GIUSEPPE UNGARETTI INSERISCE NE L'ALLEGRIA NOVITÀ FORMALI E POETICHE CHE PREANNUNCIANO I CARATTERI DELLA POESIA ERMETICA

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L’Allegria (1915-1931)



Giuseppe Ungaretti, L’Allegria
in Vita d'un uomo. Tutte le poesie
Mondadori, 2005
I Meridiani Collezione,
LXIII-906 p; Euro 12,90

edizione definitiva dell’Allegria esce nel 1931, prima importante raccolta in cui Giuseppe Ungaretti riunisce, sistema e riordina le precedenti pubblicazioni che, con altri titoli, avevano contenuto le poesie che via via l'autore aveva prodotto.

La prima di queste precedenti pubblicazione risale al dicembre del 1916 e porta il titolo Il porto sepolto, un piccolo volume pubblicato a Udine da un suo amico e commilitone, il tenente Ettore Serra. Conteneva il primo nucleo dell’edizione definitiva del 1931, comprese le poesie scritte al fronte, dal 22 dicembre 1915 al 2 ottobre del 1916. La prima poesia è Veglia stesa a Cima Quarto il 23 dicembre 1915. L’ultima poesia è Commiato, concepita a Locvizza il 2 ottobre 1916.

Questi componimenti sono nati dall’esperienza dolorosa della guerra, dal compianto per la perdita di tanti commilitoni, della cui violenta fine il poeta era stato testimone nel corso degli scontri armati a cui aveva partecipato.

Un'importante porzione di questa raccolta è costituita da ricordi della vita civile, che però in qualche modo la guerra ha contribuito a far rievocare. La guerra è, dunque, il momento, l’occasione che induce alla meditazione sui grandi temi della vita e della morte, sui temi dell’amore e della trascendenza.

I versi che compongono In memoria erano incentrati proprio su un fatto riguardante la sfera personale dell'autore: la poesia rievoca la sfortunata vita dell'amico Moammed Sceab, suicida senza patria nel 1913, con cui Giuseppe Ungaretti aveva condiviso l'indirizzo di Parigi, all'albergo di rue des Carmes, nel 5 arrondissement... Anche il poeta si era sentito “senza patria” in via dei Carmelitani [ma anche, se vogliamo, via dei “canti”, ovvero, via della “poesia” ndr.].

La poesia che da il titolo alla raccolta del 1916 Il porto sepolto reca anche un valore introspettivo, per Giuseppe Ungaretti è ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile. Un porto, sommerso, ad Alessandria, città natale dell'autore, doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che la città era un porto già prima d’Alessandro.

I fiumi, è una celebre composizione, nella quale Giuseppe Ungaretti rievoca, con i propri ricordi personali, i fiumi che li hanno attraversati. L’immersione nelle acque, secondo il simbolismo che è ad esse proprio, comporta una morte iniziatica, cui segue una rinascita.

Ecco il commento di Eduardo Esposito a questa prima edizione dell'opera:

    «Il porto sepolto è poesia della poesia, è un momento di riflessione che, dall’esperienza di dolore da cui nasce, si stacca per dire del proprio mistero e della propria felicità. Il poeta vi appare come colui che sa raggiungere il porto sepolto del nostro essere e della nostra memoria, e ne torna con un tesoro di canti da comunicare e da diffondere. Nulla gliene resta, se non la consapevolezza di quel bene toccato, di quel segreto raggiunto e tuttavia inesauribile, speranza e promessa di ulteriore consolazione» (Poesia del Novecento in Italia e in Europa vol. I pag. 140)

Nel 1919 esce la seconda edizione della raccolta, che aggiunge alcune poesie inedite. La sintetica lirica Allegria di naufragi, che dà il titolo all'opera, annuncia che il destino è una serie di rovesci, ma «il lupo di mare» non si arrende; dopo il naufragio ricomincia a navigare, euforico di affrontare l'occasione insperata di un nuovo inizio.

Un’altra celebre poesia di questa seconda edizione è Mattina.

    MATTINA
    Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917.

    M’illumino
    D’immenso.

Un frammento polisemantico che dà adito a una molteplicità di interpretazioni.

