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Canzoniere (1348) |
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Il Canzoniere nella sua forma ultima si compone di 366 liriche: di queste la grande maggioranza è costituita da 317 sonetti, il resto da 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Le poesie non hanno titolo ma sono contrassegnate da numeri successivi. La raccolta definitiva delle rime (1374 circa) è in parte autografa, in parte trascritta dal copista e discepolo Giovanni Malpaghini ma corretta da Petrarca. E doveroso iniziare il discorso parlando dellimportanza che hanno avuto critica letteraria e ricerca filologica nel delineare con accurate comparazioni, attraverso i secoli, il significato del Canzoniere e la sua influenza su tanti poeti che ad esso si sono ispirati. Illuminanti sono le parole del grande critico Francesco De Sanctis: «Oscurissimo in molti particolari, e per le allusioni politiche e storiche e pel senso allegorico, il libro nel suo insieme è così chiaro e semplice, che si abbraccia tutto di un solo sguardo. «La scienza della vita o della creazione è colta ne suoi tratti essenziali e rappresentata con perfetta chiarezza e coesione. Larmonia intellettuale diviene cosa viva nellarchitettura, così coerente e significativa nelle grandi linee, così accurata ne minimi particolari lamore, scioltosi dalle universe cose entro le quali giaceva inviluppato, qui non è concetto né simbolo, ma sentimento; e lamante, che occupa sempre la scena, ti dà la storia della sua anima, instancabile esploratore di se stesso Sciolta dalle condizioni del reale, tolta di mezzo la carne, divenuta creatura libera dellimmaginazione, Laura par fuori con chiarezza, acquista un carattere, dove ci è la santa, e ci è soprattutto la donna. Esseri taciturni e indefiniti, mentre vivono, Beatrice e Laura cominciano a vivere, appunto, quando muoiono.» La poetica di Petrarca è ben definita in una lettera da lui inviata a Giovanni Boccaccio: «Quando tutti noi scriviamo qualcosa di nuovo, spesso erriamo in ciò che più ci è familiare e che proprio mentre scriviamo c'inganna; mentre siamo più sicuri in ciò che più lentamente impariamo «Io ho letto una volta sola Ennio, Plauto, Felice Capella, Apuleio, e li ho letti in fretta, in essi soffermandomi come in territorio altrui «Ho letto Virgilio, Orazio, Boezio, Cicerone, non una volta ma mille, né li ho scorsi ma meditati e studiati con cura; li divorai la mattina per digerirli la sera, li inghiottii da giovane per ruminarli da vecchio «Io intendo seguire la via dei nostri padri, ma non ricalcare le orme altrui; intendo servirmi dei loro scritti non di nascosto ma occasionalmente, e, quando posso, preferisco i miei; mi piace limitazione, non la copia, e unimitazione non servile, nella quale splenda lingegno dellimitatore, non la sua cecità o dappocaggine; e preferisco non avere guida, piuttosto che essere costretto a seguirla in tutto. «Voglio una guida che mi preceda, non che mi tenga legato a sé,e che mi lasci libero luso degli occhi e dellingegno, non mi impedisca di porre il piede dove mi piaccia e ad alcune cose passar oltre, altre inaccessibili tentare, e mi permetta di seguire una via più piana, e daffrettarmi, e di fermarmi e di dilungarmi, e di tornare indietro.» Benedetto Croce scrive ne La poesia del Petrarca: « Primo poeta moderno, dunque, in questo senso che in lui pel primo si vede laspirazione a uninconseguibile beatitudine nellamore di una creatura, magicamente concepita come datrice di perfetta beatitudine; la felicità ricercata nel sentimento e nella passione, ossia nel particolare non redento nelluniversale ma posto esso come universale; con la disperazione e la malinconia che a ciò segue o saccompagna, col senso continuo della caducità e della morte e del disfacimento » «Solo et pensoso i più deserti campi La modernità del Petrarca nel ritmo lento e malinconico dei suoi passi, come una musica che a tratti sciolga la passione in una infinita tristezza. Ancora il De Sanctis: «Questa dolce malinconia è la verità della sua ispirazione, è il suo genio. Quando si sforza di uscirne, spunta spesso il retore: le sue collere, le sue ammirazioni non sono senza una esagerazione e ricercatezza,che rivelano lo sforzo. Ma quando vi simmerge e vi si annega, la sua forma acquista il carattere della verità congiunta con la grandezza, è un modello di semplicità e naturalezza ». Il commentatore cinquecentesco Alessandro Vellutello individua lo spunto iniziale del sonetto da ciò che del mitico Bellerofonte, si dice nellIliade e che Petrarca conosceva attraverso la citazione di Cicerone nelle Tusculanae disputationes; Bellerofonte, disperato per la