In Passeggiate africane Alberto Moravia afferma che, se tutti gli altri paesi del mondo hanno una storia, l’Africa ha invece un’anima

ITALIALIBRI - RIVISTA MENSILE ONLINE DI LIBRI ITALIANI, BIOGRAFIE DI AUTORI E RECENSIONI DI OPERE LETTERARIE


Passeggiate africane (1987)



Alberto Moravia, Passeggiate africane
Tascabili Bompiani, 2001
pp.160 Euro 6,46

n un articolo del «Gazzettino» del 20 maggio 1987, Moravia scriveva: «Tutti gli altri paesi del mondo hanno una storia; l’Africa, lei, ha invece un’anima che tiene il luogo della storia. Cosicché la storia dell’Africa, alla fine quando tutto è stato detto, è la storia della sua anima». Lo stesso articolo è stato inserito in Passeggiate africane e precede la narrazione dell’avventuroso itinerario moraviano attraverso la Tanzania, il Burundi, il Ruanda, lo Zaire, il Gabon e lo Zimbabwe.

Passeggiate africane
è uscito nel 1987 e costituisce l’ultimo diario sul mistero di questo paese, raccogliendo tutti gli articoli pubblicati sulla terza pagina del «Corriere della Sera» tra il 1983 e il 1986. Lo precedono cronologicamente: A quale tribù appartieni? del 1972 e Lettere dal Sahara del 1981.

Sotto lo sguardo entusiasta di Moravia, le linee e i tracciati di una qualunque cartina raffigurante l’Africa guadagnano straordinariamente volume. L’autore, quasi a voler rassicurare prima di tutto se stesso, informa già dall’inizio del «carattere non turistico e imprudente» del suo percorso.

Evitando le affollate tappe delle agenzie di viaggi, schivando il più possibile i privilegi che, paradossalmente, in taluni luoghi e occasioni l’Africa sa offrire, così creando «isole di supersviluppo dentro il cuore stesso del sottosviluppo», Moravia ha cercato di cogliere per intero la selvaggia indole di quei luoghi, fino ad arrivarne al cuore e a poterli definire suoi. Nelle passeggiate lungo scenari in cui il tempo, più che distinguere, ha mescolato tra passato, presente e futuro, lo scrittore ha riscoperto una potenza generatrice matrigna, temibile, forte, la stessa a lungo narrata da Lucrezio e Leopardi, assai lontana dall’immagine europea in cui regnano l’uomo e la scienza.

La natura africana, nella sua infinita bellezza, insieme fascinosa e accattivante, sembra tuttavia celare una falsità demoniaca e pericolosa. Non è più il concetto di «nobile», usato da Karen Blixen e accostato da Moravia nei due precedenti diari, a contrassegnare il carattere profondo del paesaggio africano; l’autore trova più consono l’utilizzo dell’aggettivo «religioso» e scrive: «il solo sentimento religioso proprio dell’Africa è la paura». Per capire in cosa consista effettivamente questa «paura», non vale pensare ad Hemingway ed alla sua narrazione a riguardo «che sa di safari e colonialismo», quanto ad una «maschera tribale con la faccia di teschio, gli occhi di perline, i denti di conchiglie e i capelli e la barba di rafia».

Lo scrittore appare stordito dall’incanto di un paesaggio che non smette mai di ammaliare ed intreccia riflessioni dettate dall’impulso visivo, a sentimenti razionali e ragionati.

Egli è alla continua riscoperta di vecchie immagini impolverate dal tempo attraverso cui lo sfondo africano possa sembrare più familiare o, forse, meno terribile nella sua geniale e originale essenza. E’ la scena di un film a ripetersi senza più alcuna regia nella corsa lungo una pista di solo nulla, a perdita d’occhio: una bambina in perizoma della tribù dei Manyati appare davanti alla Land Rover su cui lo scrittore viaggia; sorride in modo provocante e fa cenno con le braccia di fermarsi. L’autista, senza rallentare, la evita sterzando violentemente. A Moravia, che si volta a guardare dal vetro posteriore, balza subito alla mente la scena di un film di Fellini, tratta da una novella di Poe intitolata: Mai scommettere la testa con il diavolo, in cui una bambina gioca a palla di notte su un ponte in costruzione. Un senso di inquietudine invade la sua mente, l’idea di un non so che di «diabolico» è assolutamente tangibile; poi tutto scompare, anche la bambina, nella corsa, tra la polvere.

