VIAGGIO NEL MONDO DI THOMAS MANN - I BUDDENBROOK, TONIO KROGER, LA MORTE A VENEZIA

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Viaggio nel mondo di Thomas Mann

L'artista inadeguato di fronte alla realtà
Di Anna Maria Fabiano
Pagina 2 di 4
(segue dalla pagina 1/4 [««–– indietro])

Nelle opere che precedono La montagna incantata, I Buddenbrook, Tonio Kroger, La morte a Venezia, si segue un'evoluzione del concetto di arte, che interpreta un ruolo salvifico. Ma l'artista è un emarginato, inadeguato a descrivere la realtà.

Thomas Mann sulla spiaggia
no sguardo panoramico ad alcune delle opere precedenti la Montagna Incantata ci propone un itinerario ben preciso che, come afferma Asor Rosa, rende possibile il superamento del problematicismo per una pedagogica acquisizione dell’umanesimo.

Ne I Buddenbrook è diffuso un senso di disfacimento, annunciato per sintomi progressivi. È una monumentale storia di quattro generazioni, ma fin dall’inizio si avverte il processo fatale che dissolverà le sane e robuste tradizioni borghesi, per sfociare nel decadente sguardo ambrato di Hanno, ultimo rampollo, chiuso nel suo doloroso ed estenuante tormento musicale. Qui chi vive la duplicità è il padre di Hanno, Thomas, collocato al punto d’incontro delle due tendenze: quella dell’equilibrio borghese e del senso del casato e di contro la seduzione del mondo enigmatico della moglie Gerda. Thomas rimane un isolato, un escluso. Gerda e Hanno gli sono incomprensibili e, all’estremo tragico, il fratello Christian gli è intollerabile, perché in lui vive l’artista negativamente concepito da Mann: dilettante, decadente, nevrotico, ammalato di un morbo che non lo uccide mai, fatto di «idee fisse», di paure snervanti.

«In Christian(…) Mann ha proiettato le proprie riserve riguardo all’estetica decadente, agli abissi che si aprono di fronte al talento non sostenuto da un saldo impegno morale nella crisi generale dei valori» ( Carla Beccagli, Invito alla lettura di Thomas Mann, Ed. Mursia, 1878).

Già in questo romanzo è presente la morte, sia come fenomeno organico, sia come dissolvimento spirituale, sia come problema esistenziale, e l’antinomia tra spirito e vita, accolta da Nietzsche e Schopenhauer, corrisponde alla opposizione malattia/salute.

L’eroe in tensione è dunque Thomas: in lui i principi antitetici tra vita e spirito, salute e malattia, tradizione borghese e tendenze antiborghesi convivono ma si combattono. Se per un verso è animato da un enorme impulso produttivo nella Ditta, egli non possiede l’intima serenità di suo nonno, classico e razionalista che svolgeva il suo ruolo sociale senza porsi problemi di coscienza; e non assomiglia a suo padre che, antinapoleonico e nazionalista, portava con sé l’impronta della eredità luterano-pietista e riusciva ancora, anche se attraverso un profondo lavoro interiore, a mettere d’accordo moralità religiosa e attività economica, nella coscienza del rispetto dovuto alla tradizione di famiglia. Thomas invece vive in sé drammi e contraddizioni, dando vita, con la sua repulsione per Christian, ad un desiderio di mantenersi legato ad un mondo che gli sfugge e che cerca di trattenere compiacendosi di una perfetta forma esteriore.

Ma lo spirito che nell’ultimo rampollo Hanno prevarrà decisamente non manca di colpire la complessa psiche di Thomas; la paura della morte diventa esperienza mistica ed esaltante, vissuta attraverso l’incontro con Schopenhaur, la «morte come annullamento dei limiti individuali, come espandersi dell’io liberato dal principium individuationis e l’identificarsi di questo io col principio della volontà vitale e il suo rivivere in quanto tale in tutti coloro che felici ed eletti dicono sì alla vita» ( Carla Beccagli, op.cit).

L’attrazione è appunto momentanea: Thomas preferirà, sulla base dell’esempio dei padri, rifugiarsi in una religiosità conformista.

Hanno conclude il ciclo: creatura votata alla morte che preannuncia una figura di artista estetico/erotico capace di annullare se stesso.

Per il momento arte, malattia e morte sono soltanto disfacimento: distrutti i valori sani e borghesi, fondati su una vitalità attiva ed operosa, emerge il problema esistenziale della morte che nemmeno la filosofia di Schopenhauer riesce ad alleviare.

