MISTERO BUFFO, L'OPERA CHE PROCURATO A DARIO FO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA NEL 1997

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Mistero buffo (1969)


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Dario Fo, Mistero buffo
Einaudi, 2003
Einaudi tascabili. Teatro, 410 pp.
Euro 11,50

«A Dario Fo… che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati…» (Motivazione dell’Accademia di Svezia per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo nel 1997).

on Mistero buffo, l'arte di Fo raggiunge il massimo grado di novità e originalità, seguendo non la tradizione istituzionale del teatro, ma la forza espressiva e la grande carica comunicativa dei giullari medievali (joculatores).

E Fo è un giullare perfetto che, “manovrando” con grande abilità, risa e serietà, ripercorre una storia millenaria fatta di abusi e ingiustizie, nel tentativo, anche, di svegliare le coscienze, perché in lui è pressante un impulso forte: la ricerca della giustizia

Il giullare, espressione teatrale del popolo, con la propria cultura e i propri sentimenti di rivolta: ecco la figura che offre a Fo i modi espressivi più consoni alle sue esigenze interpretative e comunicative. I giullari recitavano nelle piazze, nei mercati e, assieme ai comici dell’arte, furono gli inventori del grammelot, sorta di lingua, di articolazione di suoni e di azione mimica messe assieme, nate sia dalla situazione peculiare dei giullari che viaggiavano in luoghi in cui si parlavano lingue diverse, e quindi dalla necessità di farsi intendere un po’ da tutti, sia dalle leggi censorie che imponevano loro di non recitare in lingua. «… Fin dal Mille — dice lo stesso Fo — il giullare girava piazze e paesi, facendo sotto forma di recitazione satirica delle vere e proprie accuse ai potenti. Egli era una figura che si concretizzava direttamente dal popolo, dal quale attingeva la rabbia, per poi ritrasmettergliela mediata dal grottesco»; questa forma di teatro popolare era «il giornale parlato e drammatizzato del popolo».

Fo, già dall'inizio degli anni Sessanta, aveva cominciato un lavoro di ricerca proprio sul teatro medievale — che fino al 1400 e oltre verteva, quasi esclusivamente, su temi religiosi — ricavandone dei testi da recitare che, in alcuni casi, sono interamente autentici, in altri invece sono una libera rielaborazione. È come se avesse dato una “rispolverata” a quel mondo perduto, ricreandolo alla sua maniera, e il giullare — clown di quell’età lontana — lo fa sentire vicino alle sofferenze, alla triste condizione dei derelitti, sempre a caccia del loro tozzo di pane e sempre schiacciati da chi di pane ne ha in abbondanza fino a ingozzarsi (eterno conflitto potere-classi subalterne).

Con Mistero buffo, Fo punta proprio a far rivivere la cultura delle classi subalterne, da sempre messa in disparte, quasi cancellata o interpretata non nel significato autentico. La spiegazione più convincente di tale concetto fa quasi da premessa a Mistero buffo con il primo capitolo intitolato Rosa fresca aulentissima, attraverso il quale Fo presenta e reinterpreta, o meglio, interpreta e colloca nel contesto originario, un’opera molto conosciuta sulle antologie letterarie di liceo: Rosa fresca aulentissima, appunto. L'opera, conosciuta anche come Contrasto di Cielo d'Alcamo, poeta della Scuola poetica siciliana, è un dialogo fra un gabelliere che vorrebbe fare l'amore e una ragazza che si rifiuta. Un' opera per la quale, dal Trecento in poi, è stata riconosciuta una paternità erudita e aristocratica. Solo una persona sofisticata, infatti, poteva, proprio per la sua raffinatezza, trasformare un tema triviale come un "dialogo di amor carnale" in raffinata poesia.

Fo, invece, alternando citazioni erudite a battute, sostiene che si tratta di un testo di origine popolare, precisamente di una ballata, che poteva anche essere recitata nelle piazze. Rosa fresca aulentissima conferma una delle tesi più radicate di Fo: l'esistenza, fin dal Medioevo, di quella cultura alla quale storicamente non sono state riconosciute identità e vita autonoma.

Il titolo stesso, Mistero buffo, è emblematico della scelta di Fo di trattare l’espressione popolare nella sua forma ironico-grottesca, come mezzo di provocazione e di agitazione delle idee. Già fin dal III-IV secolo dopo Cristo il termine mistero indicava uno spettacolo, una rappresentazione sacra. Un mistero buffo è dunque una “rappresentazione di temi sacri in chiave grottesco-satirica”.

