D. Questo è il momento in cui ha maturato lidea di diventare uno scrittore di professione?
ì, rifiutai di fare qualsiasi attività di leguleio, avvocato o fare concorso di giudice o notaio. Ho insegnato nelle scuole agrarie. Linsegnamento in scuole sperdute, in paesini di montagna, mi serviva per conoscere meglio il mondo contadino che io volevo raccontare. Negli anni in cui avevo deciso di fare lo scrittore, gli schemi, gli esempi, gli archetipi nostri erano da una parte Carlo Levi con Cristo si è fermato a Eboli e con il libro siciliano Le parole sono pietre, che parlano appunto dei due mondi contadino sotto il fascismo e dallaltra parte i miti di Pavese, di Vittorini, soprattutto il Vittorini di Conversazioni in Sicilia. Io volevo conoscere questo mondo, volevo assolutamente rappresentarlo.
Lidea era di una scrittura di tipo sociologico, «alla Carlo Levi», però poi quando mi misi a scrivere, con la consapevolezza che acquisii di quello che era successo letterariamente prima che io cominciassi a scrivere, di quello che si stava svolgendo allora in Italia, in campo letterario, capii attraverso le letture e laggiornamento attraverso le riviste letterarie, cosa era successo: la conclusione di unestetica letteraria che andava sotto il nome di neorealismo e la possibile collocazione come scrittore sulla linea di una scrittura comunicativa oppure di una scrittura espressiva o sperimentale, che dir si voglia. La mia opzione è stata sulla scrittura espressiva che aveva come archetipo un mio conterraneo, Giovanni Verga, che è stato il primo grande rivoluzionario stilistico nella letteratura moderna. Da lui si passava, attraverso altri scrittori, come Gadda e Pasolini di quegli anni. Pasolini nel 61 aveva pubblicato il suo saggio sulla lingua italiana che si chiamava Nuove questioni linguistiche, dove diceva della trasformazione della lingua italiana. In parallelo, quello che era accaduto nel nostro Paese sul finire degli anni 50, inizio 60, della grande trasformazione italiana, della grande emigrazione.
D. Cosa lha spinta a ritornare a Milano, nel 1968? Come allinizio si guadagnava da vivere? E come questo ritorno a Milano ha influito sulla sua scrittura?
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uesto mondo, lho espresso in parte con il mio primo libro, il libro delliniziazione La ferita dellaprile, dove ho raccontato quello che era il clima sociale, politico del secondo dopoguerra, le prime elezioni regionali in Sicilia del 47 e le elezioni del 48. Sappiamo che in Sicilia si era perpetuato un sistema economico di tipo medioevale che era quello del latifondo e del feudalesimo. Già alla fine dell800 si erano tentate delle riforme agrarie mai attuate. Il fascismo, trionfalisticamente, aveva cercato di adottare una riforma agraria che andava sotto il nome di «assalto al latifondo» ma era stato un inganno e una finzione. Nel secondo dopoguerra, queste istanze popolari, soprattutto del mondo contadino, si erano di nuovo ricreate. La storia di quegli anni è nota, restituita ormai dai libri di storia, dalla filmografia, lultimo film che abbiamo visto in questi giorni è stato Placido Rizzotto ma ci sono stati tanti «Placido Rizzotto» in Sicilia, tanti sindacalisti uccisi dalla mafia alleata con il potere degli agrari. Il movimento indipendentista siciliano cercò un escamotage per staccare la storia della Sicilia dalla storia italiana e farla diventare unisola indipendente, dove il gioco del potere nella conservazione sarebbe stato più facile.
