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Don Giovanni in Sicilia |
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Una cosa deve riconoscersi, quanto meno al nostro Brancati, il quale dello scrittore ha le distinte proporzioni, che dopo anni e poi chissà quanti ancora ne trascorreranno il suo romanzo mantiene viva lattenzione: se solo lo si (ri)leggesse, naturalmente. Racconta, nella sua edizione del 1942, la storia di Giovanni Percolla: un uomo, un siciliano, un pigro, un inetto, uno schiavo del circostante, di chi più forte di lui si mostra. Tuttavia, apparenza, poiché ciò che egli ha intorno è fatiscente, privato della sostanza. La vicenda è molto altro. Giovanni vive da scapolo, quando ormai la sua età canonizzerebbe il quotidiano in modo assai differente. E coccolato da tre sorelle, premurose al limite dellasfissia, zitelle i cui occhi non intravedono altro, fantasioso futuro. E fuori dal pascoliano nido, dal letto in cui linerzia sprofonda nelle morbide coltri, vi sono le strade di Catania abitate dagli amici chiacchieroni di Giovanni, bulli tronfi e logorroici nellinventare la realtà a proprio gusto, cultori attenti di centinaia di assiomi sulla femmina: «La donna bella cerca luomo brutto, per regalargli un po della sua bellezza!». Ricompare, anche in questo romanzo, il tema del gallismo, argomento tanto caramente reiterato nei contenuti dell'autore, affrontato sempre con scottante e sadica ironia. Spiritoso, quindi, poiché ancora di comoda identificazione per molti uomini delloggi, ma spesso fastidiosamente pungente. Cè un momento in cui lesistenza di Giovanni cambia. La sua vita non ha più i contorni delle futili chiacchiere da bar e dei commenti squallidi sulle passeggiate femminili. Giovanni sinnamora di Ninetta, donna bellissima nella figura, e con essa va via. Abbandona Catania, gli amici ciarlieri, maliziosi e inconcludenti, impregnati della maniera siciliana e raggiunge uno sfondo dai toni fortemente diversi. Milano è lambientazione della seconda esistenza di Giovanni Percolla che, un poa fatica, alla fine sinserisce («Mi cambierò, vedrai! aveva detto rabbiosamente a Ninetta appena giunto a Milano esasperato contro se stesso, la propria natura, la Sicilia, la vecchia casa di Catania »). Prende ad odorare di abitudini che non gli appartengono e, si scoprirà da ultimo, non gli apparterranno mai. E, così, egli migra: dal calduccio del suo letto siciliano, alle gelide docce delle fredde mattine milanesi («Tutto il suo sangue, cullato da lunghi sonni pomeridiani sotto le coperte, tutta la sua pelle accarezzata dalla lana anche durante lestate, le radici stesse della sua vita profondate nel tepore, saltarono su, alla frustata dellacqua fredda»). Si ammala tanto da trascorrere intere notti a respirare a bocca aperta e a risvegliarsi con la lingua di sughero. Lamore per Ninetta è vero, grandemente sincero. Giovanni saccorge della straordinaria bellezza della moglie, ne è ossessivamente geloso fino a sospettarne la buona fede, ma non disdegna, poi, le scappatelle che quasi si convengono ad un degno uomo del nord, così come Brancati lo rappresenta. Il suo salotto si popola di letterati e continentali ( tutti i non siciliani per Giovanni); essi lo imbarazzano, rendendolo silenzioso nel timore di sfigurare. Un giorno, dun tratto, di lui o, meglio, del suo dialetto siciliano, viene fatta mostra ed egli, oltre a catturare lattenzione, diventa giullare, scatena risa e divertimento. «La sua vita divenne più attiva, veloce, asciutta», commenta senza troppo farsi notare lautore, ma il suo pensiero, se chi legge vuol vederci più chiaro, si scopre sempre, intimamente legato ai ricordi: «Era maggio e il sole di Milano non riusciva ancora a riscaldare ( ). Ricordò che in quei giorni, a Catania, il gatto dorme nei balconi». Non si può certo dire che Brancati tratti garbatamente il suo protagonista: di questi lascia trasparire limmagine dun uomo che fa la spola da sentimenti a emozioni a bandiere e opinioni diverse. E perennemente influenzato dalla moglie, dallambiente che lo strattona da un eccesso allaltro come una marionetta, dagli altri. Ma Giovanni, in verità, che cosa pensa? Al lettore una risposta viene presto in mente, quando saccorge davere di fronte lesempio vivente duna realtà che in queste pagine diventa dogma: alle proprie radici non si sfugge. Le si può ignorare per poco o molto, le si può scansare, criticare ( «come si può vivere qui?», dice Giovanni a Ninetta, viaggiando verso il sud), ma non si lascia questo mondo senza, prima o poi, ritornarvi. Chi meglio di Giovanni porta il vessillo di tale verità? Alla fine di tutto, il ritorno alle simboliche, calde coperte e al sonno ristoratore dopo il lauto, meridionale pasto, che non ha nulla a che fare con la stonata magrezza del Giovanni finto settentrionale, è inevitabile. Il tutto condito da uno stile fluido, il solito scorrevole senso della prosa tipico di Brancati, ricco di metafore che rendono le parole oggetti, i personaggi carne viva. E non si possono udire i suoni, attraverso le parole scelte dallautore, ma di profumi e immagini la narrazione è colma. Il finale dà sfogo alla fantasia. In seguito al rientro a Catania, dovuto alla gravidanza di Ninetta, forse Giovanni non tornerà più nella sua casa milanese, o forse sì. Al lettore, la possibilità di scegliere lepilogo che più lo soddisfi. Nella vita, daltra parte, questo non può mai farsi; ma con i libri, se da essi si è in grado di prendere tutto quanto possono dare, ciò diventa incredibilmente possibile. A cura della Redazione Virtuale Milano, 27 novembre 2001 |
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