gni anno in prossimità delle feste natalizie, Josif Brodskji si recava a Venezia. Riteneva che fosse lunico periodo possibile per viverla. La nebbia, i colori smorzati, il suono dellacqua, non erano disturbati dallo sciame di turisti e permettevano allocchio di studiare il mondo esteriore, perché le basse temperature erano il clima ideale per rendere omaggio alla sua bellezza. E poi la nebbia consentiva di dimenticarsi di sé, in una città che aveva smesso di farsi vedere. Del resto per lui le stagioni erano delle metafore, e linverno da qualsiasi continente si veda è un po antartico
Venezia come S. Pietroburgo perché la distanza demisfero è solo una variabile geografica che non incide sui sensi. Solo in questa città, i suoi nervi riuscivano a distendersi, poteva diventare lanonimo poeta, lui che non aveva voluto essere uguale, perché la bellezza della città prendeva il sopravvento. Rendendo tutto superfluo, inutile. Basterebbe questo per fare di Fondamenta degli incurabili, un libro da custodire gelosamente perché lacqua, oltre alla città e ai sensi, sono i protagonisti assoluti.
Lacqua è il luogo dove il tempo fisico e quello metafisico si fondono. Lelemento che mette in discussione il principio dorizzontalità, che rivela la profonda solitudine di ogni essere umano, la sua precarietà, trasformando anche i piedi in organo dei sensi. E se lacqua è uguale al tempo, Venezia che dallacqua è toccata, non fa altro che migliorare, abbellire il tempo, restando uguale a se stessa.
Per Brodskji, annusare Venezia è come toccare la propria essenza dispersa, entrare nel proprio autoritratto. Essere felice. Una felicità legata allequilibrio sensoriale, lunica che avrebbe potuto accettare. E poi limmagine di una donna italiana, incontrata anni prima in Unione Sovietica, quando ancora non sapeva che in Occidente la bellezza poteva essere comprata, ma soprattutto il riconoscere sulla sua pelle, lodore di un profumo «mesmerizzante», Shalimar, si chiede. Un profumo usato da Gloria Swanson che in ogni contratto firmato pretendeva lintera linea della famosa fragranza della Guerlain.
I mottetti di Montale, poeta amato, la visita alla moglie di Pound, Olga Rudge, la sua voce, un disco senza pause. Locchio. Quellocchio che precede la penna, e la necessità, nella città delocchio, di avere abiti adatti, belli, capaci di muoversi simmetricamente, per tenere testa a tanta perfezione. Abiti che una volta tornati nel mondo non avrebbero più avuto la stessa urgenza di essere indossati. Perché a Venezia, locchio è finalmente libero di tendersi, di respirare, mentre il corpo diventa un suo veicolo.
«[...] l'occhio è sermpre in cerca di sicurezza. Questo spiega l'appetito dell'occhio per la bellezza, e l'esistenza stessa della bellezza è innocua, è sicura. Non minaccia di ucciderti, non ti fa soffrire. Una statua di Apollo non morde, né morderà un cagnolino del Carpaccio. Quando non riesce a trovare bellezza alias sollievo l'occhio ordina al corpo di crearla o, in alternativa, lo adatta a cogliere il lato buono della bruttezza... Perché la bellezza è là dove l'occhio riposa nella bellezza l'occhio ha la sua pace per parafrasare Dante. Il senso estetico è gemello dell'istinto di conservazione ed è più attendibile dell'etica. L'occhio principale strumento dell'estetica è assolutamente autonomo. Nella sua autonomia è inferiore soltanto a una lacrima».
A cura della Redazione Virtuale
Milano, 12 luglio 2001
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