In Africa, alcuni paesaggi che di notte paiono la perfetta imitazione di luoghi fantastici o città illuminate allegramente come New York, il giorno dopo sono solo un’accozzaglia di tende d’accampamento. Accade anche il contrario. Moravia racconta di arrivare in un albergo di Bukavo, pulito, ma vecchio e triste e di trovare una sorpresa nell’aprire la finestra della stanza: «Sono stanchissimo, coperto di polvere rossa e schizzi di fango; vado direttamente alla finestra, la spalanco e vedo…il lago di Como. Stesse alte colline che cadono a piombo sul lago; stesse acque sognanti, ombrose, immobili, nelle quali tremano e si confondono le nuvole bianche del cielo, le colline dalla cupa verdura, le case arrampicate sui pendii».

Durante la narrazione, si percepisce il distacco dalla visione di Hemingway, il quale contempla e ritrae gli animali solo dopo averli cacciati e uccisi. L’autore, invece, descrive leoni, elefanti, gorilla, proprio come fecero gli anonimi artisti preistorici, disegnandoli nelle grotte africane: «in quelle rappresentazioni la vita prima della caccia prevaleva sulla morte dopo la caccia».

Moravia scrive senza tregua dei suoi compagni di viaggio; fra essi, in un panorama in cui sembra assolutamente «stonare», un’antologia di Leopardi. «Qualcuno dirà: perché proprio Leopardi? E io rispondo: per contrasto». Oltre ad esso, i dipinti di Van Gogh, i personaggi di Cocteau, i paesaggi di Stevenson e Melville, le note di Mozart, la pioggia di D’Annunzio.

In «Passeggiate africane» s’indugia più a lungo, rispetto agli altri due scritti a riguardo, sulle figure dei personaggi incontrati da Moravia lungo percorsi più o meno spericolati. Restano impressi alcuni di loro, come il ragazzo dai piedi malati o l’indiano sul traghetto in mezzo al lago Kariba.

Le caratteristiche del popolo africano si conoscono lentamente, come ad aspettare la fine della costruzione di un puzzle, mentre Moravia accosta pian piano riflessioni su di essi. Scopriamo, così, che in Africa le indicazioni sono sempre sbagliate, che gli africani trovano gli europei prepotenti, che alcuni di loro pensano che le fotografie, una volta scattate, portino via anche l’anima e che, quando piove, molti di essi si bagnano senza tentare di ripararsi, quasi fino a riempirsi d’acqua come bottiglie.

Sembra, infine, di leggere Fiesta mobile di Hemingway, quando Moravia non dimentica di descrivere neppure i sapori delle cose; ed è così bravo, che si ha davvero l’impressione di assaggiare la carne dell’istrice, intanto che, con i commensali, si parla «dell’argomento inevitabile in Africa, cioè dell’Africa stessa».

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 16 maggio 2001
© Copyright 2001 italialibri.net, Milano - Vietata la riproduzione, anche parziale, senza consenso di italialibri.net





Novità in libreria...


AUTORI A-Z
A
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
N
O
P
Q
R
S
T
U
V
W
X
Y
Z

OPERE A-Z
A
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
N
O
P
Q
R
S
T
U
V
W
X
Y
Z



Per consultare i più recenti commenti inviati dai lettori
o inviarne di nuovi sulla figura e sull'opera di
Mario Tobino

|
|
|
|
|
|
|
I quesiti
dei lettori




I commenti dei lettori


I nuovi commenti dei lettori vengono ora visualizzati in una nuova pagina!!



http://www.italialibri.net - email: - Ultima revisione Gio, 27 lug 2006

Autori | Opere | Narrativa | Poesia | Saggi | Arte | Interviste | Rivista | Dossier | Contributi | Pubblicità | Legale-©-Privacy