Aldo Busi, Seminario sulla gioventù
Adelphi, 1984 - 353 p.
Euro 19,63
ncor prima che il testo di questo libro colpisce la copertina (edizione recensita) che riproduce un dipinto di Félix Vallotton intitolato Bagno in una sera destate e che riporta immediatamente alla mente il periodo più ingenuo e allo stesso tempo formativo della nostra vita. LAutore dà inizio al racconto con l'ormai celebre incipit:
«Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo ad un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anchio ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato».
Ebbene, questo è, in sintesi, il pensiero che Aldo Busi ha voluto trasmetterci fin da questo suo primo libro (tradotto in varie lingue, visto lo strepitoso successo) e che verrà ripreso quasi come un "motivo trainante" nelle altre sue opere. Non a caso si deve usare la parola "motivo", perché leggere questo libro è un po come ripassare un motivetto cantato in gioventù che, al solo risentirlo, suscita lacrime di commozione. Quindi, più che ad un vero e proprio racconto, ci troviamo davanti allo spartito di un giovane musicista contemporaneo che compone un'insolita sinfonia, stupefacente per la sua "differenza".
Il racconto inizia a Montichiari, città natale dell'autore, dove Barbino, il protagonista, impara a stare al mondo osservando ciò che lo circonda. La dura vita di campagna, le fatiche della madre, i difetti del padre; la sua diversità, in tutti i sensi, rispetto ai fratelli (che lopprime non poco al pensiero di quanto possa dispiacere alla madre); la familiarità tra le persone, che si realizza solo nei piccoli paesini di provincia; la scoperta del sesso in modo ignorante, scioccante e violento; la costante frequentazione delle donne, che lo porterà a sviluppare il suo lato femminile, sublimandolo al massimo. Ebbene, tutto questo influenzerà inevitabilmente il suo percorso letterario.
Intelligente, Busi sin da piccolo decide di voler uscire da quella specie di ghetto costituito da Montichiari, che ama, ma che sente non offrirgli nulla dal punto di vista culturale. Si getta anima e corpo verso una serie di avventure che lo porteranno a Parigi, Milano, Londra, seguendo un processo di autoeducazione che ha come scopo finale quello di superare i limiti imposti da nascita ed educazione, dimostrando a se stesso di avere "acchiappato la polpa", ovvero lessenza che compone lessere stesso, ed essere quindi finalmente indipendente dalle proprie radici.
Pur viaggiando tra Parigi e Londra, dove viene a contatto con il vizio e la perversione (in realtà più per necessità che per diletto), Busi non scorderà mai Montichiari e vi farà sempre ritorno. Stabilitosi a Milano, dove trova lavoro come barista, conosce Eugenio Montale, che lo prende in simpatia. Da qui una serie di incontri e di esperienze strane, particolari e impossibili. In Diario di un barista, sua prima esperienza come scrittore, Busi non cade mai nella volgarità nonostante gli argomenti trattati. Anche le esperienze erotiche più "estreme" vengono giustificate e raccontate con dignità e rispetto, anche se a volte più per gli altri che per se stesso. Ama Giacomino di un amore masochista e vero, che poi si macchia di odio e voglia di vendetta. Per poter sopravvivere coltiva la sua predisposizione omosessuale e racconta, senza mezzi termini, una serie di esperienze con personaggi strani (Comare Volpe, il Colonnello, per citarne alcuni), a volte violenti (come Adel lEgiziano con cui accetta di avere rapporti solo e semplicemente per un bisogno economico). Il suo essere gentile e garbato provoca scompiglio e passione tra le donne: lo troviamo amante, passionale e a volte anche bestiale, un esemplare di bestia rara in via di estinzione (un Lupo Mannaro). Arlette e Marie segnano in quel periodo la sua sessualità non ancora completamente definita, contornate da altri personaggi femminili, che ci sembra perfino di vedere tanto lAutore ne descrive i caratteri in modo realistico e sublime. Usando la sua parte "sensitiva" femminile riesce a penetrare nel cervello di una donna, inconfutabilmente, lasciandola senza respiro, denudando la sua anima.
A fine lettura si può concludere che questa sia la sua autobiografia, ma un dubbio amletico ci assale al termine del racconto, leggendo una frase buttata lì, che, in verità, capovolge e sconvolge tutta la nostra comprensione del testo: «E così, che resta di tutto quel dolore che ho creduto di soffrire? Niente, soltanto delle reminiscenze contraffatte, delle fiabe apocrife.» Finale alla grande quindi, che, insolito e depistante, fa chiedere alla mente: «Ma era verità oppure il delirante vagare randagio e brado di una memoria offuscata da eventi di una vita vissuta, che ormai, lontana comè, tendi quasi a modificare a tuo piacimento, come potresti fare con le note di quella sinfonia
?»
Milano, 14 maggio 2003
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