FOSCA, DI IGINIO UGO TARCHETTI, UNO DEI PRINCIPALI ESPONENTI DELLA SCAPIGLIATURA MILANESE

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Fosca (1869)


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Iginio Ugo Tarchetti, Fosca (1869)
Mondadori, 2002
Oscar classici, pp. 192
Euro 5,80

Fosca è considerata la prova migliore di Tarchetti, uno dei principali esponenti della Scapigliatura milanese, che lavorò a questo romanzo fino alla morte per tifo, avvenuta il 25 marzo 1869. Non riuscì però a completarlo: stese i due capitoli conclusivi, ma la parte mancante, la notte d’amore di Giorgio e Fosca, venne scritta dall’amico Salvatore Farina per permettere la pubblicazione dell’opera, che uscì a puntate sul «Pungolo», quello stesso anno.

La vicenda, nella finzione narrativa, trae origine da un manoscritto (espediente manzoniano) in cui Giorgio, un giovane ufficiale, racconta in prima persona le passioni amorose, risalenti a cinque anni prima, che hanno profondamente segnato la sua vita. Egli, ritiratosi dalla vita militare a causa di una malattia al cuore, si reca a Milano dove incontra Clara, una donna giovane e bella, sposata, con la quale vive una intensa relazione d’amore.

Dopo appena due mesi di inebriante felicità, Giorgio, risanato nel corpo e nello spirito, viene richiamato in attività e destinato a una monotona cittadina di provincia circondata da una landa desolata. Qui avviene l’incontro con Fosca, la cugina del suo colonnello, donna di orribile magrezza, consunta da una non meglio identificata malattia psicofisica. Da questo momento, mentre l’immagine di Clara diviene via via più remota, Fosca entra sempre più prepotentemente nella vita e nella mente di Giorgio, fino a contagiarlo con il suo morbo.

Il tema dell’amore è presente nel romanzo secondo due modelli contrapposti: da una parte quello romantico, con l’adulterio che assume il valore di conflitto con le regole sociali, dall’altra, il modello, tipico della Scapigliatura, dell’amore visto nei suoi risvolti morbosi, patologici, associato alla malattia e alla morte.

È così, infatti, che Tarchetti-Giorgio descrive il rapporto con Fosca: «Più che l’analisi di un affetto, che il racconto di una passione d’amore, io faccio forse qui la diagnosi di una malattia. Quell’amore io non l’ho sentito, l’ho subito».

Ed è di questo amore che il protagonista vuole scrivere, dell’altro non parlerà «che pel contrasto spaventoso che ha formato col primo»: le parti che fanno capo a Clara, infatti, sono soltanto brevemente evocate, come ricordi sereni ma statici, chiusi, di un tempo felice.

Il contrasto fra le due donne, che attiene non solo al loro aspetto fisico, ma altresì alla realtà che le circonda, è messo in evidenza già nel modo in cui ci vengono presentate.

Clara, giovane, serena, d’una bellezza florida e sana, sembra permeare di sé tutti gli elementi che interagiscono con lei. Il rapporto Giorgio-Clara è raffigurato sulla pagina come una sorta di cammeo, dove tutto è perfetto e in sé compiuto: il tempo è quello della primavera, gli spazi sono quelli aperti di prati in fiore attraversati da limpidi ruscelli, oppure quelli chiusi di una capanna disabitata, “il loro tabernacolo”, custode della loro intimità. Clara rappresenta la luce e la vita, è colei che con la sua forza e insieme la sua dolcezza risana e rigenera: emblematica è a questo proposito l’assimilazione tra la bellezza di lei e quella che doveva aver avuto la madre di Giorgio quand’egli nacque.

L’entrata in scena di Fosca, invece, è preceduta da un alone di inquietante mistero che induce nel lettore una crescente suspense: ci viene presentata attraverso le parole del cugino, del medico, ma intanto è lì, in absentia, il suo posto a tavola, sempre accanto a quello di Giorgio, contrassegnato da un fiore. Prima ancora di “vederla”, poi, assistiamo improvvisamente alla parossistica manifestazione della sua terribile malattia: urla acute, strazianti e prolungate echeggiano nella sala e richiamano alla mente di Giorgio, per la prima volta, l’idea della morte.

Infine Fosca appare, straordinariamente orribile e insieme intensamente attraente: la descrizione del volto, con gli zigomi e le ossa delle tempie spaventosamente sporgenti, rimanda all’immagine di un teschio; il pallore del volto contrasta con i capelli d’ebano, folti e lucentissimi, e con gli occhi grandi, nerissimi e vividi; la sua persona, alta e scheletrica, prodotto del dolore fisico e delle malattie, ha però una grazia e un’eleganza sorprendenti.

Fosca incarna la malattia, che contagia l’altro e ne assorbe le forze vitali, dietro alla quale si cela la morte, evocata attraverso immagini di sapore espressionistico, violentemente contrapposte: l’orrore che quel corpo già incadaverito suscita nel protagonista mentre lo avvinghia come se volesse trascinarlo con sé nella tomba, e il fascino che, nelle scene notturne, promana da quel volto come trasfigurato.

Ciò che rende Fosca attuale per il lettore moderno è, in ultima analisi, l’inquietudine che l’attraversa, il dubbio, le dicotomie fra le opposte realtà della vita e dell’io, espresse non solo nello sdoppiamento Clara-Fosca, ma anche nella duplicità che caratterizza Fosca in se stessa: l’oscillazione continua fra logica e desiderio, razionale e irrazionale, luce e ombra.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 30 ottobre 2003
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Riccardo, Milano, 25/10/'04

Credo che sia un'esperienza unica quella che vive l autore... un misto tra follia e comicità ! Memorabile il passo in cui, durante il pranzo, si sentono le urla quasi sovraumane di Fosca.


Giulia, 6/10/'04

Il romanzo è scritto con una forza sorprendente tale da tenere il lettore senza fiato dalla prima all'ultima riga.La forte personalità di fosca incanta e impressiona il giovane giorgio fino a rendersi completamente schiavo di lei.


Gabriele Macorini, Milano, 4/09/'04

Questo breve romanzo del morto giovane Tarchetti mi ha portato nella Lombardia subito dopo l'unità: scialbo il personaggio di Clara, tutto dominato dal rapporto particolare tra Giorgio e Fosca: ma chi è Fosca? l'angelo della morte? E' brutta sì come la morte, ma dentro è buona, sincera, profonda, davvero innamorata, è quello che c'è dopo la morte: ma non fa morire Giorgio, preferisce morire lei...


Valentina d'Addazio, Pescara, 24/06/'04

Non credo si possa interpretare la fosca in maniera univoca e monocorde. Gli studi su tarchetti ci insegnano come la sua fosse una personalità complessa, operante in un periodo altrettanto particolare, in bilico fra ultimi echi del romanticismo e prime luci del decadentismo. A mio avviso Tarchetti è "l'ultimo dei romantici", porta in scena una donna ebbra d'amore e questo conta molto più di quegli studi critici che lo vedono interessato alla cultura medica ottocentesca. Gli squarci lirici del romanzo sono sufficienti a spazzare ogni tentativo di vivisezione del cuore umano.


Chiara F (ofelia42@supereva.it), Milano, 13/11/'03

Il mondo dei sani è visto sotto un aspetto di amara crudeltà. Nell'orrenda e viziosa Fosca, Giorgio trova 'la beltà' che aveva perduto nella sua amata Clara. Fosca è il ritratto della morte che influenza il protagonista; dalla pietà che prova per lei si sente costretto a non abbandonarla.




http://www.italialibri.net - email: - Ultima revisione Ven, 13 ott 2006

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