Le interviste di
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VINCENZO CONSOLO
Gli anni della formazione L'avventura della scrittura Dalla parola al silenzio La questione linguistica Letteratura e arte figurativa Conclusione
«Si arrivava a una sorta di afasia, di impraticabilità della scrittura che era speculare (sia quella dei futuristi che quella del «Gruppo ‘63») alla pseudo afasia del potere. Erano due pseudo afasie che corrispondevano. Gli uni per impraticabilità di questo linguaggio, gli altri per occultamento della verità, perché il potere occulta sempre la verità».
(Vincenzo Consolo)
Poetica di Vincenzo Consolo
Negli anni della neoavanguardia e della seconda rivoluzione industriale, sulle pagine di «Menabò», Calvino lanciava alla letteratura contemporanea la famosa «Sfida al labirinto». A quel tempo qual era la sua posizione al riguardo?

Lei ha scritto diversi romanzi che sono stati definiti “storico-metaforici” e in Retablo (1976) scrive «Sembra un destino, quest’incidenza, o incrocio di due scritti...» Lei sente di rivivere nella scrittura la scrittura di altri autori e attraverso il romanzo storico le vicende del presente?

È questo un modello su cui sente sia impostata anche la sua vita?

Per tanti anni, nonostante la sua permanenza in una grande città del Nord Italia, Lei è stato soprattutto testimone di una realtà siciliana e insulare, insieme drammatica e malinconica. In quale punto e in quale delle sue opere sente che queste due realtà si siano avvicinate maggiormente?


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D. Negli anni della neoavanguardia e della seconda rivoluzione industriale, sulle pagine di «Menabò», Calvino lanciava alla letteratura contemporanea la famosa «Sfida al labirinto», ossia al caos: invitava alla ricerca di soluzioni razionali di problemi dell’uomo o almeno di un «ordine mentale abbastanza solido per contenere il disordine», nella speranza di «saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio», così come scriveva nelle Città invisibili. A quel tempo qual era la sua posizione al riguardo?

a mia posizione era perfettamente aderente a quello che era stato il suggerimento calviniano. Io seguivo molto in quegli anni i temi che si dibattevano su questa rivista che era appunto «Menabò», pubblicata da Vittorini e Calvino.
Vittorini aveva visto soprattutto la trasformazione linguistica e pensava alla nascita di una nuova koinè dall’incrocio dei dialetti meridionali con quelli settentrionali. Lui aveva poca fiducia nei dialetti meridionali perché diceva che erano portatori di rassegnazione e anche di furbizia e corruzione morale. Non aveva tutti i torti perché i dialetti meridionali sono quasi sempre ammiccanti, eufemistici mentre lui trovava i dialetti del Nord Italia, proprio perché crescevano su una realtà sociale diversa, molto più espliciti e più leali, più comunicativi. Non immaginava Vittorini, come poi ha visto Pasolini, che su questa ipotetica koinè sarebbe poi sorta una super-koinè che sarebbe stato il nuovo italiano di tipo tecnologico e aziendale che i mezzi di comunicazione di massa, che allora esplodevano, avrebbe diffuso nel nostro paese, trasformando la lingua italiana.

Il suggerimento di Calvino di dare ordine al caos era un suggerimento del tipo razionalistico-illuministico e alla fine anche un suggerimento di ordine etico e morale. Perché io credo che questa sia la funzione dell’intellettuale e dello scrittore, quella di cercare l’ordine, la ragione di fronte al caos di sempre, non solo dell’epoca di cui parlava Calvino. Al contrario c’era in quegli anni un’avanguardia, rappresentata dal Gruppo ‘63, i cui esegeti, i cui teorici proclamavano che bisognava rompere i nessi di tipo semantico o di tipo sintattico perché questa frattura dei nessi, questo caos linguistico e strutturale rappresentava il caos della società. Uno di questi teorici era Angelo Guglielmi. Questo programma del Gruppo ‘63, non faceva altro che ripetere quello che era stato il programma dei futuristi, soprattutto di Marinetti, il quale aveva dettato un decalogo per poter accedere alla scrittura e proclamava: primo, abolire i verbi, mettere i verbi all’infinito, secondo, abolire gli avverbi; terzo, abolire non so che cosa. Si arrivava a una sorta di afasia, di impraticabilità della scrittura che era speculare (sia quella dei futuristi che quella del Gruppo ‘63) alla pseudo afasia del potere. Erano due pseudo afasie che corrispondevano. Gli uni per impraticabilità di questo linguaggio, gli altri per occultamento della verità, perché il potere occulta sempre la verità.

