Un giorno di fuoco, le Langhe, la memoria di Beppe Fenoglio, la formazione della moralità

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Un giorno di fuoco (1963)



Beppe Fenoglio, Un giorno di fuoco
Einaudi, 2000 - Einaudi tascabili. Letteratura
pp. 930, Euro. 7,23

n giorno di fuoco è la seconda delle tre raccolte di racconti scritte da Fenoglio e la prima opera pubblicata postuma (si ricorda l’edizione Garzanti risalente all’aprile del 1963, uscita due mesi dopo la morte dell’autore), in un testo che con tutta probabilità, anche se non sono da escludersi ripensamenti in fase di correzione delle bozze, sarebbe stato quello definitivamente approvato dallo scrittore (per la genesi dell’opera si rimanda alla dettagliata nota introduttiva curata da Dante Isella).

Il titolo dell’intera raccolta prende il nome dal racconto che apre l’opera ed al quale fanno seguito, secondo un ordine prestabilito da Fenoglio stesso, La sposa bambina, Ma il mio nome è Paco, Superino, Pioggia e la sposa, La novella dell’apprendista esattore, tutti redatti tra il 1954 e il 1962. Accomunati dall’ambientazione langarola e dal fatto di essere brani autobiografici, vengono rivissuti attraverso la memoria dell’autore (*). Considerata la complessità dell’opera, il suo grande merito risiede nell’assenza di cedimenti sentimentali, che si tramuta in un clima di lucida rievocazione della nascita della propria moralità, in un ambiente formato dai caratteri e dalle parole di quei personaggi che l’occhio del bambino rende strumento di rigenerazione delle proprie radici. Nella misura in cui a Fenoglio importa delineare figure e situazioni, senza tuttavia, ormai adulto, entrare in rapporto con la realtà descritta, siamo ben lontani dal dialogo che con il passato instaurano autori come Proust o Bufalino e, quindi, dalla presenza di un filtro che tramuta in luce le immagini del tempo ormai trascorso, magari deformandole e lasciandone consapevolmente intendere la manomissione.

L’esperienza umana che sta alla base de Un giorno di fuoco è rappresentata dalle vacanze del giovane Fenoglio presso i parenti paterni ( il titolo originariamente scelto dall’autore era, infatti, Racconti del Parentado) e dalla scoperta di un mondo istintivamente percepito come atavicamente vivo nell’animo dell’autore («Quando a scuola ci avvicinavamo a parole come “atavismo” e “ancestrale” il cuore e la mente mi volavano immediatamente e invariabilmente ai cimiteri sulle Langhe»), epico e quindi, in fondo, rigidamente definibile attraverso una morale che gli appartiene da tempo. I temi sono quelli già brillantemente affrontati nel primo romanzo del 1954, dal titolo La malora: grande protagonista, dunque, è ancora una volta la natura percepita sotto il duplice aspetto di madre nutrice ed entità vendicatrice ( si pensi ai carabinieri che si mimetizzano perfettamente nel verde circostante la casa di Davide Cora). Implacabile despota che esige un tributo, la natra é un opprimente richiamo non solo nei confronti di chi le fa resistenza, poiché la rivolta conduce inevitabilmente al suicidio, ma anche di chi accetta di subirla, poiché i volti dei protagonisti trasformati dal tempo paiono assorbire una sofferenza che non si sottopone alle regole della ragione.

Del resto, questa doppia valenza nel significato di “natura” emerge palesemente dalle figure delle donne che popolano i racconti de Un giorno di fuoco: mentre nella tradizione contadina classica esse si ergono nella loro solidità come numi tutelari della casa, costituendo obbligati punti di riferimento, nel contesto dei racconti di Fenoglio, invece, incarnano, proprio in virtù della natura possessiva del rapporto con il loro uomo, un ‘entità cardine, ma allo stesso tempo soffocante, fino a diventare vecchie megere sterili come viti secche, che si concedono ai preti e che si chiudono entro le mura domestiche precludendosi il contatto col mondo esterno (si pensi alla zia de Un giorno di fuoco o alla moglie di Maggiorino ne Ma il mio amore è Paco). Da ciò nasce quella sensazione di ricerca della libertà nei confronti del mondo rappresentato, che è presente negli atti di ribellione da parte dei personaggi maschili dei racconti di Fenoglio; ad incrementarla, poi, concorre la disturbante figura dei preti e, più in generale, della vita parrocchiale che si svolge sulle colline a lungo disegnate dall’autore: uccisi per vendetta, costretti a coprire la propria paternità, legati a perpetue trentenni cui: «Una verruca deturpava la guancia» (particolare sottolineato con «acre soddisfazione») e legati ad interessi venali, i parroci che abitano questa frazione di universo lasciano trasparire un’immagine di caos, di fronte alla quale nulla possono i valori di un cristianesimo vissuto solo esteriormente.

A tutto ciò si deve aggiungere l’ambiente naturale che fa da sfondo alle vicende narrate, popolato di colline dal terreno duro e difficile, battuto dal vento e dalla pioggia, il quale rende le strade ruscelli di fango e che non regala nulla, distruggendo il fisico dopo pochi anni. Tutto sommato pare inevitabile, come dimostra il contenuto delle pagine de Un giorno di fuoco, soffermarsi ad osservare l’eterno moto delle formiche, vagare tra le tombe, subire il fascino del gorgo (l’acqua profonda: «Era perfettamente immobile, come raggelata, ma le radici ed i rami sommersi si agitavano come anime del purgatorio») e rendere quest’esperienza perfetto riflesso del rapporto inesplicabile con una natura bifronte.

Nella descrizione di questo mondo non c’è pietà, né compassione: il realismo che a tratti può apparire greve e con il quale essa viene affrontata è, nella sua incisività, il migliore ringraziamento per avere avuto il privilegio di apprenderne i segreti.


(*) Per una dettagliata analisi delle pagine in cui si sviluppa il tema contadino in Fenoglio, della raccolta di racconti in questione, del romanzo “La malora”, unitamente al discorso sulla letteratura neorealistica di questi anni e sulla tradizione del realismo italiano partendo da Verga, si rimanda ad “Invito alla lettura di Fenoglio” di W. Mauro, edito da Mursia.

A cura della Redazione Virtuale

07 settembre 2001
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