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In Lettere dal Sahara, come Stendhal, Moravia si propose di descrivere lAfrica |
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Lettere dal Sahara (1981) |
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Accade poi, almeno una volta nella vita, di sfogliare un libro come Lettere dal Sahara di Moravia e di accorgersi, grazie alle straordinarie doti dellautore, di essere in grado di percepire profumi o suoni mai sentiti, lontani nel tempo e nello spazio, meravigliosi.
Negli anni tra il 1975 e il 1981, egli attraversò lAfrica come inviato speciale del «Corriere della Sera». Nel 1981 decise di raccogliere i relativi articoli nellunico volume intitolato: Lettere dal Sahara. Dellamore incondizionato e folle per lAfrica, Moravia non fece mistero con nessuno: «Per me è la cosa più bella che esista al mondo» dichiarò nellintervista resa ad Alain Elkann «il suo odore non si dimentica mai». Si rammaricava, tuttavia, di averla scoperta in ritardo, ormai cinquantenne. A volte capitava che, preso dallo strano magone che tutti sogliono definire «mal dAfrica», egli partisse improvvisamente da Roma, per raggiungere la dimensione "astorica" e la realtà «fuori tempo» del vivere africano. In camere dalbergo fatiscenti, talvolta mancanti anche del minimo indispensabile, egli consumava linchiostro della penna trasferendo emozioni e immagini su fogli che oggi abbiamo la fortuna di poter leggere e rileggere. Sulla scorta di celebri antenati, in Lettere dal Sahara Moravia abbandona temporaneamente la vena del romanziere e si tuffa nella scrittura che nasce dalla narrazione di un viaggio. Proprio come Stendhal descrisse lItalia, Moravia si propose di descrivere lAfrica: «impressionisticamente, senza cercare di spiegarla e giudicarla, limitandosi ad evocarla e a descriverla». Lettere dal Sahara è diviso in più parti: la prima sezione è intitolata Diario Avorio. Steso su un materasso «smilzo, tutto buche e bitorzoli», Moravia inizia compilando un quaderno di viaggio che chiama Avorio, dal nome del paese in cui momentaneamente si trova, la Costa DAvorio, appunto.Egli immagina che il diario sia «un libro, simile agli antichi messali ornati di avori intagliati». Nel suo osservare da cui trasuda felicità, i paesaggi africani prendono la forma di quadri e dipinti già visti o creati da artisti come Gauguin e Cèzanne; si realizza, in tal modo, ciò che egli definisce: «il ben noto paradosso, per cui la natura imita larte». Nella sezione riservata alle lettere, Moravia scrive con accento più rilassato, quasi familiare; fra le righe, egli non può fare a meno di incoronare la natura come magnifica scoperta di un mondo fatto di nulla, solitudine e distese sabbiose color giallobruno attraverso cui, per ore e ore, si percorrono paesaggi identici e inalterati. Quella che Moravia vede e fa sua è la stessa natura che Karen Blixen racconta ne La mia Africa. Abbandonandosi allincantesimo africano, scolpito da miraggi, illusioni e inganni della mente, Moravia riflette su come il deserto somigli, nellesperienza umana, alloceano; in queste due solitudini, veri e propri monumenti della natura, non è possibile soggiornare, mettere radici vivere stabilmente: «Nel deserto, come nelloceano bisogna continuamente muoversi e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio». Riguardo al Sahara lo scrittore insiste nel sottolineare le caratteristiche che egli ritiene proprie del deserto come il senso di morte, il sonno eterno, il vuoto senza fine che stupisce quando, a pensarci meglio, ci si rende conto che è capace di fingere la vita più dellesistenza stessa: «Mentre nelle città la vita sembra continuamente assumere sembianze di morte, allo stesso modo, nel deserto, la morte ad ogni momento, pare simulare la vita». In Lettere dal Sahara il viaggio del lettore accompagnato da Moravia prosegue attraverso il kenya e i suoi animali. Colpisce lo stupore quasi infantile e lentusiasmo carico di curiosità che lo scrittore mette nel narrare di zebre («falsi cavalli come egli stesso le definisce), rinoceronti, coccodrilli. Persino nelle caratteristiche somatiche degli uomini del deserto lautore è in grado di trovare quegli elementi unici, che rendono tutto ciò che nellAfrica vive e dellAfrica si nutre incomparabile; così Moravia parla di «grandi occhi neri, lucidi e fissi come di ossidiana, naso ricurvo, bocca fiera e crudele». Lontano da casa, in un luogo che sembra fuori dal mondo, misterioso e bellissimo, Moravia ritrova di continuo somiglianze, vecchi amici (in una campagna vicino Nairobi, ad esempio, rivede lambiente che fa da sfondo alle poesie e ai romanzi di Pasolini) e, inoltre, ricordi di letture grandiose come lOdissea di Omero e le Favole dei fratelli Grimm. Talvolta è lo scrittore stesso a ricercare, ostinandosi, un collegamento fra «il mostro affascinante e incredibile» della natura africana e la letteratura da lui studiata, accostata, ritrovata. Nella risalita in battello del fiume Zaire, il racconto di una realtà vissuta da testimone oculare, si mescola di frequente con le pagine del romanzo africano Cuore di Tenebra di Joseph Conrad, che Moravia imita e rilegge nei giorni della navigazione. Sarà proprio in virtù dellesperienza personale che, criticando la scelta del titolo del romanzo di Conrad riferito al fiume Zaire, lo troverà più adatto a definire la foresta dello stesso paese: «Qui sulla pista che serpeggia nel buio del sottobosco, pare davvero di scendere agli inferi, verso il cuore tenebroso dellAfrica. Un cuore fatto di fogliame avviluppato e intricato intorno qualche cosa che in realtà è il nulla». A cura della Redazione Virtuale de «La Libreria di Dora» 18 aprile 2001 |
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