L’ha studiato molto bene Pasolini con il suo saggio del 1961 Nuove questioni linguistiche, prendendo come esempio del cambiamento linguistico italiano un brano del discorso di Aldo Moro nel momento significativo dell’inaugurazione dell’Autostrada del Sole. Si capiva che era un linguaggio tecnologico aziendale astratto dove quella che era la realtà e la logicità veniva messa in secondo piano – se c’era – veniva occultata da questo linguaggio assolutamente illogico, di tipo «caotico».

D. Lei ha scritto diversi romanzi che sono stati definiti “storico-metaforici” e in Retablo (1976) scrive «Sembra un destino, quest’incidenza, o incrocio di due scritti, sembra che qualsivoglia nuovo scritto, che non abbia una sua tremenda forza di verità, d’inaudito, sia la controfaccia o l’eco d’altri scritti». Per restare alla metafora di Retablo, che è poi la metafora del palinsesto, (che è poi la situazione dell’intellettuale contemporaneo «politically correct», che scrive sul retro di fogli già utilizzati) Lei sente di rivivere nella scrittura la scrittura di altri autori e attraverso il romanzo storico le vicende del presente?

ì. La scelta dei temi, che sono temi storici metaforici e la scelta di questo tipo di linguaggio che è un linguaggio di tipo palinsestico, che è una scrittura su altre scritture, è quello che distingue lo scrittore, del mio tipo, impegnato con la storia, impegnato con le vicende della società e d’altra parte anche uno scrittore di tipo sperimentale, molto attento alla forma, che non ha una scrittura di tipo razionalistico-illuministico. Voglio dire che gli scrittori illuministi come Moravia, Calvino, Sciascia usano, indifferentemente per qualsiasi tipo di argomento, questo strumento linguistico estremamente razionale, referenziale, comunicativo. Lo scrittore di tipo sperimentale usa un controcodice, che è un codice espressivo che tiene conto della tradizione letteraria e linguistica e quindi cerca di portare nella sua scrittura tutti gli echi che fanno parte della nostra tradizione letteraria. Gli avanguardisti al contrario operano una sorta di azzeramento dei linguaggi e su questo azzeramento poi costruiscono un linguaggio artificiale, che è quello di cui parlavo prima e che diventa un linguaggio poco praticabile e incomprensibile. Lei ha riportato quella frase di Retablo che è emblematica. Gli sperimentalisti tengono conto di quello che è la tradizione letteraria e su questa tradizione cercano di elaborare sperimentando e cercando di far coincidere quelle che sono le istanze del nostro tempo e di trasferirle sulla scrittura, di far coincidere cioè il libro con il tempo in cui opera, anche se il romanzo è di sfondo storico, in cui vi sia quella vitalità, quella gente che attualizza il romanzo storico attraverso la metafora e lo fa sembrare lo fa essere specchio della contemporaneità, del momento in cui lo scrittore si trova a rappresentare un fatto, a raccontare un evento. Il padre del romanzo storico nella letteratura italiana moderna è stato Alessandro Manzoni, lui ci ha insegnato cos’è il romanzo storico metaforico. Naturalmente c’è un’assoluta diversità tra i romanzi di Walter Scott da cui sembra che Manzoni abbia preso l’idea e I promessi sposi del Manzoni. In Scott non c’è metafora, sono delle storie romanzate, mentre il romanzo storico è un romanzo immediatamente metaforico perché si parla del passato per illuminare il presente perché i fatti di quel passato che si è scelto di raccontare somigliano terribilmente ai fatti della nostra contingenza, del nostro presente: Manzoni parlava del ‘600 per parlare dell’800 perché nell’800 c’erano gli stessi rischi C’erano i rischi delle stesse follie, degli stessi marasmi sociali, degli stessi fanatismi, delle stesse pesti, delle stesse condanne, delle stesse torture.

D. È questo un modello su cui sente sia impostata anche la sua vita?

Gennaio, febbraio, marzo 2001
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Intervista con Vincenzo Consolo, gennaio, febbraio, marzo 2001

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http://www.italialibri.net - email: info@italialibri.net - Ultima revisione Gio, 3 lug 2003


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