morte dei figli, «che misero nel dolore errava nei campi di Alesa / consumando il suo cuore, fuggendo le orme degli uomini». Il tema studiato e analizzato da molti grandi poeti e critici letterari è quello della solitudine interiore che trasferisce lo sguardo alle cose di fuori,trasformando il territorio in un deserto che diventa quasi fisico e materiale. La malinconia diventa canto dellanima tratteggiato a note lente e sfumate, lAmore unico interlocutore in quel lunare paesaggio magico e maestoso. Il paesaggio nellopera poetica è interiorizzato: è il locus amoenus che oscilla tra Medioevo e Rinascimento con alcune reminiscenze virgiliane, ma è già spazio simbolico, condizione psicologica che rimanda allio del poeta, alla sua lotta interiore. Osserva ancora il De Sanctis: «La malinconia è la musa cristiana ed è anche la musa di Petrarca e dei più eletti spiriti del suo tempo. La malinconia di Petrarca ha radice nello spirito stesso del Medioevo, che poneva il fine della vita in un Aldilà, di cui la vita corporale non è che velo e simulacro». 66 Et io nel cor via più freddo che ghiaccio In picciol tempo passa ogni gran pioggia, Ma, lasso, a me non val fiorir de valli, Mentre chal mar discenderanno i fiumi Ben debbo io perdonare a tutti vènti, Ma non fuggìo già mai nebbia per vènti, _____________________ «Erano i capei doro a laura sparsi La prima cosa che ci colpisce è la musicalità dei suoni e quella ripetizione ossessiva del nome di Laura che sarà riproposta per tutto il poema. Sì, lossessione del suono e del viso e degli occhi di lei e del suo angelico incedere che sono le espressioni dellossessione amorosa. Nella poesia dellamore cortese di cui il Poeta è ancora intriso la passione brucia gli amanti che non riescono mai alfine a congiungersi, perché avvinti nelle spire di una forza che li sovrasta (si pensi a Paolo e Francesca). Francesco Petrarca deve già difendersi, in vita, dal dubbio che il suo non sia vero amore: «Che dici tu dunque? Daver io inventato il bel nome di Laura perché di lei potessi parlare e di lei molti parlassero; ma che nel fatto nessuna Laura mi sta nel cuore, se non forse quel lauro dei poeti al quale è manifesto che io aspiro con lungo studio e indefesso; e di questa Laura viva, della quale io fingo esser preso, tutto è artefatto: finti i miei versi, simulati i sospiri.» (Lettera scritta da Petrarca a Giacomo Colonna). Scrive Luigi De Bellis: «Questo sonetto rielabora il tema stilnovista della donna angelo però limmagine di Laura è più mossa e meno stilizzata di quella della donna-angelo e inoltre essa, per effetto dellelemento di natura introdotto dal senhal laura (qui presentato nel primo verso e comparso da poco nel Canzoniere), coinvolge, sia pure qui soltanto per mezzo di questo elemento appena accennato anche se carico di movimento, la partecipazione del paesaggio alla rappresentazione.» «Almo Sol, quella fronde chio sola amo, Cesare Segre ha analizzato questo sonetto strofa per strofa e si rimanda a quello studio in cui hanno importanza in egual misura la metrica,limmaginazione, l assonanza tra le parole e il sentimento elegiaco. (C.Segre,1997-99). Dice Pasternàk del linguaggio poetico: «La priorità non è dellautore e del suo stato danimo, che egli cerca di rendere, ma del linguaggio con cui vuole esprimerlo. Il linguaggio, dal quale nasce il significato e la bellezza acquista la sua veste, comincia da sé a pensare e a parlare e diviene tutto musica, non nel senso di una risonanza fonetica,ma come sequenzialità e durata del proprio flusso interiore.» Il sentimento lirico del Petrarca è la chiave della sua modernità, nella lotta strenua fra una vita interiore ricca e viva e una realtà spesso incapace di incanto e meraviglia. La natura, allora diventa il referente silenzioso di tale tensione. Non si tratta soltanto della contrapposizione tra la donna angelicata e la carne di Laura ma di un vero e proprio malessere esistenziale. Compare il tema dellombra e le metafore che rappresentano lamore per la donna sono riprese dai Miti antichi e dalle Metamorfosi così che il poeta diventa cantore di un sentimento arcaico, storico e collettivo. Il nodo della modernità, il passaggio (dimostrabile o meno) lo si può vedere nella comparazione tra Francesco Petrarca e Giacomo Leopardi. Canzone 50 Rileggendo Il sabato del villaggio si ritrova la stessa atmosfera dal paesaggio trasognato,annoiato e allo stesso tempo teneramente quotidiano fatto di gesti intimi e di voci allo stesso tempo solitarie e corali. Canzone 312 né daspettato ben fresche novelle né altro sarà mai chal cor maggiunga, sì seco il seppe quella seppellire Noia mè l viver sì gravosa et lunga Da Le ricordanze di Giacomo