Giorgio Manganelli, La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990
Editori Riuniti, 2001
Letteratura e saggi di critica, 237 p.
Euro 15,49
 |
vviso ai Naviganti (parola dantesca per scriventi): se non vi perdete in quel mare periglioso che è Giorgio Manganelli, tra miraggi e chimere, mostri di ogni genere e bellezze irriferibili, resterete sempre delle mammole con la penna in mano. Tra i nostri del Novecento, è uno dei pochissimi che ci può sgravare da uninnocenza imbarazzante: quella che ci lascia poveramente al di qua della linea dombra oltre la quale il Linguaggio inizia davvero a far intuire qualcosa di sé.
Ogni parola, per quanto ce ne liberiamo da sbadati, ci arriva come un osso antico dal fondo del tempo: milioni di uomini, per miliardi di volte, per migliaia di anni, lhanno usata, per di più nei modi più inverecondi (quella puttana, direbbe Auden), mutandone i significati e la forma, sfrangiandola in miriadi di varianti e di svarioni
La parola che ci arriva attraverso questa infinità di rinascite e di morti è il bastone consunto, il testimone duna staffetta infinita: è, nella sua leggerezza, infinitamente pesante, ricca impensabilmente: molto più ricca e potente di chi la pronuncia. Nessun parlante può sapere davvero ciò che dice, ed è già raro che chi scrive si ritrovi su questorlo dabisso, sul punto in cui della parola sintuisca lombra. Ma il vero problema, il lato più ombroso della sua ombra, è dato dalla pretesa della parola di avere un significato. Se la cosa è così scontata, perché non cè parola, tanto più se rimessa al centro della vita, che non diventi Babele? Cosa vuol dire oggi Guerra? ne stiamo vedendo la Fine? Cosa chiameremo Vittoria, cosa Sconfitta?
Socrate si faceva persino saltimbanco per rendere i suoi amici più consapevoli di quanto venivano dicendo.
Tornando alle inezie rigorose della letteratura. Rispetto al Maelström della parola, come al cospetto del Sacro, occorrono riti di circoscrizione, stratagemmi gelidi, esorcismi precisi e distanzianti: «La retorica è la sola protezione»; retorica è «la necessità di unire il momento tecnico, manuale, al momento dionisiaco, infernico della letteratura. Indica la consapevolezza della natura artificiale del linguaggio, del modo artificiale con cui si costruiscono le proposizioni.» Un modo perfetto per dire retorica è allora malafede, che è «la capacità dello scrittore di non essere ridotto in servitù dalla sua materia», la quale «non è educata, non è colta, non è discreta, non ha fatto gli studi e lo aggredisce in una maniera brutale e sommaria.»
Un altro modo per dire retorica forse è mistica, perché nella scrittura, come in Dio, non cè che da annullarsi. Così si attingerà a «zone anonime della persona», ritrovandosi a scrivere «sotto dettatura»: che è quanto di sé diceva Dante.
La scrittura creerà il suo spazio, la sua «distesa di macerie fantastiche». - Questo dello scrivere come qualcosa che definisce un luogo è il punto. La definizione di uno spazio specifico, con regole e leggi sue, è propria sia del rito che del gioco: la letteratura ha delluno e dellaltro. Ogni rito e ogni gioco sono tiranni che pretendono conoscenza e che non tollerano infrazioni in casa loro. Così anche i luoghi letterari, dove la libertà è coatta e le costrizioni liberanti. Come Alice in Wonderland, per quanto ci si scorazzi e se ne goda, nei libri si è sempre ospiti.
Milano, 23 gennaio 2003
© Copyright 2003 italialibri.net, Milano - Vietata la riproduzione, anche parziale, senza consenso di italialibri.net
|