In Tonio Kroger vive liricamente il dramma di un ragazzo lacerato, diviso tra i valori profondamente familiari e confortanti di un sereno amore per la vita e l’attrazione deliziosamente sublime verso l’artistica capacità di penetrazione negli eventi e nello sconfinato labirinto del mondo dello spirito. Tonio è un escluso, un emarginato e non oggettivamente ma perché tale egli si sente; ama di profondo amore chi è diverso da lui: il biondo compagno di scuola, semplice e concreto, interessato all’aspetto scientifico del sapere, estraneo a Schiller ed ai meandri in cui può sprofondare l’occhio penetrante dell’anima; e Inge, la bionda fanciulla dalla bonaria superficialità vitale che si realizza nel prendere lezioni di ballo e nel vivere la vita senza avvertire il bisogno di analizzarla e di scomporla.

Vivere significa non intellettualizzare e intellettualizzare significa incapacità di vivere tra le “bionde” creature, felici pur nella loro mediocrità esistenziale.

L’antinomia è possente: Tonio infatti ama le «creature bionde» e disprezza se stesso, perché non può che sentirsi un «borghese sviato», colui che non sta a suo agio in nessuno dei due mondi ed è emarginato tra i figli della vita e insoddisfatto tra gli artisti sviati e antiborghesi.

«Io amo la vita (…) e mai e poi mai potrò concepire che lo straordinario, il demoniaco vengano onorati come ideale. No, la “vita”, intesa quale eterno contrapposto allo spirito e all’arte, non si presenta a noi anomali come anomalia, come una visione di sanguinosa grandezza o di bellezza selvaggia, no, il regno delle nostre aspirazioni è proprio la normalità, la decenza, l’amabilità, insomma la vita nella sua banalità seducente». ( Tonio Kroger).

Tonio non è più un borghese, ma non ha cessato di esserlo. «Ammiro coloro – dirà – che, fieri e impassibili spregiando l’uomo, si avventurano sui sentieri che guidano alla grande demoniaca bellezza: ma non li invidio. Perché, se qualcosa è realmente in grado di fare di un letterato un poeta, è appunto questo mio borghese amore per l’umano, il vivo e l’ordinario. Ogni calore, ogni bontà, ogni sorriso proviene da esso». ( Thomas Mann, Tonio Kroger)

Nel suo amore per la normalità, Tonio riscatta se stesso e la borghesia dagli eccessi dell’arte, è un «borghese sviato» sì, ma è un borghese che si salva attraverso il rifiuto d un morboso attaccamento all’abnorme.

L’arte in sostanza è salva: per suo merito il normale, il sano, l’equilibrato non sono oggetto di disprezzo ma di disperata nostalgia e in questo anelito nostalgico di possesso, sta la salvezza di Tonio e quindi dell’artista.

Il conflitto, apparentemente risolto, torna nella Morte a Venezia, breve romanzo di cui, in origine, la Montagna Incantata doveva essere solo un’appendice.

Siamo ancora in un clima di morte: tisi o colera fa lo stesso, e anche qui, come nella Montagna, il paesaggio diventa stato d’animo e l’atmosfera, impregnata di odori malsani, induce allo scatenarsi di orge dionisiache, dove il gusto del proibito si affaccia prepotente. L’artista che, con faticoso impegno, si è elevato a educatore, a cultore della severa e pura legge formale, impregnato di “estetismo etico”, scopre, attraverso l’abbandono all’avventura vitale, che la forma dopo tutto ha due facce essendo nel contempo morale ed immorale, capace di asservire ogni moralità sotto il suo scettro dispotico.

Pessimistica conclusione per l’artista che, se in Tonio Kroger salvava il suo “essere diverso” attraverso l’umana nostalgia per la vita, qui “muore” fisicamente ma soprattutto simbolicamente, nella considerazione della sua incapacità a porsi come educatore di giovani.

Malattia e morte sono private di qualunque funzione positiva: esse preludono al dissolvimento dei valori, alla decadenza morbosa; arte non coincide con educazione, Goethe e il suo insegnamento sono lontani e il volgere le spalle ai valori borghesi un volgare tradimento, con il conseguente riacutizzarsi di una profonda tensione tra ciò che si era e ciò che ora si è.

Le emozioni morbose sono malattia che prelude alla morte e l’artista è ancora un emarginato che solo illusoriamente può interpretare la vita utilmente produttiva.

(2/4 continua––» 3/4)


Questo saggio si compone, oltre al presente, di altri tre articoli: L'ambiguità di Thomas Mann; La montagna incantata; Il romanzo pedagogico.

Milano, 29 giugno 2002
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