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Passeggiate romane

| FRANCAIS |


Stendhal, Passeggiate romane
pp. 616 Laterza, 1991
Euro 28,41

n viaggiatore che oggigiorno si recasse a Roma unicamente con questo libro, e seguisse i differenti itinerari proposti da Stendhal, avrebbe, alla fine della lettura, una conoscenza esaustiva della città, della sua storia, dei suoi monumenti e dei celebri personaggi che la popolarono. Più ci s'immerge in quest’opera e più, con Stendhal «si freme riflettendo sulle ricerche che abbisognano per arrivare alla verità in merito al più futile dettaglio».

Stendhal inizia il suo racconto, basato su appunti presi sin dal 1817, con una prefazione al termine della quale c’informa d’esser venuto sei volte a Roma e d’essersi applicato diligentemente alla visita dei monumenti. «Per sopperire al talento e all’eloquenza che gli mancano, l’autore ha visitato con molta attenzione i monumenti della Città Eterna» ci dice.

In quel mese d’agosto del 1827 (secondo lo scrittore bisogna visitare Roma d’estate poiché «è il clima, qui, il più grande degli artisti»), Stendhal arriva dunque per la sesta volta nella Città Eterna con i suoi compagni di viaggio. Descrive con precisione le differenti visite che avrà il piacere di effettuare sino all’aprile del 1829, mescolandole ad aneddoti tanto sull’arte di avvelenare con l’acqua tofana o con l’anello di un morto negli anni 1650 o sull’Imperatore Adriano che «aveva una vera passione per l’architettura», e ancora sull’incendio della basilica di San Pietro fuori le Mura.

Lo scrittore prende da subito in affitto due camere a fianco di Trinità de’ Monti (proprio allora restaurata per volontà di Re Luigi XVIII) in Via Gregoriana, dalla quale può «ammirare tre quarti di Roma; mentre, di fronte a me, dall’altro lato della città, s’innalza maestosamente la cupola di San Pietro». I suoi amici invece preferiscono stabilirsi in Piazza di Spagna.

Alla fine d’agosto, su consiglio di alcuni amici romani, Stendhal e i suoi compagni s’installano in una casa sulle colline romane, a lato di Frascati e accanto al lago d’Albano.

Nel suo racconto Stendhal desidera informare e consigliare i lettori e le loro passeggiate, insegnando loro quel che è Roma e come si vive a Roma, nei salotti, ai balli dove ci trascina per buona parte della notte, sulle vicine colline e particolarmente al convento di Sant’Onofrio «senza dubbio uno dei più bei luoghi al mondo per morire», come pure pensava il Tasso, che vi è sepolto.

Stendhal non resta neutrale nei suoi commenti, dimostrandosi critico erudito dal giudizio sicuro. Certo lo scrittore ne approfitta per far partecipe il lettore delle sue idee e soprattutto della sua ammirazione per Napoleone, al quale fa sovente riferimento, ma il libro non è sgradevole in alcuno dei suoi momenti e non si può che restare ammirati dall’erudizione che l’autore lascia trasparire da ciascuna pagina.

Stendhal inizia con l’intrattenerci sul Colosseo, «le più belle vestigia del popolo romano», dove Michelangiolo, ormai vecchissimo, venne errando una sera di neve, solo in mezzo alle rovine per accostarsi al sublime e «poter sentire le bellezze e le debolezze del proprio disegno della cupola di San Pietro». Stendhal, che ama essere solo all’interno di questo teatro per lasciarsi meglio penetrare dalla magia del luogo, ci confida : «se ne avessi il potere, sarei tiranno, farei fermare il Colosseo durante i miei soggiorni a Roma».

Stendhal si lascia andare ad una storiografia completa e ad una descrizione minuziosa dell’anfiteatro, indispensabile per afferrare l’interezza dell’emozione che si libera da questo magico luogo. Ma il narratore Stendhal sa essere anche divertente, allorquando ci racconta di quell’inglese, arrivato a Roma ed entrato a cavallo nel Colosseo, che confida agli amici, dopo aver visto degli operai consolidare un lembo di muro:

«Per Dio, il Colosseo è quanto di meglio ho visto a Roma. Questo edificio mi piace, sarà magnifico una volta terminato».

Per la visita al quartiere di San Pietro, Stendhal raccomanda di non lasciarsi «andare che per qualche istante all’ammirazione che ispira un così grande monumento, così bello, così ben tenuto, in una parola, la più bella chiesa della più bella religione del mondo» per evitare “un folle mal di testa”…

Lui stesso vi andrà più e più volte.

Un poco più avanti, condurrà il suo lettore alla scoperta minuziosa della Piazza di San Pietro, «la più bella piazza che esista», ascoltando il mormorare «tranquillo e continuo» delle fontane che «porta al fantasticare» prima di fornire una miniera d’informazioni sul modo d’edificazione di questa piazza e di tornarvi più tardi con un geometra per misurarla e compararla nel corso di svariate pagine ad altri grandi monumenti del mondo.