    «E’ la poesia più breve di Ungaretti: due parole, tra di loro unite da fitti richiami sonori. Nell’illuminazione del cielo al mattino, da cui nasce la lirica, il poeta riesce a intuire e cogliere l’immensità».(Marisa Carlà Epoche e Culture volume 2 tomo II pagina 634)

Romano Luperini fornisce un diverso significato:

    «La comprensione della poesia richiede di soffermarsi sulla particolare valorizzazione del titolo, indispensabile all’interpretazione corretta del significato: lo splendore del sole sorto da poco trasmette al poeta una sensazione di luminosità che provoca immediate associazioni interiori ed in particolare il sentimento della vastità. M’illumino d’immenso significa appunto questo: l’idea della infinita grandezza mi colpisce nella forma della luce. L’intensità della poesia si affida anche alla sinestesia su cui è costruito il testo, oltre che al perfetto parallelismo fonico-ritmico dei due versicoli, aperti da una elisione, costituiti da due ternari e ruotanti attorno a due termini comincianti per i e terminati per o». ( da La scrittura e l’interpretazione volume 3 tomo III pagina 144).

Maurizio Dardano aggiunge ancora una diversa interpretazione:

    «Il poeta ha voluto esprimere la gioia di immergersi nella luminosa bellezza del creato, negli spazi infiniti di una mattina piena di sole». (pag.793)

Il poeta guarda il cielo libero e sgombro e pieno di luce. Percepisce una sensazione di benessere e allora si riempie di luminosità e di gioia che lo fa sentire in armonia con la natura.

Un’ulteriore prova del talento di Giuseppe Ungaretti si trova nella poesia Dannazione, che appartiene al filone personale e religioso della sua poetica.

    DANNAZIONE
    Mariano il 29 giugno 1916.

    Chiuso fra cose mortali

    (Anche il cielo stellato finirà)

    Perché bramo Dio

In questa poesia Ungaretti esprime tutta l’ansia per la ricerca di Dio, constatando che un giorno, tutto avrà un termine e l’unica cosa che resisterà nel nulla è Dio.

Pellegrinaggio esprime invece la capacità di trovare la forza interiore per salvarsi dalle macerie della guerra. Al poeta basta una illusione per farsi coraggio. In essa il poeta formula una celebre definizione sé: «Ungaretti / uomo di pena / ti basta un’illusione / per farti coraggio».

Le poesie di guerra esprimono il dolore per la consuetudine con la violenza, per la distruzione e la morte che procurano ciccatrici indelebili nel cuore del poeta, incapace di tornare a un luogo che senta suo, «innocente» nel senso di “non in grado di nuocere”, ovvero per non aver conosciuto uno stato di belligeranza che ha interessato tutto il mondo.

Nel 1923 esce un'edizione dell’opera con la prefazione di Benito Mussolini.

Secondo Ungaretti la funzione fondamentale della poesia è di esprimere ciò che, nel più profondo dell’anima, è inesprimibile, ciò che si trova nell’inconscio. È compito del poeta portarlo in superficie. Ogni parola esprime un abisso impenetrabile; il poeta deve far emergere i segreti più nascosti.

    «L’esperienza poetica è esplorazione di un personale continente d’inferno, e l’atto poetico, nel compiersi, provoca e libera, qualsiasi prezzo possa costare, il sentire che solo in poesia si può cercare e trovare libertà. Continente d’inferno, ho detto, a causa della singolarità del sentimento di non essere come gli altri, ma in disparte, come dannato, e come sotto il peso di una speciale responsabilità: quella di scoprire un segreto e rivelarlo agli altri. La poesia è scoperta della condizione umana nella sua essenza, quella di essere un uomo d’oggi, ma anche un uomo favoloso, come un uomo dei tempi della cacciata dall’Eden; nel suo gesto d’uomo, il vero poeta sa che è prefigurato il gesto degli avi ignoti, nel seguito di secoli impossibile a risalire, oltre le origini del suo buio».(Vita di un uomo. Nota introduttiva pagina 505).

Questa poetica è stata illustrata da Ungaretti nella la celebre poesia Commiato che concludeva la prima edizione de Il porto sepolto.

    COMMIATO
    Locvizza il 2 ottobre 1916

    Gentile
    Ettore Serra
    Poesia
    È il mondo l’umanità
    La propria vita
    Fioriti dalla parola
    La limpida meraviglia
    Di un delirante fermento

    Quando trovo
    In questo mio silenzio
    Una parola
    Scavata è nella mia vita
    Come un abisso

In sintesi le novità formali e poetiche contenute in questa prima opera di Giuseppe Ungaretti sono numerose e innovative rispetto al panorama poetico italiano contemporaneo alla prima Guerra Mondiale: la verticalizzazione dell’aspetto tipografico, con i versi che coincidono in lunghezza con le parole; la mancanza di punteggiatura; la soppressione degli aggettivi e, di conseguenza, la tendenza alla nominalizzazione; la frantumazione del verso; la sintassi ridotta la minimo; la rima libera; parole ridotte all’essenziale; preponderanza del tempo presente e dell’io del poeta.