Lopposizione dei contadini a questo movimento indipendentistico culmina con la storia di Giuliano, il bandito ingaggiato da questi agrari indipendentisti, che insieme alla mafia gli avevano armato la mano per fare sparare sui contadini che a Portello delle Ginestre festeggiavano il Primo Maggio. Questo episodio riguardava lelezione del 47, in cui cera stata la vittoria della sinistra che andava sotto il nome di «Blocco del popolo», seguita dal revanchismo della conservazione alle elezioni nazionali del 48 e la vittoria della DC, grazie anche allepisodio della strage di Portello delle Ginestre, che aveva fatto da intimidazione alle forze progressiste. Io ho cercato di raccontare questo periodo della storia siciliana in questo mio libro. Poi si era attuata la riforma agraria, nel 50, ancora una volta una riforma fittizia, perché i contadini assegnatari non avevano modo né strumenti né mezzi per coltivare queste terre, che erano terre che non davano profitto perché erano terre aride, dove mancava lacqua. Così i contadini sono stati costretti a fare la loro valigia di cartone, a emigrare . E questo è stato il grande esodo meridionale.
Il mito del mondo contadino, mentre ero lì, mi era sparito sotto gli occhi. Il mondo contadino finiva, la gente era costretta ad andare, cera questo famoso «treno del sole» che si riempiva di emigranti che arrivavano a Milano e venivano smistati nellEuropa centrale, nelle miniere del Belgio, in Francia e in Svizzera oppure andavano a Verona e venivano convogliati in Germania. Da contadini si trasformavano in operai e andavano nelle fabbriche del centro Europa, oppure rimanevano nel triangolo industriale nel Nord Italia. Ci sono tanti libri e inchieste su questa emigrazione interna nostra e su tutto quello che era avvenuto in quegli anni. Ho assistito alla fine, de visu, di questo mondo contadino e ho quindi visto linutilità del mio stare in Sicilia. Io volevo vedere da vicino questa grande trasformazione della realtà italiana.
Sollecitato anche da due intellettuali, Vittorini e Calvino, che allora pubblicavano una rivista che si intitolava «Menabò», che invitavano i giovani intellettuali italiani a studiare questa nuova realtà italiana, il processo di industrializzazione del nostro paese, linurbamento delle masse meridionali sono arrivato a Milano nel 68 perché volevo vedere questa grande trasformazione. Mi sono inurbato e prima di partire mi sono consultato con due miei grandi amici, due persone assolutamente diverse e opposte come nascita. Erano due scrittori: uno era Leonardo Sciascia e laltro era, un poeta, un barone, Lucio Piccolo di Cala Novella, che era cugino di Lampedusa e che ho frequentato per tanti anni, perché abitava a Capo dOrlando vicino al mio paese. È stato un grande maestro per me perché era un uomo sapientissimo, conosceva la letteratura e la poesia mondiale in un modo meraviglioso. Conosceva parecchie lingue, era stato scoperto da Montale, pubblicato da Mondadori. Quando decisi di partire, Sciascia mi spinse a partire, qui non cè più speranza, se io fossi più giovane e non avessi famiglia partirei anchio. Io ero più giovane, ero libero e quindi più disinvolto. Piccolo invece, che aveva una concezione romantica della letteratura, mi diceva: non parta, perché rimanendo lontani si ha più fascino, se raggiunge i centri culturali, lì diventa uno come tanti altri. Lui non pensava che potessi avere delle altre necessità, di vedere questo nuovo mondo che stava nascendo.
Sono arrivato a Milano nel 68 perché volevo vedere questa grande trasformazione. Nel 67 avevo fatto un concorso alla fatidica RAI. La chiamo fatidica perché gran parte degli scrittori sono passati attraverso questa grande madre corruttrice che è stata la RAI. Io feci questo concorso per funzionari e lo vinsi. Fummo in 5 su una pletora di concorrenti. Nel concorso si chiedeva tutto lo scibile umano: storia della letteratura, storia del cinema, del teatro, con una commissione molto ampollosa dove cerano Strehler, Paolo Grassi, il Prof. Apollonio, dirigente della Rai, Leone Piccione e tanti altri. Sono stato assunto a 150.000 lire al mese e nel 68 presi servizio alla sede di Milano.
D. A questo punto, nella sua scrittura sono presenti dei percorsi che Lei stava già evolvendo. Ci può aiutare a individuarli?
Gennaio, febbraio, marzo 2001
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