Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi
Garzanti libri, 2002
156 pp., Euro 6,50
ietro Risoli è incapace di vedere il mondo di Ghisola, la ragazza che ama. Il titolo allude a questa cecità spirituale, a questa incomunicabilità sentimentale che impedisce al protagonista di vedere la reale esistenza che la donna conduce.
Ghisola vive in campagna, a Poggio a Meli, nel podere vicino Siena acquistato dalla famiglia di Pietro con i propri risparmi ed affidato alla conduzione di una coppia di salariati, di cui la ragazza è nipote. Domenico, il padre di Pietro, è un uomo dispotico, incapace a comunicare con il figlio, che riesce solo a dominare. Per questo, Pietro, che pure non riesce a rendersi autonomo dalla figura paterna, reagisce al carattere irascibile ed oppressivo del padre unicamente disobbedendogli.
Pietro vive una profonda solitudine, così come è sola, la madre, debole e remissiva, esclusivamente dedita agli impegni domestici.
La prima parte del romanzo lungo una narrazione continua, non interrotta dalla divisione in capitoli racconta la vita della famiglia Risoli. Ghisola, invece, diventa il centro della narrazione nella seconda parte del romanzo. Posseduta da un vedovo e successivamente da un contadino, Ghisola è inesorabilmente condannata a un destino di rovina. Prima deve fuggire in città, dove diventa la mantenuta di un commerciante, e, caduto questi in rovina, sarà costretta a prostituirsi.
Ghisola e Pietro, malgrado queste tristi storie, hanno continuato a vedersi. Eppure Pietro ignora quanto è accaduto alla ragazza in città. Egli la ama e vuole anche sposarla. Sarà una lettera anonima a portarlo a scoprire la casa dove Ghisola si prostituisce e, dunque, ad aprire gli occhi su questa triste realtà.
Il romanzo è il primo insieme a Tre croci ed a Il podere della trilogia di Tozzi incentrata sulle vicende di personaggi inetti, incapaci di sottrarsi al proprio destino di rovina. In tutti e tre i romanzi sono due i temi centrali della narrazione: il profondo autobiografismo ed il disincantato e lucido realismo. Lautobiografismo, non inteso in senso stretto, lungi dal costituire un limite dellopera di Tozzi, al contrario gli attribuisce uno spessore non comune. I protagonisti e lintreccio non richiamano, infatti, figure ed eventi della vita dellautore, ma rappresentano proiezioni psicologiche dellautore e dei suoi irrisolti conflitti con sé stesso, con il padre e la famiglia.
Daltra parte, il titolo del romanzo non può non alludere ad un particolare episodio della vita dellautore: Tozzi fu colpito da una malattia agli occhi che lo costrinse a stare al buio per molto tempo; quando finalmente si riprese, trovò grandi difficoltà ad uscire dalla sua camera ed a ritornare alla vita normale. Come sempre, tuttavia, in Tozzi questo richiamo ad un evento della propria vita non ha carattere biografico ma serve allusivamente a creare un luogo della memoria nella quale la psicologia svolge la propria autonoma esistenza.
Unaltra costante dellopera di Tozzi è lanalisi sociale. Ma la sua rappresentazione della realtà storico-sociale è priva di qualsiasi velo ideologico o sociologico. La sua narrazione è crudamente oggettiva, al punto da risultare in taluni punti sgradevole.
In questo romanzo, poi, fa da corollario a questo pessimismo radicale, una concezione negativa dellamore e dellaffettività, dominata dallinganno e dal dolore; una visione cui sottende, magari anche inconsapevolmente, un'inconfessata misoginia, dove è la donna che tenta luomo, fino a portarlo alla rovina.
Il pessimismo di Tozzi è radicale: il dolore degli uomini non è il prodotto di un dato momento storico, né proprio di una determinata classe sociale; è il male a dominare il mondo e la natura umana è sopraffatta dagli istinti negativi. Eppure, il suo realismo non è impersonale, la sua visione non è cinica, perché Tozzi è partecipa con toccante pietà ai fallimenti dei suoi personaggi.
23 febbraio 2004
© Copyright 2004 italialibri.net, Milano - Vietata la riproduzione, anche parziale, senza consenso di italialibri.net
|