Non a caso i versi delle composizioni di Ungaretti vengono definite versicoli, come in queste righe di Attilio Cannella che sintetizzano le novità formali della raccolta

    «La metrica tradizionale è frantumata in versicoli, la punteggiatura è abolita, subentrano al suo posto pause di silenzio, enfatizzate dall’uso dell’a capo; questa sillabazione non è però il frutto di un gusto ricercato, ma di una situazione di autentica sofferenza (la parola è scavata nella vita del poeta “come un abisso”. Un altro strumento espressivo usato da Ungaretti è l’analogia, che non si fonda sull’onomatopea cara a Pascoli e ai Futuristi, ma consiste, quasi come un corto circuito, nell’accostamento di cose molte distanti tra di loro. La parola assume così un significato magico, intensamente suggestivo, secondo la lezione che Ungaretti ha appreso da Mallarmé.» (Attilio Cannella La realtà e la parola Principato editore pagina 370).

Ecco il giudizio che Leone Piccioni ha espresso sulla metrica:

    «La sua metrica è nuova, scarna, secca, versicoli, al massimo frantumati, anche se tra segmento e segmento circola il canto e si può ricostruire il verso; ma è infranta di colpo la tradizione accademica d’Italia del verso postpascoliano, dannunziano, crepuscolare» (Per conoscere Ungaretti, pagina 24).

Nel 1931 esce l’edizione definitiva con il titolo L’Allegria. L'apertura della raccolta è affidata alla poesia Eterno, due versi enigmatici e profondi:

    ETERNO

    tra un fiore colto e l’altro donato
    l’inesprimibile nulla

questa breve breve composizione preannuncia i caretteri della poesia ermetica della seconda opera di Giuseppe Ungaretti: Sentimento del tempo.

Tra un fiore colto da me e un fiore donato da Dio, vi è l’inesprimibile “nulla”. Il concetto dell’inesprimibile nulla costituisce la metafisica che rivestirà in seguito una grande importanza in un’altra lirica: precisamente nella poesia Canzone della raccolta poetica La terra Promessa, iniziata nel 1935 e pubblicata nel 1950.

Un’altra famosa composizione de L’Allegria è Natale.

    NATALE
    Napoli il 26 dicembre 1916.

    Non ho voglia
    Di tuffarmi
    In un gomitolo
    Di strade

    Ho tanta
    Stanchezza
    Sulle spalle

    Lasciatemi così
    Come una
    Cosa
    Posata
    In un angolo
    E dimenticata

    Qui
    Non si sente
    Altro
    Che il caldo buono
    Sto
    Con le quattro
    Capriole
    Di fumo
    Del focolare.

«Il poeta si trova in licenza presso la vastissima casa dell'amico Gherardo Marone – (Vita d'un uomo, pagina 525) – e qui sente tutta la malinconia accumulata al fronte.» Ora gli sembra di essere una cosa posata e ha soltanto desiderio di starsene con il caldo del focolare, perché pensa di aver trovato una casa che gli dia pace. Esprime la sua volontà di solitudine dopo la violenza di cui è stato testimone, cosciente che la pausa è temporanea e presto dovrà tornare in prima linea.

Il poeta stesso, spiegando la poesia Dolina Notturna ha rivelato il messaggio essenziale de L’Allegria:

    «Il nemico eterno con il quale occorre fare i conti, con il quale occorre legarsi d’amicizia, eccolo che assume figura di compagno immemorabile, e il poeta lo sente dentro si sé, che si prende gioco di lui. Ma per quanto fragile, derisorio sia il poeta, sia l’uomo, per quanto impotente nel fondo della sua notte elementare, un’intuizione l’ha punto qual cosa o qualcuno lo conduce verso un punto. La sua vita non è pura sordità, qualche cosa c’è da fare su questa terra: un punto, una formula da trovare, e non importa che tale sentimento d’accordo fondamentale con il tempo nemico, con l’universo delle forme, può oscurarsi o cancellarsi. Esiste e dà alla vita il suo senso, il suo oriente» (Vita d'un uomo, pagina 525).

