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Il conformista (1951) |
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E Marcello è un bambino speciale, come speciali sono spesso i bambini che nascono nelle case di una classe «superiore», nelle quali aleggia la decadenza di una genìa in disfacimento. Il padre di Marcello è impazzito (letteralmente) d'amore per la moglie, edonista e infedele, una madre che ama il proprio bambino distrattamente. In mancanza di una guida valida, in una fase delicata dello sviluppo, in balia dei luoghi comuni e delle superstizioni della servitù, Marcello crea un collegamento tra la propria estraneità ai compagni e l'infantile transitoria crudeltà dei suoi giochi solitari. Il desiderio di normalità è «una voglia di essere simile a tutti gli altri, dal momento che essere diverso voleva dire essere colpevole».
Il «classico» viaggio di nozze a Parigi è un'occasione ideale per portare a termine una missione importante. Moravia, in una lettera a Prezzolini, datata alla fine del 49, scrive: «Io ho finito un lungo romanzo che si chiama il Conformista e ora lo riscrivo. Uscirà verso la fine del 1950, spero». Nel gennaio, febbraio 51 la rivista «Comunità» pubblica Il conformista. Racconto di A. Moravia, quasi contemporaneamente alluscita del romanzo, ma il racconto non ha una vita propria, e altro non appare (come sostiene Tornitore) che un capitolo del romanzo stesso. Il protagonista ha quasi la stessa età dellAutore - ma lo stesso Moravia rivelerà in unintervista a Elkann, di non ricordare molto del periodo in cui si svolge linfanzia di Marcello - e la storia si dipana dagli anni venti fino alla caduta del fascismo. Questo darà luogo a qualche incongruenza tra la giovane età di Marcello e gli incarichi importanti che gli vengono assegnati nella sua veste di funzionario del Servizio Segreto. Incongruenze peraltro impercettibili, in una storia che, alla maniera moraviana, segue binari lucidi e totalmente privi di asperità, eppure, forse talvolta ignoti allo stesso scrittore, che amava affermare, a proposito di altre sue opere, di aver cominciato a scrivere «senza alcun piano preciso». Lo stile, pur chiaro e asciutto come solo una meditata semplicità può produrre, in questo romanzo appare forse meno «arido», meno da «Codice Civile» accusa e sommo elogio che accompagnò sempre il giudizio critico su Moravia - e, soprattutto nel racconto dellinfanzia di Marcello e in alcune descrizioni centrali dellopera, sembra ammorbidirsi e addolcirsi in echi quasi ottocenteschi. La penna si accanisce a volte su certi personaggi con un piacere che lascia trasparire la personale comica insofferenza dell'autore per questa normalità da operetta, che va ritraendo così magistralmente. Così la suocera è «una donna corpulenta, in cui i cedimenti dell'età matura parevano manifestarsi in una specie di disfacimento così del corpo come dell'animo, il primo afflitto da una grassezza tremolante e disossata, il secondo inclinato agli sdilinquimenti di una bontà fisiologica e smancerosa». E quasi da un angolo della Comédie Humaine, sembra a tratti ritagliarsi la personalità complessa e sfaccettata del protagonista: la sua ansimante ricerca di una normalità che lo riscatti dalla follia del padre, dallinflusso negativo della madre, e dalla sua propria deviazione interiore, che lo spinge alla violenza, vera o presunta. «Normalità», daltra parte, significa, per Marcello, non avere idee quasi su niente: « Questa convinzione gli era venuta dal nulla, come è da credersi che venga alla gente ignorante e comune; dallaria, insomma, come sintende quando si dice che unidea è nellaria». O piuttosto, limpossibilità di provare altri sentimenti se non lorrore, il ribrezzo verso lanormalità e tutto ciò che in qualche modo può rammentargliene la presenza nel suo stesso passato. O forse ancora, la malinconia che sembra accompagnare qualsiasi riflessione: « E la sua malinconia era la malinconia, appunto, mischiata di rimpianto che suscita il pensiero delle cose che avrebbero potuto essere e a cui, scegliendo, bisognava per forza rinunziare». Perfino il breve attimo di confusione amorosa per Lina - la donna del professore che Marcello dovrà uccidere a Parigi - conclusosi davanti al traumatizzante spettacolo degli ambigui, disperati comportamenti di lei, non potrà che disperdersi in unamara e generica considerazione sullassenza damore tra gli esseri umani, comune fattore di vacuità, e cioè di normalità universale. Il finale, corposo, risolutore, non lascia spazio ad aperture verso altre soluzioni, che non siano quelle che Marcello stesso propone: « Ma avrebbe voluto esser sicuro che tutto quello che era avvenuto doveva avvenire; cioè che egli non avrebbe potuto puntare in modo diverso né con esito diverso: di questa sicurezza aveva bisogno più che di una liberazione dai rimorsi che non provava.». A cura della Redazione Virtuale 25 gennaio 2001 |
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I commenti dei lettori
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