Stendhal racconta con grande cura di documentazione la storia dell’antica Basilica di San Pietro prima di spiegare come nel 1440, il Papa Nicola V «uomo veramente geniale», intraprenda la costruzione della nuova fabbrica di San Pietro e quale fu la genesi di questa edificazione, proseguita da Giulio II Della Rovere, quel papa che «aveva il genio delle grandi cose»-Stendhal non esita a paragonarlo a Napoleone- e che ebbe la magnifica idea di chiamare Bramante; per poi passare a Leone X e Raffaello, quindi ancora a Paolo III che chiamò Michelangiolo e infine a Paolo V Borghese con il Bernini.

Stendhal si spinge sino a precisare quello che dovette costare l’edificazione di questa magnifica Basilica prima di descriverci con precisione l’esterno come l’interno nel corso di numerose pagine di un’estrema ricchezza letteraria. «Nulla al mondo può essere paragonato all’interno di San Pietro. Dopo un anno di soggiorno a Roma, vi passavo ancora con piacere ore intere.»

Bisogna seguire il consiglio che Stendhal dona al viaggiatore. Sotto la grande cupola, conviene in effetti “sedersi su un banco di legno e appoggiare la testa alla spalliera; là ci si potrà riposare contemplando a piacere l’immenso vuoto che plana al di sopra della testa”. Stendhal ci conduce infine in una visita guidata delle tombe e delle statue che riempiono l’immenso spazio della Basilica, lodandone nel contempo alcune e denigrandone altre.

Stendhal prosegue le sue visite alla Galleria Borghese dove ammira dipinti del Domenichino, del Tiziano e di Raffaello del quale fornisce una dettagliata biografia e un acuto studio delle opere e delle Decorazioni delle Stanze Vaticane, nelle quali “quando il calore è assai forte, si trova il piacere di esporsi ad una corrente d’aria fresca”, per giungere infine al Palazzo Doria Pamphilii.

Stendhal raccomanda la visita di ventiquattro tra le più rimarchevoli Chiese di Roma citandone altre ottantasei che meritano egualmente una passeggiata. Classifica le Chiese romane in quattro gruppi secondo le loro forme, che disegna ed enumera. La basilica «della quale la planimetria generale ricorda la forma di una carta da giuoco», la pianta rotonda come quella del Pantheon, la croce latina «che ha la forma d’un crocefisso adagiato a terra» e la croce greca, come Sant’Agnese.

Stendhal tiene a precisare che se ritiene importante la descrizione delle chiese è a causa dei capolavori che esse conservano e non perché egli sia divenuto un devoto credente. Ma ciascun lettore che ha visitato Roma in estate vi si riconoscerà, cercando nelle ore più calde della giornata un rifugio nell’interno fresco delle Chiese Romane.

Stendhal commenta superbamente la visita al Capitolo, al Foro Imperiale, con preziosi dettagli anche sul tempio di Antonino e Faustina che «ha l’onore di donare al viaggiatore un’idea perfettamente delineata d’un tempio antico».

Prosegue attraverso i Musei Vaticani enumerando le principali opere che contengono, indicando che negli anni intorno al 1828, gli stranieri residenti a Roma andavano la domenica alla Cappella Sistina per vedere il papa attorniato dai cardinali officiar messa accompagnato dal canto dei castrati.

Infaticabile, Stendhal ci porta di fronte al sublime Pantheon «il più bel resto dell’antichità romana» del quale racconta l’appassionante epopea, per passare infine alla Fontana di Trevi che «possiede una gran massa».

Stendhal redige l’elenco di dodici palazzi romani da visitare, racconta la storia dei papi di Roma e delle loro famiglie, cura nel dettaglio la biografia di Michelangiolo, tutto per il più grande piacere dei lettori.

Credi si debba leggere questo libro scritto da un francese che, nel corso dei suoi diversi soggiorni, s’innamorò realmente di Roma, non nascondendo le sue opinioni e citando alla fine del suo racconto un verso dell’Alfieri, provando la condivisa aspirazione del popolo italiano all’unità e all’indipendenza e mostrandosi piuttosto scettico al riguardo dei francesi, laddove afferma di Canova che il suo genio si sarebbe raffreddato «se si fosse stabilito in questa Francia» come l’invitava a fare Napoleone.

Portando con sé questo libro, durante una visita a Roma, nessuna guida turistica moderna appare così ricca come Passeggiate romane; e concludendo con Stendhal dopo un lasso forzatamente più corto, poiché –ahimè!- oggigiorno le grand tour non è più di moda: «Ci si annoia talvolta a Roma il secondo mese di soggiorno, ma giammai il sesto, e, se si resta sino al dodicesimo, si è afferrati dall’idea di stabilirvisi».

A cura della Redazione Virtuale

Milano 25 gennaio 2002
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