Ecco il giudizio critico di Romano Luperini:

    «Ne L’Allegria convivono due tendenze di poetica. La prima spinge a caricare la parola fino al limite della rottura, secondo l’intensificazione caratteristica del grido espressionistico. La seconda conduce invece a valorizzare l’alone di indefinitezza della parola, creandole attorno, isole di silenzi così da potenziarne le suggestioni e il mistero. La compresenza di queste due ragioni espressive determina la sospensione della poesia ungarettiana, a livello del primo libro, tra Espressionismo e Simbolismo». (pagina 129)

Ecco il giudizio critico di F. Puccio:

    «I versicoli de L’Allegria nascevano dall’impatto immediato con gli orrori della guerra, ma nella loro forma raggrumata portavano con sé il ricordo del deserto egiziano e l’aridità del paesaggio carsico. Da quel primitivismo insito nell’esperienza della guerra, la vicenda poetica di Ungaretti si eleva metastoricamente alla scoperta dell’uomo in assoluto, al di là del tempo e della storia. Ungaretti giungeva quindi attraverso la strada delle sofferenza e della desolazione del contingente ad una concezione dell’atto poetico come momento magico in cui il poeta opera rinchiuso in una assoluta solitudine, cosciente della propria diversità e del destino di dannazione». (pag.471)

L'Allegria è un’opera articolata, diversificata, che abbraccia più di un decennio, dal 1915 al 1931. A partire dalla prima raccolta del 1916, Ungaretti ha apportato modifiche alle poesie meno recenti, e le liriche che compaiono nell'edizione definitiva del 1931 risultano evidentemente perfezionate. La sistemazione definitiva curata da Ungaretti vede al primo posto una poesia ermetica. Le novità stilistiche sono tali da rendere L'allegria un'opera pionieristica e d’avanguardia.

Ecco cosa lo stesso Ungaretti pensa de L’Allegria:

    «Questo vecchio libro è un diario. L’autore non ha altra ambizione e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre se non quella di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazioni del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo. Egli si è maturato uomo in mezzo ad avvenimenti straordinari ai quali non è stato mai estraneo. Senza mai negare le necessità universali della poesia, ha sempre pensato che, per lasciarsi immaginare, l’universale deve attraverso un attivo sentimento storico, accordarsi colla voce singolare del poeta» (Vita di un uomo pagina 527 – 528).

L’opera si distacca dalla poesia dei crepuscolari, attenti alle piccole cose della vita quotidiana, e riporta lo sguardo e i pensieri sui grandi temi. Sostiene il critico Carlo Ossola:

    «quello di Ungaretti è un viaggio di ritorno, nell’alveo materno (rappresentato dal nido della patria, dal guscio della trincea), nella tradizione poetica, nell’ordine del mondo: non è un percorso centrifugo, ma centripeto, dalla disperazione all’unità, dalla disarmonia all’armonia». Il critico ricostruisce le tappe dell’acqua (simbolo del grembo materno). Il viaggio ungarettiano si risolve dunque in una regressione a una fase pre-natale.» (da Attilio Cannella, La realtà e la parola pagina 369).

Rispetto a questa interpretazione, prevale la tendenza a credere, con Attilio Cannella, che

    «Anche se L’Allegria delinea complessivamente un viaggio verso l’assoluto, occorre dire che, all’inizio di quel viaggio, c’è l’ “inferno” della guerra. Studioso di Dante, Ungaretti registra con puntiglio i luoghi del Carso dove compose ciascuna delle sue poesie: tali nomi rimangono nella nostra memoria come le “Bolge” di quell’inferno di disperazione e di angoscia che fu la guerra sul Carso. Gli elementi dell’inferno carsico ungarettiano sono tre: il fango, il sangue, la pietra. L’interventista Ungaretti, divenuto soldato del 19° Reggimento di fanteria, riconosce il suo abbaglio: la guerra è solo un fratricidio». (Attilio Cannella, La realtà e la parola pagina 369).

La ricerca di Ungaretti della trascendenza, che qui si percepisce superficialmente, sarà fondamentale nella seconda opera Sentimento del tempo – quando il poeta si avvicinerà alla religione cattolica e al vangelo cristiano – e gli permetterà di scrivere la bellissima poesia La Pietà.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 7 maggio 2006
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