GIORGIO MANGANELLI, PINOCCHIO: UN LIBRO PARALLELO: UN3 INTERPRETAZIONE PARADOSSALE DELLA CELEBRE FAVOLA

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Pinocchio: un libro parallelo (1977)


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Giorgio Manganelli , Pinocchio: un libro parallelo
Adelphii - 2002,
204 pp., Euro 15,00

trano destino: appena l’Italia si unì, come un soufflé in un forno ingrato, la sua letteratura s’ammosciò. Dopo i fuochi leopardiani e l’esperimento irripetibile di Manzoni, si ritrovò più povera di Cenerentola a mezzanotte: provinciale, presuntuosa, gregaria, condannata a sorti appena pedagogiche nelle sue prime scuole: luoghi eroici e approssimativi d’un Paese, in realtà, morto di fame.

Di quest’Italia ingenua ed enfatica, povera e forse già condannata alla ferocia e alla vanagloria, l’opera grande fu, guarda caso, la Storia della letteratura di De Sanctis, che, con la sua adrenalina mazziniana e un ritmo pimpante da Tre Moschettieri, resta la storia d’una decadenza: alle spalle, almeno da Dante a Tasso, autori cosmici, ma davanti? - Altro che Baudelaire, Stevenson, Dostoevskij, Melville: ci aspetta una sorte senile, inetta al capolavoro: se qualcosa di buono nascerà, sarà quasi per caso, più malgrado che grazie al contesto, facendo cucù dallo scribacchìo di giornalisti di provincia, di matti da manicomio, di fanciulloni traumatizzati e mai cresciuti, di dilettanti senza sbaraglio: Collodi, Campana, Pascoli, Svevo...

Nel caso di Collodi, un’Accademia stizzosa e boriosetta non avrà neppure bisogno d’imporre i suoi ostracismi: Pinocchio non è già carta per i bimbi? Eppure è il libro italiano più letto al mondo, il più indimenticabile. Col tempo, contagerà il meglio dei nostri: Totò, Carmelo Bene, Asor Rosa, Fellini, Savinio, Zolla, Contini, Paolo Poli, Citati, Manganelli: ed è esemplare il trattamento che ne ha fatto Benigni.

Quella di Manganelli, l’ha scritto Citati su Repubblica, è l’opera più bella: mai viste pagine così penetranti, meraviglie a cui «nessun critico è mai giunto». – Eppure questo non è un libro di critica. Rispetto al genere, ha difetti insormontabili: tanto per cominciare, è scritto troppo bene, e poi è troppo divertente, troppo complice, troppo vivo. Con Manganelli cadiamo subito – già dal «c’era una volta»! - nel pieno d’una suspense: come se non si conoscesse la favola, si resta turbati e si chiede “ancora!”. Sul filo dell’angoscia, nel pieno della meraviglia, di nuovo tra grilli, volpi e fate, si scopre di non sapere nulla di ciò che si sa. Che c’è tutto da riamare: esiste regalo più grande?

Lo scriveva già Cioran: il Critico con la “c” maiuscola è un ladro di cadaveri: dispone del testo come un anatomista d’una salma. Solo sul testo ucciso potrà operare le sue procedure di sezionamento e di classificazione: questo è il suo Metodo, il suo gesto “scientifico”. E la sua violenza. Eppure, a saperci fare, sarebbero possibili sperdimenti più esatti e intelligenze più succulente: Manganelli, come il medico di campagna di Kafka, si intrufola nel letto del paziente: ospite intimo e provvisorio, si arrischia in un libro lasciato vivo, e dunque instabile, contaminante, quantisticamente vago: come Pinocchio, sempre in fuga.

Ne nasce uno spartito musicale in cui s’intrecciano due voci: mentre una racconta il burattino, un contrappunto s’intercala a mostrarci che botola spalanchi il gesto felicemente facile di aprire un libro, e quanto si possa precipitare in quel “luogo di echi”, e come un lettore si trasformi in luogo di echi a sua volta...

Spesso Manganelli è stato letto come un inattuale: una sottospecie di marinista caduto nel secolo sbagliato (e cioè, avrebbe detto lui, giusto). - E invece, per questo leopardiano che non scrive riga in cui non si sentano le Operette morali, bisogna pensare al futuro e alla scienza: perché Manganelli è il primo (il solo?) scrittore quantistico italiano (e nel mondo?)… - Del resto, un secolo prima dell’elettrone di Heisenberg, imprendibile nella sua nebulosa, il principio di indeterminazione l’aveva accennato proprio Leopardi: in un’Operetta Morale caustica, divertente e provocatoria, Parini ovvero della gloria, c’è quello che Manganelli qui ridice: che un testo è «sempre diverso, altrove, fuori tempo»…

Si sa che, in ogni campo, la scoperta della possibilità di nuove e più sottili esattezze apparirà, ai detentori dei saperi consolidati, uno slittamento verso il Caos e addirittura il Nulla: perfino Einstein non credeva che Dio giocasse a dadi con il cosmo, ma tant’è. Gli elettroni, Pinocchio e i libri hanno vitalità anarcoidi: quanto più si provi a prenderli, tanto più scartano da ogni previsione. Già le parole sono mostruosamente vive, d’un caos tragico e giocoso: hanno «vaghi fluttuanti significati che nessun dizionario è in grado di cogliere e catalogare... Le parole, le frasi sono unicamente dei grafici, dicono le distanze, le altezze, le geometrie nell’ambito delle quali si debbono collocare le letture». Sembra proprio Heisenberg.

Il lettore, quegli spazi, quegli ambiti, prima e più che interpretarli, come una patria ritrovata, li abita.

A cura della Redazione Virtuale

05 Febbraio 2004
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