Cristina Campo, Gli imperdonabili
Adelphi, Milano, 1987
Biblioteca Adelphi, XV-282 pp.
Euro 16,00
ristina Campo è un grande problema: innominabile in alcuni ambienti culturali, esaltata da altri ambienti, pubblicata da un editore raffinato ma nello stesso tempo ben inserito nelle dinamiche della cultura italiana. Luscita di quattro suoi libri per Adelphi La tigre assenza, Gli imperdonabili, Sotto falso nome e le bellissime Lettere a Mita, più la biografia dedicatale da Cristina De Stefano corrisponde, in parte, a una strategia preordinata, rivolta a un pubblico identificato a priori.
Campo è un paradosso, quindi: un lavoro riservato, in vita, che post mortem diventa molto aperto, se non di massa, anche nelle sue sezioni più intime.
In realtà i contenuti di Cristina Campo non sono nati per la divulgazione (e la sua formula «ha scritto poco e le piacerebbe avere scritto meno» non è snobistica: ogni parola ha un peso ed è un «tremendo pericolo» per la persona religiosa è anche un impegno davanti a Dio di cui il parlante deve «rendere conto», come è ricordato nellIntervista ora in Sotto falso nome). Quindi ogni lettura critica di Campo rischia di diventare o una demolizione troppo dura o unagiografia troppo purificata: la sua biografia Belinda e il mostro, di Cristina De Stefano, edita da Adelphi nel 2002 è tanto accurata quanto esposta a questo rischio, comprensibilissimo.
Limperdonabilità è un valore stilistico che appartiene ai Grandi (Donne, Chopin, Proust, Hofmannsthal
). Si tratta di ragionare e produrre allinterno di una religione della Bellezza; ed è una forma di mistica dellequilibrio e della sprezzatura (lunderstatement dei Grandi: Chopin che ha facilement come motto). Si tratta, anche, di un modello interpretativo assolutamente non novecentesco di fronte ai linguaggi artistici del Novecento.
Ne possono nascere dualismi feroci: Rilke imperdonabile, non Artaud; Balthus sì, Burri (o Manzoni, o Arman) no; Luzi e Landolfi, non Pasolini e Testori ecc. Anche per chi ammira Campo e per chi scrive questa pagina è un punto di riferimento si tratta di un problema serio: che si risolve, forse, approfittando dello stesso estremismo di Cristina, e traducendolo in una visione in cui Rilke e Artaud, Williams e Pound hanno insieme il compito di sperimentare, a nome del lettore, possibilità diversissime. Lo scrivere a piedi nudi di Campo (lespressione è nelle Lettere a Mita) può diventare, così, non un atto agiografico (inimitabile) ma una ricerca etica (imitabile, perché doverosa): purché includa, non escluda, le altre sperimentazioni.
Ora lattenzione al rito e alla scrittura come rito non appartiene al mondo di tutti. Esistono due mondi e Campo viene dallaltro, come il suo lettore ideale. Il corpo vivo deve sviluppare sensi soprannaturali, come il cuore orante dei Racconti di un pellegrino russo. La diversità e la malattia sono occasioni alte (della preghiera incessante e dello stile senza scorie), non stati fermi. La passione per il bello assoluto e quindi per Dio genera compassione. Se è vero, il lettore deve concentrarsi su un modo di pensare non paragonabile a nessuno dei modelli etici contemporanei: nemmeno la Chiesa postconciliare, più divulgata ed ecumenica e meno liturgica (su questo aspetto, discutibilissimo, di Cristina Campo cfr., in particolare, Sotto falso nome e Belinda e il mostro).
Lisolamento è virtuoso solo se è vincolato a un Progetto imperdonabile che si dona al mondo, a costo di sacrificarsi (la protagonista del dramma Ipazia di Luzi è, in qualche modo, un alter ego, non involontario, di Cristina: e qui la conoscenza come sacrificio è evidente).
In caso contrario è solipsismo esaltato o agiografia personale, che non salva né scrittori né lettori.
Milano, 21 luglio 2004
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