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L'isola dell'angelo caduto


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Carlo Lucarelli, L'isola dell'angelo caduto
Einaudi Tascabili, 2001
pp. 224, Euro 8,26

on L’isola dell’angelo caduto, Lucarelli ha raggiunto la perfezione sotto ogni punto di vista: stilistico, dei contenuti, del giallo, della rilevanza storica. Ha creato qualcosa che prende il lettore con una specie di stonata bellezza, qualcosa che rapisce come una musica omogenea, ma allo stesso tempo suonata a più mani. E Lucarelli ha dimostrato di saperci fare descrivendo la storia di un luogo che, forse, è protagonista isolato e indiscusso del libro; si tratta di Capo d'Angelo, l’isola dell’angelo caduto appunto.

Sullo sfondo appare l’eco lontanissima, ma comunque presente, della storia d’Italia nel momento in cui Mussolini, nel 1925, si macchia dell’omicidio Matteotti. Tra i personaggi spiccano il commissario melanconico e depresso, la sua folle moglie Hana, il fascista esaltato Mazzarino, la perversa moglie del federale, oltre che, naturalmente, una miriade di personaggi dai caratteri unici e irripetibili.

Ne consegue un insieme ben conosciuto, forse perché il lettore, pur non rendendosene conto, è in qualche modo conscio di vivere dentro quest'insieme. L’isola dell’angelo caduto è il mondo. Non, però, il mondo "ufficiale": quello descritto dal romanzo, infatti, è il mondo ufficioso in cui pochi — in particolare solo coloro che hanno un contatto crudo con la realtà — sanno di vivere. In origine denominata "Capo dell'Angelo Caduto" (in base a una leggenda che voleva che uno degli angeli ribelli fosse precipitato proprio lì cadendo dal cielo), l'isola è anche sede d'una colonia penale. È un inferno in cui la società, quella “bella” e “giusta” (e non a caso Lucarelli sceglie proprio il periodo fascista per ambientare la sua storia) ha relegato i “diversi”. E per “diverso” s’intende chi della vita e della società ha una visione tutta sua, giusta o sbagliata che sia, ma comunque “diversa”.

È con queste latenti premesse che il commissario, il protagonista della storia, sbarca sull’isola con la moglie Hana, in una notte di fitta tenebra che presagisce già tutto.

«Da allora, anche anni e anni dopo che gli eventi si furono conclusi, conclusi e mai dimenticati, ogni volta che guardava il mare, e vedeva la schiuma di un’onda spaccarsi su uno scoglio, e sentiva le gocce che si schiacciavano sul vetro della finestra a cui appoggiava la fronte, ogni volta, ovunque si trovasse, gli tornava in mente la notte che arrivò sull’isola. Era così buio quella notte che il cielo e il mare erano la stessa cosa, talmente neri e stretti e lucidi che sembrava di stare sospesi nel vuoto. E se serrava le palpebre, e le copriva con la mano, e premeva, forte, lo spazio che vedeva dietro agli occhi, cieco come quello in cui si formano i pensieri, era nero come quel mare e quel cielo, infinito e nero. E anche il sale che gli toccava le labbra, e quel sapore sottile di petrolio e motore e il sospiro appena soffiato del legno che sfiorava il mare sembravano venire dal niente e svanire subito nel silenzio opaco e nell’odore immobile di quella notte».

Il commissario è un uomo malinconico, a tratti orgoglioso, di un orgoglio negativo, molto più spesso debole, forse di un’insicurezza caratterizzata da quel mondo che lo circonda e che gli impone regole e convenienze che lui non vuole rispettare. Il commissario pare sentirsi stretto in questo mondo, ma non trova occasione per uscirne o, forse, non vuole uscirne: quando gli si presenta l’occasione di svolta, per lo meno una svolta nella vita lugubre dell’isola, ossia la serie di omicidi che accadono, il commissario muove piccoli e lenti passi, pensa con la sua testa, ma non appare mai sicuro di sé, forse perché non vuole uscire dalla sua situazione, o perché teme un mondo peggiore.

Chi è decisa a fuggire, ma lo fa rifugiandosi in se stessa, è Hana, la moglie del commissario, che è inorridita dall’isola ed è anche l’unica che capisce veramente il luogo in cui è capitata: un mondo popolato da pazzi, mentecatti, emarginati, perversi e, per esteso, da mostri e diavoli. Hana si chiude così nella sua mente, sviluppando una follia strana, quasi a scudo protettivo, la cui “bandiera” è la canzone che ascolta di continuo «Ludovico sei dolce come un fico». Questa litania, che si spande nel vento fuligginoso dell’isola, contribuisce a far ricordare, soprattutto al commissario, la follia e l’assurdità dell’isola stessa.

