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Novelle per un anno



Luigi Pirandello, Novelle per un anno
Giunti, 1994
pp. 2804, Euro 82,63

ella sua vita Pirandello scrisse costantemente novelle. Solo il teatro costituì per l'autore un interesse altrettanto presente. Poesie, saggi e romanzi lo occuparono solo a tratti. Nel 1922 egli decise di dare ai suoi racconti, fino ad allora sempre pubblicati in ordine sparso, una strutturazione unitaria dal titolo Novelle per un anno. Si tratta una raccolta di ventiquattro tomi, di quindici novelle circa, ciascuno per il totale (365) a cui si riferisce il titolo della raccolta stessa. A causa della morte dell’autore, tuttavia, l’opera si interruppe al quindicesimo volume, Una giornata, pubblicato postumo nel 1937.

L’impianto delle Novelle per un anno pare così essere debole, poco più che un pretesto per raccogliere in un’unità quello che fino ad allora era stata una produzione frammentaria. A poco a poco, durante la lettura, si compone il quadro che Pirandello vuole proporci: la rappresentazione della figura di ognuno di noi entro il proprio mondo. Un piccolo fatto di cronaca, un amore finito o mai cominciato, un lutto, una cattiva abitudine, tutto esplode nell’apparenza del semplice fatto che è, in realtà, la maschera dell’assurdo che l’autore ci vuole veicolare.

E se fosse la cronaca stessa ad essere assurda? Non bisogna cadere nell’errore di considerare la vita di tutti i giorni come un mezzo per rappresentare l’assurdo, perchè essa è l’assurdo stesso. La globalità delle novelle è lo specchio del tutto: un implacabile e inesorabile frammentarsi. Nel racconto I pensionati della memoria troviamo la soluzione che evita la vertigine di questa consapevolezza, perché noi tendiamo a proiettare all'esterno la nostra vita -che, in realtà, giace tutta nella nostra interiorità- e, credendo che sia comune a ognuno, ci muoviamo in essa con la massima tranquillità. Ma con la morte non finisce la vita, ne termina solo l’illusione che ci siamo dipinti attorno.

Si piange un morto perchè insieme a lui sostenevamo le nostre illusioni, davamo credito alle nostre e, vicendevolemente, alle sue. Una follia? Forse, ma non dimentichiamo che la follia non è mancanza di logica, di raziocinio; la follia, lungo tutte le Novelle per un anno, nasce dal troppo riflettere, dall’applicazione della rigorosità logica fino allo spasmo. Di sera, un geranio (novella del 1934) riassume mirabilmente tutto questo: vita, illusione, delusione, amore, paradosso, «...e la morte, questo niente della vita com’era».

Riconosciamo la vita che sta dentro di noi solo perchè la possiamo proiettare sugli oggetti che ci circondano; morire è, così, perdere un corpo, ma anche il silenzio di tutti gli oggetti che ci hanno accompagnato e nei quali ora più nessuno può ritrovarsi. I personaggi, scorrendo le novelle, si muovono sulla scena a rappresentarci, a immiserirci. Cercano di insegnarci ad avere un po’ di compassione sia nei nostri confronti, che degli altri. Ci mostrano come, all’illusione del nostro mondo, si contrapponga la verità del mondo dell’arte: come sia difficile che riescano a comunicare tra di loro (vedi Il pipistrello); quanto l’autore sia solamente uno strumento in mano alla natura, perchè quest’ultima continui la sua opera perfezionando sempre più le sue creature dando esse quello che per l’uomo sarà sempre solo un miraggio: l’eternità (vedi La tragedia di un personaggio); e infine, mettendoci in guardia, ci mostrano come mai un uomo potrà avere la sua parte tra i personaggi: cercare di restare a cavallo tra i due significa perderli entrambi (vedi Mondo di carta).

Il rapporto vita-arte, la morte, la follia, il grottesco del quotidiano: dietro la struttura debole che raccoglie la produzione novellistica di più d’un quarantennio stanno degli snodi concettuali, delle indicazioni, perchè non ci si perda nel labirinto delle varie vicende. Come ogni vera, grande opera, anche questa fa nascere un fiume di domande. Pirandello ci consiglia, tra le righe, di lasciar perdere, di non cercare di trovare le risposte: non ce ne sono. E, anche se ci fossero, non conterebbero nulla, perchè qualunque forma definita e stabile uccide la vita, eterna diffrazione.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 26 marzo 2002
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