Leopardi Vaghe stelle dellOrsa, io non credea Il tedio sconsolato, il ricordo della donna amata e defunta, il contrasto fra lindifferenza estatica (e direi estetica) delle stelle vaghe e il tumulto doloroso dellanima, linvocazione della morte, infine, sola a liberare a sciogliere luomo dalla condizione senza speranza di una vita cui mancano la giovinezza e lillusione. Il tema del sogno unisce i due poeti in una comune e dolce apparizione: un unguento ultraterreno per le ferite profonde dello spirito. Cito da Il sogno nei Canti di Leopardi di Bernhard Knab: «Lamore veramente sentimentale nasce di fronte alla donna, perché così è direttamente percepibile: Quanto, deh quanto Nel canzoniere invece, la donna non appare allio lirico: «Ché n guisa duom che sogna, / aver la morte inanzi gli occhi parme (Canzoniere, 264). Lio lirico si rivolge alla donna nei suoi pensieri nel sogno: I vo pensando,e nel penser massale In Leopardi il sogno è sempre presente, sin dallinizio. Lio lirico non pensa sognando, ma sogna pensando alla donna morta. Il discorso si svolge in una situazione di dormiveglia nella situazione mattutina tra la notte e il giorno, in uno stato vago tra la morte e la vita. In Leopardi lio lirico piange linfelicità della vita perché non può sperare di vedere la donna ancora unaltra volta: Dolor mi strinse di mia negra vita, In Petrarca invece lio lirico piange la disperazione dellamata: ponsi dal letto in su la sponda manca, Si constata che Leopardi non solo rimanda lessicalmente e tematicamente al Canzoniere come poesia antica, ma lo converte poetologicamente, rovesciando le prospettive dellio lirico. Ciò conduce alla constatazione che Il sogno sinserisce nella tradizione classica. «Vergine bella, che di sol vestita E lultima composizione del Canzoniere che conclude la storia dellanima di un uomo con un accento mistico, un andamento quasi liturgico, iniziando ognuna delle dieci stanze con la parola Vergine. Scrive Carlo Ossola: «Petrarca accentua il ruolo di una Vergine che si piega verso questa valle di lacrime, che intercede pietosa, non regina, ma madre della misericordia.» Ricorda molto il periodare della canzone un andamento musicale tipico dellepoca che ispirò più avanti grandi musicisti come il Monteverdi nei Vespri della Beata Vergine. Il legame fra il poeta e SantAgostino per molti critici qui trova il grande elogio finale alla ricerca del cor profondo. Natalino Sapegno disse: «Tutta la lirica del Petrarca è un sommesso colloquio del poeta con la propria anima.» Sono infiniti i nomi di poeti, critici e letterati che hanno scritto di Petrarca,impossibile citarli tutti. Desidero concludere con due temi essenziali: la modernità del Poeta e il lavoro filologico sul testo. Ancora Carlo Ossola: «Fare di Petrarca il precursore dei moderni, è perdere il senso della sua meditazione, di una ben più grande universalità che appartiene allambito agostiniano che ha così perfettamente ricostruito Maria Zambrano (che di seguito si ritrova in Pierre Hadot e Michel Foucault), quello della letteratura come «esercizio spirituale», da Marco Aurelio ad Agostino e da Petrarca a Rousseau . Petrarca non è un poeta moderno, se non nel senso della sua meditazione tormentata (come ha sottilmente proposto Brian Stock) e la sua grande esigenza di coscienza di sé, degna del destino di un eternità che incombe,acutizza il senso di inadeguatezza e di consunzione della volontà e del desiderio,nel verso più lento e doloroso che abbia conosciuto la letteratura occidentale,prima di Baudelaire: «che nvisibilemente i mi disfaccio» (Canzoniere, 202) Cesare Segre: «La verità per noi mortali è costituita di luci e barlumi, di appagamenti e di irrequietezze; essa si rivela progressivamente e, sempre parzialmente, a continue interrogazioni, a tentativi instancabili, insomma a prove di amore filologico. E un amore che si rafforza quanto più sono numerosi gli amanti. Gli amanti devono essere filologi e critici, perché la verità, anche se mai completamente discoperta, è una, e alla sua conquista devono collaborare la logica e il gusto, la storia della lingua e quella della cultura, lermeneutica e lestetica. La verità non viene concessa una volta per tutte,ma è una conquista (una conquista parziale) di tutta la vita, di tutte le nostre vite. Ledizione critica raccoglie il meglio del lavoro sinora operato verso la verità del testo; essa è tanto più lodevole quanto più aiuterà i futuri lettori, o filologi, o critici, ad avanzare ancora verso la verità». A cura della Redazione Virtuale Milano, 5 maggio 2005 |
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I commenti dei lettori
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