«Dentro quella luce vedo i granelli di polvere diluirsi o ammassarsi a seconda dei risucchi dell’aria e ascolto le loro collisioni. Carissimo mio, lo so che pare così strano a dirsi in questo modo, però tutto fa rumore, anche i granelli di polvere che si scontrano nell’aria e io non riesco a dormire. È per questo che ascolto quella musica, sempre la stessa, perché già ne conosco ogni pausa, ogni accelerazione, ogni movimento e così non può farmi paura. Il sole di quest’isola è diverso da tutti gli altri soli che ho mai visto […] “Lo sapete, signorina Hana, — mi dicesti quando tornasti in licenza la seconda volta, — che quando sorridete il sole vi fa brillare gli occhi?” Ma questo sole, carissimo mio, questo sole è diverso, È una sfera luminosa che non scalda ma brucia soltanto, che arde nel cielo, bianco e duro come un sasso.»

I tre omicidi che si avvicendano servono semplicemente a fornire un quadro più completo del mondo da noi abitato; fra l’altro avvengono per mani di diverse persone, quindi si vogliono mostrare differenti tipi di follia, che in ogni caso contribuisce solo all’incomunicabilità e a peggiorare le condizioni del mondo: da una parte c’è la follia di Hana che non fa male a nessuno, ma solo a se stessa e a suo marito che, continuamente, con la canzone di “Ludovico” è condotto dalla realtà quotidiana che in qualche modo lo distrae, alla percezione di ciò che la realtà nasconde; dall'altra c’è la follia degli assassini, la perversione della moglie del federale, l’esaltazione maniacale del fascismo di Mazzarino. Quest’ultima è una follia scatenata dalla ribellione verso il mondo e un tipo di società che non piace e che si sfoga nell’omicidio e nel sangue.

È comunque la pazzia di Mazzarino, il vero demone della situazione, ciò che riassume un po’tutto: Mazzarino fa intuire come un particolare periodo (il fascismo) e come la storia, con la sua potenza e il suo spietato meccanismo — per dirla come Foscolo — possa annullare l’uomo e inglobare il singolo individuo, coinvolgendolo in maniera esagerata fino a indurlo a compiere delle azioni estreme. Mazzarino realizza alla lettera ciò che Mussolini dettava: creare sull’isola una dittatura, tagliando ogni contatto con il mondo, divenendo lui e lui solo il capo, il dio degli uomini. Tutto ciò sta a dire che, quando gli uomini vogliono somigliare a Dio e governare come Lui, il mondo diventa crudele, a tinte fosche. Ma gli uomini fanno questo solo perché sono deboli.

Così, dentro il grande calderone, mentre nel resto del mondo la nefandezza del quotidiano si cela dietro i diversi aspetti della vita, nell'isola dell’angelo caduto tutto avviene senza maschere, poiché è un luogo in cui la realtà si fa reale. E del mondo reale solo pochi uomini si accorgono e questi sono destinati all’abbrutimento ferino e all’inferno sulla terra. Forse si tratta di un mondo un po’ platonico e così è perché noi uomini non vogliamo accorgerci di quanto capita. L’isola dell’angelo caduto è così piccola, come il mondo del resto, che tutti possono conoscere quello che in essa accade; ma le dimensioni non bastano a spiegare nulla. Ci vuole anche un personaggio, come quello del commissario, che porti una ventata nuova, un'ulteriore alternativa di vita, triste e malinconica magari, ma comunque volta a scoprire l'"inquietante" nascosto.

Non c’è bisogno di andare troppo oltre con lo sguardo per rendersi conto che nel mondo la turpitudine è all’ordine del giorno, poiché esso è piccolo ed estremamente facile da comprendere pur nella sua folle illogicità.

Un mondo che da un maestro del narrare come Lucarelli è descritto come se il lettore avesse davanti a sé un quadro, grande quanto basta per raffigurare tutta un’isola, tutt’un mondo, un quadro a tinte fosche, abbastanza cupo e boscoso da ricordare la selva oscura di Dante.

Lo stile è semplice: Lucarelli ha compreso la superfluità degli artifici. Il linguaggio usato, tuttavia, si mostra estremamente poetico, di quella dolce e disincantata poesia di cui sono dotati tutti gli uomini, anche se raramente ad essa attingono.

