Eugenio Montale, La bufera e altro
in Tutte le poesie, Mondadori, Oscar Grandi Classici,Milano
1990, pp.1245, £ 24.000
el 1943 e poi, in unedizione ampliata, nel 1945 esce a Lugano, in Svizzera, Finisterre: fascicolo di poesie scritte nei primi anni della seconda guerra mondiale, quale ideale prosecuzione e appendice de Le Occasioni, il secondo libro di Eugenio Montale.
Nel 43 in Italia, Finisterre è, infatti, assolutamente impubblicabile, a cominciare da questepigrafe ad apertura di raccolta, contro i tiranni sanguinari: «Les princes nont point dyeux puor voir ces grands merveilles, Leurs mains ne servent plus quà nous persécuter
» [«I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, Le loro mani non servono più ad altro che a perseguitarci
» Agrippa dAubigné, À Dieu].
Solo nel 56, il ciclo di Finisterre, primo di sette parti, confluisce in una nuova raccolta, La bufera e altro poesie scritte tra il 1940 e il 1954: dal cupo orrore della guerra agli angosciosi conflitti degli anni della guerra fredda.
Inflessibile testimone del Novecento e della sua turbata coscienza, Eugenio Montale rende vivo ne La bufera e altro «il riflesso della sua condizione storica, della sua attualità duomo». E così, per la prima volta, nel suo universo poetico, irrompe, sconvolgente e brutale, la realtà: realtà storica e politica insensatezza umana. Non solo. Per la prima volta, viene pronunciata, senza certezza di fede, la parola «Dio»: sottile germe della perplessa inquietudine religiosa del secolo del cristiano senza Chiesa, delluomo religioso senza religione.
Nato nel solco della poesia metafisica, Montale prosegue nella Bufera la ricerca ostinata di un senso: di un varco nellinsignificanza, nellineluttabile necessità dellesistere nel «solco inciso», nella «ruota che non sarresta».
Ma lo scampo, la salvezza, la speranza non è più come in Ossi di seppia riposta, per via di negazione o di metafora, nel «fatto che non era necessario», nell«anello che non tiene». Né come ne Le occasioni in unimprevista, imprevedibile ma improbabile eccezione, nel ricordo e nellassenza della donna amata e in fatali istanti, che sono improvvise portentose rivelazioni. Ora, nel suo terzo libro in quello che egli considera il suo libro migliore, «sebbene non si possa penetrarlo senza rifare tutto il precedente itinerario» Montale si affida a Clizia*, la donna tramutata secondo il mito in girasole: «intercambiabilmente donna, nube, angelo o procellaria». Montale, il «povero Nestoriano smarrito», leretico, «luomo che meglio conosce le affinità che legano Dio alle creature incarnate», vede in Clizia, (ma anche nella donna del Giglio Rosso e in Iride), i segni di unAltra realtà: non minacciata dal tempo e dalla memoria. Nelluniverso lirico della terza raccolta così popolata di reminiscenze dantesche e di consonanze stilnovistiche, di segni e avventi sacrali e di immagini e simboli apocalittici, il divino si manifesta attraverso la presenza femminile, tramite tra la terra e il cielo: residua speranza non fede, non certezza di salvezza.
Non cè, infatti, via di scampo «una storia non dura che nella cenere/ e persistenza è solo lestinzione» (Piccolo testamento): questa lunica certezza. Terminata è oramai la bufera della barbarie fascista. Deluso, dopo la brevissima esperienza politica, Montale rifiuta la militanza nelle opposte chiese, rossa e nera, comunista e cattolica e decide bensì di far parte per se stesso. Nella sua voce poetica priva di certezza nel reale, più acre si fa il senso di disarmonia nei confronti della realtà, ora avviata ad un insensato sviluppo tecnologico e consumistico e tesa sotto la minaccia del conflitto atomico la «sardana infernale» della lirica Piccolo testamento. La guerra fredda con unaltra ancor più assurda incombente guerra, costringe così il poeta, nelle ultime sezioni della raccolta, a lasciarsi alle spalle la possibilità di una salvezza liberatrice simboleggiata nella figura di Clizia.
Con Volpe** il nuovo inafferrabile personaggio femminile della sesta parte, Madrigali privati lesaltazione della donna-angelo dal volo sublime è riportata a terra: immersa nel mondo materiale ed animale. Pur tuttavia, giusta e non effimera è stata la sua metafisica, religiosa, esistenziale ricerca poetica non ancora conclusa. «La purga dura da sempre, senza un perché». Ma l«attesa è lunga, / il mio sogno di te non è finito»: queste le conclusioni provvisorie, questi i versi che concludono Il sogno del prigioniero, gli ultimi della Bufera splendida e ardua opera di conferma, di sviluppo e dannuncio.
«Giusto era il segno: chi lha ravvisato / non può fallire nel ritrovarti» (Piccolo testamento): questo il lascito, il messaggio quasi leopardiano di Montale, a chi ha ravvisato il segno da lui indicato, a chi come lui ha condotto unanaloga ostinata ricerca e ha cercato vita «là dove solo/morde larsura e la desolazione» (Languilla).
*In realtà, il nome di Clizia nasconde quello della studiosa americana, Irma Brandeis: una giovane donna ebrea che Montale conosce a Firenze nel 1933, ma che al tempo delle persecuzioni razziali è costretta a far ritorno in America.
** sotto il nome di Volpe si cela la poetessa Maria Luisa Spaziani, incontrata da Montale nel 1949.
20 Settembre 2000
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