Carlo Emilio Gadda, Un fulmine sul 220
A cura di Dante Isella
Garzanti Libri, 2000
Narratori moderni, 330 p.
Euro 16,53
e tutto è ragione a 'sto mondo, e se ogni fatto deve avere la sua causa, dove cercarla, dove cercarla per un fatto simile? Sono cose, che fanno dubitare della Divina Provvidenza! Ma no, no, Vergine Santa, è impossibile, bisogna proprio diventar matti.
Già Paul Valéry aveva pensato con acume al fatto che ogni artista cristallizza forme sempre suscettibili di correzioni, di morti e rinascite per altri avventurosi inveramenti: ogni opera, dunque, come variazione su un tema mai del tutto esauribile. E Picasso, drastico e lucido come sempre, diceva che mai un quadro è finito ma sempre solo interrotto.
La vita è tenuta a essere il disegno, per quanto arabescato, duna sola linea, e la latenza delle cose non vissute resta un enigma pulsante ma poco o niente percorribile: ferita nella memoria chissà poi se svanente, o fedele come un rimorso. Larte permette invece eterni ritorni sul già fatto per riplasmare le forme raggiunte, le quali fosse anche la Gioconda o lOrlando furioso sono per lautore sempre crocevia di altri percorsi, alvei gravidi di migliorìe potenzialmente non meno che infinite.
Così, quasi mai siamo rassicurati da opere che abbiano la costanza perfetta che vorremmo anche per amori e giovinezza, e la loro forma finale è spesso poco più duna una convenzione: ci turbiamo per Didone sapendo che Virgilio morente avrebbe bruciato esametri per lui tanto incorreggibili quanto per noi perfetti, o leggiamo Petrarca coscienti che lavorò fino alla fine al Canzoniere come fosse un caleidoscopio infinito. Né si va sempre verso il meglio: gli scrupoli di Tasso e di Manzoni arrivarono fino allo scempio o al ripudio dei loro capolavori: eppure leggiamo anche quelli.
Il caso di Michelangelo è, rispetto a Gadda, forse il più adatto per capire qualcosa, poiché Buonarroti causò tali sconcerti con i suoi geniali non finiti, che questi sarebbero stati levigati da un finitore catastroficamente coscienzioso, se il Fato non avesse provvidenzialmente risucchiato questultimo nellinoffensivo regno dei più.
Anche il non finito di Gadda è stato infatti spesso una scelta deliberata e inequivocabile: così, il meraviglioso Pasticciaccio è un giallo come accade quasi sempre nella realtà senza soluzione, e la Cognizione del dolore fu assemblata dalleditore in forma di romanzo, nella quasi avulsa condiscendenza dellautore al lavoro di un filologo fedele.
Un fulmine sul 220 è invece lo splendido resto dun romanzo abbandonato, da cui, 12 anni dopo, sarebbero stati ricavati i quadri milanesi dellAdalgisa. In una delle pagine finali si vedrà che Gadda aveva ridotto la storia di morte e di adulterio che aveva in mente alla linea semplice duna parabola: come fosse un Balzac. Ma «è come quando una donna si mette a partorire e le nascono tre figlie invece di uno.» Così il personaggio, allinizio secondario, di Adalgisa invenzione tra le sublimi del 900 esplode in tutta la sua carnosa irruenza, scompaginando i piani, sbilanciando la storia verso il centro del suo risentimento sanguigno, popolare, scrupoloso e iracondo.
Il prezzo, nel momento in cui Gadda abbandonò per Adalgisa la sua balzachiana parabola, fu il sacrificio di Elsa che qui recuperiamo! , resa viva e palpitante con una tale finezza, con una tale pietosa erotica complicità, da lasciare senza fiato: lo stesso sguardo che verrà soffuso sulla Liliana Balducci del Pasticciaccio da far pensare al Tolstoj della Karenina
Rispetto al palpito dubbioso della vita che cerca se stessa, la letteratura non gioca, ma è (Gadda lo scrisse di Shakespeare) conoscenza. Non meno che a questo convergono i doni duno scrittore che come nessuno fu il precipitato perfetto e sorprendente duna tradizione letteraria tra le supreme (Dante, Compagni, Villani, Leonardo, Machiavelli, Guicciardini, Cellini, Ariosto, Manzoni, Porta, Belli
).
Niente di più attuale di tanta ricchezza, che Gadda manipola al contrario dello scrittore-dio che olimpico e ottocentesco plana dallalto in ogni anfratto dun mondo sovrastato. Quella di chi scrive è lanima più ferita e sfrangiata dalla catastrofe perenne del tempo e del caso: perché altrimenti ostinarsi a descrivere? ma poi per quale impossibile riparazione?, dato che non si potrà dare che il resoconto umorale e tendenzioso di questingorgo tra un mondo e un io a sua volta del tutto instabile, umorale, sfuggente, sarcastico, sorpreso Gadda avrebbe detto spastico?
Le parole stesse e le frasi, come per il suo Leibniz letto e riletto, sono «définitios nominales provisionnelles» che azzardano disegni incompibili della sempre in corsa «connexion universelle des choses»
Ma se tutto è connesso a tutto tornando a Un fulmine sul 220 lamore di Elsa ha i suoi fili invisibili a legarlo al resto del cosmo: dai cieli stellati alle cacche dei cani, dai nasi laboriosamente smoccolati dei bimbi al vento leopardiano che passa tra gli alberi nella sera: e non cè più ideologia o poetica che possa scindere il sublime della tragedia dallumile del resto delle cose.
Il pathos è ovunque. E il celebre irresistibile registro comico, che dunque non è mai solo, traveste da Secchie Rapite i drammi essenziali dellesistere e del conoscere.
Milano, 18 marzo 2003
© Copyright 2003 italialibri.net, Milano - Vietata la riproduzione, anche parziale, senza consenso di italialibri.net
|