E se il libro, per il suo stile e la sua storia narrata, passa come il tempo, rimane costantemente, nei cuori dei lettori, la figura del commissario, di un uomo che brancola nel buio, camminando su un pavimento di nebbia, il quale non vuole cambiare la propria situazione, per orgoglio o per paura; la figura di un antieroe che risolve un enigma senza chiarire il proprio. È il prototipo dell’umanità.

«Ogni tanto, riusciva a non tornare indietro, riusciva a entrare e a dettare al nuovo ufficiale postale un’altra formale domanda di trasferimento, un’altra confidenziale richiesta di raccomandazione,un’altra supplica, inutile, come tutte le altre. Quando usciva e si trovava solo nella nebbia, sospeso in quel vuoto candido, circondato dal vento che fischiava Ludovico, la rabbia era così forte e disperata che faceva a pezzi la ricevuta del telegramma e la gettava nel nulla. E poi doveva respirare a fondo e stringere i denti e premersi forte le mani sugli occhi per non scoppiare a piangere. A volte ci riusciva, a volte no».

Questo libro probabilmente è solo un giallo, un giallo pieno di «strane licenze», come dice lo stesso Lucarelli. È comunque, e pur sempre, il giallo della condizione umana.

A cura della Redazione Virtuale de «La Libreria di Dora»

Milano, 12 novembre 2001

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Tommaso Puzzilli (puzzilli@hotmail.com), Roma, 17/11/'03

Niente da fare... Lucarelli fatica a scrivere e si vede... prosa troppo lavorata... ricerca dell'effetto... non una sorpresa in tutto il libro


FILIPPO FERRUCCI (filep@libero.it), Argenta (Fe), 12/05/03

Discreta prova del Lucarelli, ancora, per me, scolastica e troppo storicizzata. Notevole, comunque l'affresco ben riuscito del clima generale che dall"italietta" proletaria tra le nazioni alle manie d'impero, il fascismo aveva ereditato e poi esasperato.


Gian Piffer (piffer@tim.it), Roma, 27/04/03

troppo bello


Marco Salomone (payback@jumpy.it), Civitavecchia, Roma, 25.11.2001

E' stato interessante notare come lo stesso Lucarelli abbia particolarmente curato la descrizione dell'isola, durante una sua presentazione dell'opera. Secondo lo scrittore, l'isola è la vera protagonista del romanzo. Tutto quello che vi avviene non è altro che un corollario di azioni, dovute principalmente all'uomo ed alla sua capacità di reagire o di non farlo affatto ad un mondo ristretto, crudo, impressionante, spietato. Lucarelli basa molto del romanzo sull'impatto ambientale. Mentre si leggono le sue pagine, ci si sente veramente tra le vie polverose dell'isola, con il vento a farla da padrone ed il profumo del mare onnipresente. La notte, la nebbia esce dalle parole e ci entra nelle ossa. Tale identica sensazione la suscita Valerio Evangelisti nel suo Cerudek, quando descrive il paese magico ed inquietante dove si svolge la parte al presente del suo romanzo. Il commissario, senza un nome, perchè non è importante chi si è, ma quello che si fa. Mazzarino, invece, un nome ce l'ha. Ed il suo nome al principio dovrebbe, almeno per assonanza, indicarlo come uno dei colpevoli, se non il colpevole più chiaramente identificabile, quello su cui è più facile scaricare tutte le colpe. Ma nel libro (bellissimo, meraviglioso, eterno) i colpevoli sono tutti: gli esiliati della colonia penale, le loro guardie (colpevoli di appartenere al regime fascista e comportandosi come degli dèi scesi in terra), il commissario e la sua folle signora (lui, prigioniero dei propri limiti, non riesce nè a scendere a patti con i vertici, nè a ribellarsi per aiutare la moglie; lei, vittima della sua follia, non riesce a sollevarsi, portando a fondo con sè anche il buon cuore e il buon carattere del marito). Tutti sono colpevoli e l'isola è la loro punizione. Qui l'angelo caduto è l'Uomo, perchè l'isola è diventata un inferno. Un inferno creato dall'Uomo per l'Uomo. E tutta la malinconia che si respira nel libro, forse, esiste proprio perchè l'Uomo ha preso coscenza di questo.


Alessandro Santini (maldito@katamail.com), Novara, 13.11.2001

Un libro che ti colpisce come il vento che, in una sinfonia di archi sferza l'isola, che ti avvolge come la nebbia che circonda l'isola. Un libro che... stordisce. Forse la miglior prova di Lucarelli.




http://www.italialibri.net - email: - Ultima revisione Sab, 7 ott 2006

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