pezzi avanti e indietro tra casa sua e la Mondadori e venivano modificate di continuo? Da quando, nel 2000, la Rizzoli ha pubblicato il dattiloscritto del 1961 col titolo I fatti della fera (nellambito del piano di una riedizione delle opere di DArrigo a cura di Walter Pedullà), è possibile farsi unidea precisa dellimmane lavoro (che gli costò la salute) di revisione stilistica e linguistica, integrazione e ampliamento operato da DArrigo sulla bozza. Rispetto al dattiloscritto originario, Horcynus Orca, come detto, si presenta molto accresciuto (dei due terzi circa). Questo allungamento, però, non è dovuto tanto allaggiunta di nuovi episodi alla trama principale (anzi, ce ne sono due in meno, e non di poco conto: cfr. I fatti della fera, pp. 49-50 e 573-575 rispettivamente con le pp. 74 e 774 di Horcynus Orca), perché la fabula e lintreccio sono in massima parte identici nelle due versioni.
Che cosè cambiato allora? I primi nove decimi circa dei Fatti (602 pagg. su 660) risultano diluiti e accresciuti di oltre 200 pagine in Horcynus (per lesattezza 226), e questo ampliamento è dovuto a una riscrittura di gran parte del testo in una lingua e in uno stile più uniformi, nonché a un accrescimento di quasi tutti gli episodi principali e di quasi tutte le digressioni narrative. Nelledizione di Horcynus del 2003, alla pagina 602 de I fatti corrisponde la pagina 828 (limpaginazione è identica e comprende 44 righe per pagina), ma a questo punto cè il grande innesto di 165 pagine, il famoso ed estremamente complesso monologo delirante del protagonista sullo sperone davanti allOrca morente (cui DArrigo lavorò soprattutto tra il 1968 e il 1972), dove il tempo interiore sembra uneternità rispetto ai pochi minuti del tempo esteriore trascorso nel racconto. Le restanti 89 pagine di Horcynus risultano, infine, molto simili alle corrispondenti 58 pagine de I fatti, cui si riagganciano (con qualche aggiunta che allude a quanto accaduto nel monologo) nello stesso punto in cui il dattiloscritto era stato lasciato e quasi con le medesime parole.
La pubblicazione del romanzo nel 1975, tuttavia, non ha interrotto il labor limae di DArrigo, il quale è tornato sul testo fino alla morte con ulteriori modifiche, seppur lievi, tantè vero che la riedizione del 2003 reca nellaletta di copertina la dicitura nuova edizione con le ultime inedite correzioni dautore.
Per saperne di più sulla vicenda, rimandiamo a Horcynus Orca nella sezione delle Opere. Ai fini di questa analisi, basti sapere che la trama del romanzo si dipana in un periodo di otto giorni. Tempo sufficiente perché il protagonista ritorni al suo paese natale, faccia la conoscenza di personaggi tutt'altro che ordinari e muoia a causa dell'Orca. La brevità della fabula non corrisponde però al turbinio di pagine scritte nello stile unico di Stefano D'Arrigo, inventore quasi di una nuova lingua, caratterizzata dalla compresenza di discorso diretto e indiretto libero, dialetto, italiano comune, italiano letterario e neologismi.