Nell’interpretazione dei misteri, l’attore comico popolare del Medioevo, cioè il giullare, non ridicolizzava o dissacrava la religione, ma smascherava, denunciava le azioni dei potenti e prepotenti, che utilizzavano la religione e il sacro per mantenere privilegi e tutelare i propri interessi.

Mistero buffo si basa sull'interpretazione di un solo attore, che recita nella lingua originale dell'opera, rivisitata in dialetto padano con inflessioni venete, lombarde e piemontesi. L’attore entra ed esce dai vari personaggi e mantiene con il pubblico un contatto diretto, spiegando ciò che sta facendo e chiedendo anche il suo aiuto. Dirà in seguito Fo che questo era il modo in cui i giullari medievali intrattenevano il pubblico, sfruttando anche piccoli incidenti per dialogare direttamente con esso: «… l'uso dell'incidente — dice — non l'ho inventato io, per esempio un attore dell'epoca di Ruzzante, Cherea, li provocava addirittura. A volte mentre recitava, imitava il ronzìo di una vespa, e cominciava ad inseguirla dappertutto… questa volava per tutto il teatro, sugli spettatori… e lui la inseguiva coinvolgendo il pubblico in questa situazione…, anche Ruzzante — continua Fo — usava il dialogo diretto con il pubblico, tipico espediente del teatro del Cinquecento, facendolo partecipare al gioco scenico con la coscienza della finzione costante…».

I testi medievali recitati da Fo a volte sono interamente autentici, a volte invece sono rielaborazioni: questo è il caso per esempio di Bonifacio VIII, che si basa su quanto riportato in alcune cronache venete dove si presenta un Cristo che prende a pedate il Papa per la sua condotta riprovevole. Classico anacronismo medievale che intende sottolineare l’enorme differenza tra i due.

Stessa cosa Fo ha fatto per la Nascita del giullare, per il quale ha preso spunto da un testo medievale in cui si racconta che il cantastorie sia nato dalla rabbia di un villano che, non potendo più sopportare i soprusi del suo signore, tenta di impiccarsi, ma un viandante (Cristo) che passa di lì, lo bacia sulla bocca compiendo un miracolo: gli dà una nuova lingua «che bucherà come una lama» e saprà «andare contro i padroni e schiacciarli». Nasce così il giullare.

Per altri testi invece ha lavorato su canovacci originali, apportando delle modifiche e “ripulendoli”, come lui stesso sostiene, dalle falsificazioni delle trascrizioni nei codici, inevitabili considerata l’epoca.

Ricordiamo tra gli altri: La fame dello Zanni, storia di una fame atavica recitata in grammelot con sproloqui e contorsioni da artista circense; La Resurrezione di Lazzaro, descrizione parodistica di uno dei miracoli più popolari del Nuovo Testamento; Il primo miracolo di Gesù Bambino, racconto tratto dai Vangeli apocrifi sul piccolo Jesus-Palestina, che fa volare gli uccelli di argilla fatti dai suoi compagni di gioco e che reagisce alla prepotenza di chi glieli distrugge. E ancora: La Madonna incontra le Marie, Maria alla Croce, La strage degli innocenti, Grammelot di Scapino ecc.

Questa originale forma di teatro, creata da Fo, può essere meglio compresa assistendo direttamente ai suoi spettacoli, che sono irripetibili, l’uno diverso dall’altro. Ogni volta, il contesto in cui si svolge lo spettacolo — il luogo, i motivi occasionali, l'umore del pubblico — crea una situazione comunicativa e di finzione scenica nuova, diversa. Per fare un esempio: Mistero buffo recitato a Vicenza e interrotto improvvisamente da un temporale. Fo coglie al volo l'incidente e si mette a parlare con il tuono, con il cielo e con il Padreterno, tenendo tutto il pubblico inchiodato sotto la pioggia in un’atmosfera di coinvolgimento totale, appagante, esilarante.

E pensare che dopo l’assegnazione del Nobel a Fo, si è scatenata una vexata quæstio: Fo scrittore o non scrittore?

Quæstio del tutto insensata, dovuta alla visione errata di molti di noi, secondo la quale un uomo di teatro, anche se apprezzato drammaturgo, è considerato un non scrittore. E ciò perché non si legge o si legge pochissimo teatro, e si considera il testo qualcosa di incompleto, bisognoso di altro: la rappresentazione scenica.

L’Accademia di Svezia non ha avuto dubbi nell’assegnare il premio Nobel a Fo per un’opera, per una giullarata, che anzi è esaltata per poter essere, ad un tempo, letta e recitata.

In Inghilterra il teatro è preso in grande considerazione e abbondano anche le compagnie di teatro dilettantesco. In una cosa sicuramente dovremmo imparare dagli inglesi: leggere tanto teatro.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 14 maggio 2004
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