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INCONSUETI PERSONAGGI NELLE STORIE DI PAOLO RUFFILLI INDAFFARATI IN PREPARATIVI PER LA PARTENZA |
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Preparativi per la partenza (2003) |
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Lacquisizione del linguaggio quindi si struttura in un «punto di frattura dellopposizione continua di diacronico e sincronico, storico e strutturale». (5) Questo processo di acquisizione è dellordine dellesperienza e avviene in un luogo, il luogo del corpo. 2) La scrittura del disastro (quando lironia demolisce lhorror vacui) Vi sono momenti in cui la scrittura, che si voleva predestinata alla comunicazione, smarrisce il proprio destino. Comincia con lavere come un sussulto: qualcosa le impedisce di compiersi. Il suo progetto pare condannato a dover restare per sempre un abbozzo. Si innesca così un movimento centrifugo di perdita, accelerato, inesorabile, che si conclude poi con il tracollo definitivo. E il disastro della scrittura. Ma è, al tempo stesso, la sua più viscerale emancipazione. Quando il télos della trasmissione di un senso cessa di esercitare il suo potere opprimente, e viene messo in forse il centro di gravità in forza del quale il significato finiva per prevalere nella forma del messaggio, del racconto, del contenuto allora la scrittura si ripiega su se stessa. E in questo raccogliersi su di sé mette definitivamente fuori causa il significato ed il suo indissociabile alleato: il Senso. E la scrittura del disastro. Irreligiosa e irredimibile: nessun legame esteriore la riduce più a veicolo di un senso dato, a portatrice di un significato ulteriore che, per quanto eterogeneo, si incarnerebbe tuttavia in essa deponendovisi come nel suo alveo più naturale. Non cè più nulla da cercare aldilà della scrittura. Tutto si gioca nella pura immanenza dei segni, superficie abissale. («Il pericolo è la risacca riprese a parlarmi lucido di sudore il mio interlocutore. Il mare si infila nel fiordo riempiendolo fino in fondo, ma poi rifluisce indietro svuotandolo. E questione di secondi. Se il calcolo è sbagliato, ci si sfracella sugli scogli. Con la luna o senza, il buio domina questo buco. Non cè da fidarsi dei riflessi») (6) Espunto ogni Fondamento di senso non resta che librarsi sullabisso del Senza Fondamento. Sine substantia, sine lege.
In ogni racconto a costituire il corpo del debutto narrativo di Paolo Ruffilli, si delinea una vettorialità oscillante tra il de/lirio (nellaccezione etimologica latina: uscire dal liro, dalla misura) onirico, quando la realtà nel suo spalancare le porte dei quotidiani Inferi si fa insostenibile, e il rientro forzato nella realtà stessa. Ma il referente dellIo (non quello autorale, i cui autocompiacimenti sono, nel caso, evitati con rara maestria), il puro Io che va oltre le categorie hegeliane, si chiede fino a che punto una realtà che si dà come acquisita sia epifania di tangibilità e substantia, o non sia realtà sussunta a categorizzazioni e a classificazioni di comodo. E dunque, come in una sorta di postulato scaturito da un sofferto esercizio gnoseologico, oltre che dallesperienza, si afferma: «non esiste realtà se non quella che entra in noi». (8) Ruffilli edifica un anti-poiein quale altissima prova di sintesi semantica, ontologica e come detto gnoseologica, attraverso lo studio e la compenetrazione di talune attitudini e stati socio-esistenziali di varia umanità, sempre in oscillazione ambiguamente fascinosa tra realtà e fiction al punto di vanificare quasi (in un sapiente gioco di presenze e assenze) lingerenza dellio narrante proposto comunque come spettatore di uno stato di deriva. Le personae di questo intreccio calibrato attraverso una scrittura limpida e manifestata in chiave apparentemente rievocativa per il tramite del dispositivo mnemonico in luogo di quello mitico-immaginale si lasciano sopravvivere in una sorta di limbo esistenziale fra misantropia e dialogo, paghe forse, ancorché un consistente sostrato di inquietudini permei come connettivo lintero svolgersi del testo, di uno status quo che contempla un male di vivere di cui si intravedono i vantaggi secondari (come in ogni pathos/logica): «Non so se è stato un caso. O se fosse già scritto nel mio destino. Ma la considero la fortuna della mia vita mi confessò stringendo la mano della moglie che gli porgeva la tazza di caffè Mi ha sottratto al tormento e allinfelicità» (9). Qui, nel non raro ricorso al tema della scrittura e alla sua funzione, lironia formalmente delicata ma non per questo meno intrinsecamente feroce di Ruffilli, si manifesta nellamara constatazione di quegli aspetti mondani, codificati e omologanti che in nome della facile fruibilità e della mercificazione proseguono implacabili nellopera di impoverimento e distruzione dei linguaggi creativi, letterari e non. Il lavoro del senso affonda, la seduzione dei significanti, in chiave concettuale percettiva affettiva, affiora come a rigenerare, declinandole in modo del tutto inusitato e fuori dalle pastoie in cui si arenarono le sperimentazioni basate sulla scrittura automatica, le istanze più profonde del pensiero surrealista proprio là dove larchitettura di Ruffilli sa spaziare con rara agilità fra sogno e realtà distruggendone, sempre col mezzo di enunciazioni delicate, le tentazioni di autoreferenzialità. Tutto ciò chiamando in causa la prima persona, lIo narrante quale dato pre - testuale in prospettiva di una paziente quanto tenace opera di demolizione. Significanti che nulla significano, quando alla parola è consentito di raggiungere il luogo utopico ove lo sradicamento da ogni sede o punto di riferimento (e nello svolgersi narrativo ogni indugio sul descrittivo è avaro, se non per poche calibrate pennellate quasi sempre in bianconero) obbligato diviene irreversibile. Impossibile, ormai, frenarne la spinta a varcare ogni confine, a spingersi sempre più oltre in un moto di incessante erramento. Verso regioni che nessun orizzonte può più contenere, e nessuna demarcazione racchiudere entro i termini di un territorio circoscritto una volta per tutte. «Si può fare tutto, ma avendo laccortezza di non dimenticarsi che si tratta di una finzione». Così avverte, emblematicamente, lanziana ex-spogliarellista protagonista del racconto Schiava damore (10) dove, attraverso la rievocazione della potenza e degli slanci dellEros (pur nellamara constatazione della costrizione dei ruoli maschio/femmina ingabbiati nelle caselle precostituite del controllo sociale), si afferma ancor più lesilio dal senso, dalla rassicurante dimora in cui la parola riluce, e si dà esodo verso oltre ed altro senza Nostalgia allora alla parola si dischiude laltro versante. Dimissionaria dal Senso, essa si volge allo spazio del Neutro. DallUno allAltro. Arrischiata nello spazio mortale del Neutro, la scrittura ormai fuoriuscita dallordine del Mondo si inerpica nel silenzioso versante della pagina. Un altro luogo emerge. Sul cui suolo la catastrofe celebra il suo festoso sacrificio: gaia scrittura del disastro. 3) Ante-mythos: erranze della memoria o memoria errante (conclusione) Preparativi per la partenza: in fanzia, archeologia da cui si elabora la linea parabolica come tassello dOblio. Oblio del soggetto in continua ricognizione epistemica. Oggetto del desiderio (ancora) lacanianamente fantasma, contrapposto alla legge del divino che è negazione. Risulta asintomatica unesposizione concettuale della Realtà che si pone, pur con le limitazioni ellittiche che essa comporta, aldilà della teoria dei mondi possibili. (11)
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I commenti dei lettori
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