Guido Ceronetti, La carta è stanca. Una scelta
Adelphi, 2000
Piccola biblioteca Adelphi, 252 p.
Euro 12,39
«Un albero diventato semplicemente cosa, utilità, ornamento, dopo che fu abitazione vivente di esseri divini, sede di una forza soprannaturale, traccia visibile di una divinità, non è più salvabile»
a capacità profetica è un occhio limpido sul presente così comè. Denudate dinganni e deliri, le cose pulsano del loro futuro, ma lo sguardo cerca solo il modo di drogarsi dillusioni e di alibi insulsi.
La cecità di fronte al vero è già destino che si compie. Le verità essenziali potrebbero infatti essere contemplate solo al prezzo di rinnegare la catastrofe che si è voluti strenuamente divenire: «una prevenzione ambientale anticancro priva di riserve e di falle sgretolerebbe gli Stati moderni, leconomia, le industrie, sarebbe in tutti i sensi una gesta di guerra escatologica contro il male».
Ma «il Male indossa la sua vecchia maschera, quella del Bene», e spadroneggia sulla Terra. Del «Mondo-che-brucia» lintelligenza pellegrina di Ceronetti percorre sbreghi lancinati dove il Sacro è stuprato o, peggio, ridotto al suo simulacro, per la consolazione di anime flebili raccattanti religioni-qualunque che permettono tutto.
Il rosario delle morti del Sacro non ha fine: lo sfarsi della campagna nella metastasi della città, la sparizione degli uccelli, la morte della buona morte, lo zittirsi dei suoni dolci (il telaio, i grilli, il fiume), lo sterminio degli alberi, il plastificarsi teratologico dei frutti.
È cambiato qualcosa dal tempo già ipergiulivo dellultimo Leopardi? Il mondo si deturpa privo dei lampi scarni duna qualche coscienza ammessa; il Male spaccia i suoi frutti come bontà inesorabili, nel «rischio che la fascinazione della stupidità e leccesso dellinfamia rendano muto anche il tragico, incomprensibili, perfino inudibili gli ululati di dolore e non sia lasciato spazio che allinsignificanza».
Il senso del Tragico Nietzsche, Leopardi, Dante, Dostoevskij
è uno dei doni veri di Ceronetti. E, al contrario di quanto credano gli inguaribili, il tragico ha molte lingue: lironia, linvettiva, lurlo, la tenerezza, il grottesco, la preghiera, la pura ilarità, lamore per la bellezza, la pietà. La scrittura di Ceronetti è prodigiosa e sorprendente. Solo frasi vere possono essere così belle.
Quando savventura nei cerchi neri dove il male è crimine e castigo (Bernadette Hasler, La violenza e le vittime), sentra in cerchi dangoscia vera: il bla-bla dei giornali e delle tivù sui delitti (sempre efferati sempre commessi da insospettabili
), confrontato con tanto, svela la natura misera di chi esorcizza lintollerabile nella nebbia delle frasi fatte.
La carta è stanca lega insieme articoli degli anni Settanta: sono pagine scritte domani. Non cè nulla che vi si legga che non stia continuando ad accadere, destino essenziale del mondo secolarizzato: «Luomo tolto alle manette del sacro può fare soltanto quello che sta facendo».
Mentre i mille Grandi Fratelli imperversano, i varchi di fuga si fanno clandestini, impolitici, amorosi: «Ma se una coppia di amanti buoni, convenendo nell'amore e nella necessità, è riuscita a formarsi e a resistere, si chiuda in casa e non spenga il fuoco. Apra ai poeti, si faccia il pane. Coppia, ultimo cerchio magico di preservazione. Fuori latrano gli uomini di sangue. È buio e non c'è più tempo per cambiare niente, per credere in qualcosa che non sia al di là di tutto».
Milano, 19 marzo 2003
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