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CASA D'ALTRI E ALTRI RACCONTI, RACCOLTA DI RACCONTI BREVI DI SILVIO D'ARZO, PSEUDONIMO DELLO SCRITTORE EZIO COMPARONI |
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Casa d'altri e altri racconti |
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Casa daltri è il resoconto asciutto, teso, trasparente al grado della filigrana, di ciò che Manganelli definì una tragedia teologica. Un abbaiare di cani nel buio violaceo dei pascoli apre la storia, colle luci delle lanterne a mostrare la discesa di uomini verso la veglia del morto, avvolto nel saccone di foglie e pregato da qualche donna e da un prete, lio narrante, una faccia e una corporatura alla Falstaff, vecchio ancor prima che anziano, disilluso e dotato di unironia affilata e affinata dal clima duro e monotono di Monselice, Emilia 7 case, 7 case abbassate e nientaltro, montagne fin quante ne vuoi. Cosa fanno le persone, da sempre, a Monselice? Vivono e basta. E poi muoiono. Questo racconta il vecchio prete al giovane curato di Braino, ancora infervorato dallentusiasmo del neofita, forse un poco invidioso della sua età giovane e inesperta, coscio del fatto che alle volte avere ragione, avere troppa ragione, su per giù equivale ad aver torto marcio. Cosa fanno qui? Vivono e basta. E le vere padrone sono le capre. Poi, in Io prete e la vecchia Zelinda, c'è la vecchia degli stracci, lavandaia per due soldi da tirare avanti una vita di stenti, una vita da capra e nientaltro la sua, con un desiderio ossessivo da soddisfare, il bisogno assoluto di sapere se togliersi la vita, che, a parte il dolore, è sempre e solo un atto peccaminoso, per qualsiasi motivo, in qualsiasi forma venga attuato. Il desiderio di sapere, la brama di conoscere, la voglia di capire, questo il tema del racconto, che si tratti del prete/io narrante, dei vecchi della rappresentazione celebrativa, delle vecchie del pellegrinaggio, di Melide che cura i morti, cucendo loro il lenzuolo, e ascolta i discorsi dei vecchi, dei ragazzi di paese che giocano brutti scherzi ai più deboli, da che mondo è mondo, del sarto sul carro, di Zelinda degli stracci, che lasciando in sospeso la sua domanda scatena la frenesia sopita di un vecchio curato che non si aspettava più nulla dalla vita. La formulazione della domanda implica tutta la storia. Per formulare la domanda cè prima bisogno di percorrere delle strade, non tanto belle e non sempre brutte. Cè una fatica da spendere. Ci sono incomprensioni accidentate e falsi percorsi e ritorni sui propri passi. Ci sono lettere non spedite e parole non trapelate. E tre spari nella notte, con quintali di farina sparsa per terra e tutti che accorrono per accaparrarsela. Cè tutto lerotismo che sprigiona una storia perfetta, prima di arrivare alla formulazione della domanda. E non cè risposta, perché le risposte sono fatte fin troppo spesso di nude parole, e le parole fanno vergogna, e non tutti sono portati per i commiati, difficilmente si piange, in certi posti, a certe latitudini e sotto certe temperie, dove a certa gente, per un po almeno, il martirio non spiace per niente. Non cè soluzione alle questioni irrisolte. Certe risposte sono sempre e solo tautologiche. Come certe morti. Come quella di Zelinda, a dicembre, col freddo. Esistono almeno 3 stesure, in parte differenti, di Casa daltri. Non è dato sapere riguardo alla volontà dellautore in merito al testo da ritenersi più compiuto. Il testo venne continuamente aggiornato e rielaborato negli anni, e la cesura della morte impedisce a ogni filologo di dare una direzione definitiva al corpo del narrato. Einaudi ricalca ledizione di Vallecchi, con piccoli aggiustamenti ritmici di stampo conservativo. DArzo utilizza gli stilemi e le strutture metriche in maniera totalmente difforme dagli autori coevi, cercando continuamente di liberare la propria scrittura da ogni eccesso stilistico, abbandonando quanto più gli fosse possibile la pesante zavorra della prosa darte, alla spasmodica ricerca dellimmediatezza espressiva, vista come progressiva conquista del modus operandi dellunico vero scrittore moderno italiano, prima dellavvento del Neorealismo, nel dopoguerra. Nellintroduzione alla raccolta, Affinati ricorda puntualmente come il ritmo timbrico della scrittura darziana sia dato dalla cadenza dialettale e dalla misura decasillabica della prosa, ponendo laccento sulluso attento e strumentale delle interpunzioni, delle interiezioni e dei vocaboli onomatopeici il tutto teso a rendere quella forma di scrittura di rottura rispetto ai tempi in cui visse la sua supplenza temporale, una composizione modulare dei racconti, imbastita dai tropi narrativi, vicende e personaggi che si rincorrono, si sovrappongono, si intersecano fino a (con)fordersi, fuori dalla prosa darte e poi anche da tanta narrativa neorealista storie sospese eppure definitive, germinali e seminali, impastate dalla sensazione di un continuo allarme lirico. Così in Casa daltri, dove la quaestio filosofica sul (dis)valore etico del suicidio è affrontata da un prete in crisi dispirazione che alla fine riconosce che tutto è finito, qualcosa era successo, una volta, e adesso è tutto finito; o nella prefazione a Nostro lunedì, dove niente in fondo è più falso di un fatto in se stesso, e niente al mondo è più bello che scrivere, anche male, anche in modo da far ridere la gente, e poi la guerra che tutto sgretola; come pure nel racconto Alla giornata, in cui i 18 anni sono al contempo la più giovane cosa del mondo, ma anche la più vecchia, e così sospesi ci si può permettere lo scambio di identità tra i vivi e i morti. Come anche nel racconto Elogio della signora Nodier, storia provinciale perché è nella provincia che appaiono strane le cose anche più ovvie, dove se alla fine si decide per il bene è perché, dopotutto, la cosa riesce molto più facile, e limbalsamazione del ricordo ha esiti piuttosto macabri; e nel racconto Due vecchi, nel quale limpassibilità di fronte alle grandi tragedie permette di concentrarsi sui piccoli disastri esistenziali del quotidiano, reso in tutta la sua ironica ridicolezza, ancora una volta grazie allo scatenarsi improvviso di un evento che cambia la storia delle vite raccontate, lennesimo sasso scagliato o anche solo caduto nello stagno, a perturbare la monotonia torbida dellesistente transeunte, a rendere tutti e tutto ciò che veramente si è, cose da dire al buio, consci di aver lunico dovere di aspettare, giorno dopo giorno, la fine, eppure aperti ontologicamente allimprevisto che tutto precarizza, sempre. A cura della Redazione Virtuale Milano, 17 novembre 2003 |
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