TRA DUE GUERRE E ALTRE STORIE, RACCOLTA DI RACCONTI SCRITTI DA MARIO RIGONI STERN TRA IL 1975 E IL 2000

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Tra due guerre e altre storie (2000)


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Mario Rigoni Stern, Tra due guerre e altre storie
Einaudi, 2000
Supercoralli, pp. VIII-248
Euro 14,46

«Per non dimenticare, per non perdere la memoria».

osì si potrebbe sintetizzare l’opera di Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago (Vicenza) il primo novembre 1921; e questa raccolta di racconti ne è un chiaro esempio: un insieme di storie “grandi e piccole” vissute in gran parte in prima persona, analizzate attentamente e, poi, trasmesse ai suoi lettori.

Tra due guerre e altre storie
riunisce cinquattotto storie che l’autore ha scritto tra il 1975 e il 2000. Una buona parte di questi racconti (diciannove) è apparsa nel 1989 nella collana Terza Pagina del quotidiano «La Stampa» di Torino sotto il titolo di Il magico Kolobok, che è anche il titolo del racconto che apre questa raccolta, mentre gli altri sono pubblicati qui per la prima volta.

Il magico Kolobok è la descrizione di un viaggio intrapreso in Russia, dove, assieme allo scrittore russo Michail Michajlovic Prisvin, l'autore aveva rivisitato i luoghi nei quali la sua esistenza era stata profondamente segnata, i luoghi, cioè, della tragica ritirata dal fronte sul Don nell’inverno del 1943. Lo scrittore russo, di cui si conosce poco (Adelphi ha pubblicato, nel 1979, una sua opera, Ginseng), nel 1908 aveva seguito il magico “kolobok”, la guida fatata delle favole. Non è certo un caso che “kolobok” sia anche una tipica focaccia tonda, che è al centro di una celebre favola russa.

Questo racconto è seguito da otto storie della Prima guerra mondiale, quindici storie della Seconda guerra mondiale, sedici storie dall’Est (Bielorussia, 1975: sette; Russia, 1985: quattro; Russia, 1988: cinque), sette storie dall’Europa e, infine, dodici storie dall’Altipiano, che possono essere lette come lo è il vagabondare di Stern per i boschi, qua e là, a zig zag, andando avanti e indietro (Nota al lettore).

Il libro è ricco di ricordi tragici, come le due guerre mondiali, ma anche di descrizioni di vita serena e spensierata, e dei resoconti dei viaggi nei Paesi dell’Est europeo dove egli spera di ritrovare — e ritrova, anche se ovviamente mutati nel tempo — i segni della tragedia che aveva colpito migliaia di soldati italiani durante la tremenda ritirata di Russia.

Stern ha vissuto intensamente gli effetti della Grande guerra, da ragazzo aveva potuto constatare ogni giorno i pesanti segni, tuttora molto vivi, di questa forza distruttiva: buona parte del “suo” bosco e del suo paese (Asiago) ne subirono gravi conseguenze. Spesso, da ragazzo, egli andava a giocare nelle trincee a cercare elmetti e cartucce, o nelle postazioni di artiglieria per raccogliere i quadratini di balistite, un tipo di esplosivo impiegato come polvere da lancio (Così a diciott’anni andammo in guerra, p. 41), ma ritrovava anche i resti dei soldati, i cui cadaveri, semicoperti dalla terra, sembrava stessero lì a confermare la brutalità della guerra.

Della Seconda guerra mondiale, al contrario, Stern dà un resoconto dettagliato e molto diretto, avendovi partecipato attivamente dal primo all’ultimo giorno come sergente degli alpini, descrivendo i momenti drammatici vissuti in Albania e nella campagna di Russia, i lager e tutti quei luoghi che rivisitò, poi, negli anni Settanta e Ottanta, come ricorda nella parte del libro dedicata alle Storie dall’Est, in cui racconta dei viaggi compiuti in Bielorussia nel 1975 e in Russia nel 1985 e nel 1988, alla ricerca di quei luoghi mai dimenticati che lo segnarono in maniera indelebile.

Prima e seconda guerra mondiale, dunque, si intrecciano fra loro nei suoi ricordi personali. E di questo egli ha sempre raccontato nei suoi libri, basti ricordare Il sergente nella neve (1953), che descrive i drammatici eventi della campagna di Russia, e Storia di Tönle (1978), storia di un contadino e contrabbandiere che rimane coinvolto nei tragici eventi della Prima guerra mondiale.

In questa raccolta troviamo tutto il mondo di Stern, i temi che gli sono stati sempre cari: la natura, le esperienze della guerra, gli animali, i boschi, soprattutto, e le passeggiate solitarie per i sentieri della “sua” Asiago, del “suo” Altipiano. Attento ad ogni fruscìo delle foglie, al passaggio di un urogallo o ad ascoltare il canto di un tordo e la “voce” della pioggia dalla finestra del suo studio.

Il suo sembra un continuo peregrinare della fantasia, un incessante sogno ad occhi aperti alla ricerca di spazi infiniti, di quella natura incontaminata che soltanto i boschi dell’Altipiano e le grandi steppe della Russia sembra possano dargli, quella Russia che Stern “ha vissuto” attraverso l’esperienza dolorosa della guerra, ma pur sempre ammirata nei sui piccoli villaggi, nelle sue isbe e nelle chiesette di legno immerse in uno spazio realmente infinito dove è possibile cogliere la dimensione umana delle cose e la percezione che l'uomo ha di se stesso quando si trova, solitario, a camminare tra i boschi o per le vaste distese ricoperte di neve. In questi due ambienti naturali a lui tanto cari Stern ritrova ciò che è costantemente presente in lui: il contatto diretto con la natura come continua riflessione sulla propria esistenza.

E non a caso l'autore, in questi racconti che ripercorrono tutta la sua vita, tutta la sua esperienza realmente vissuta e non solo raccontata, fa costante riferimento alla natura e allo scempio che l'uomo ne ha fatto. Basti ricordare il continuo riferimento alle distruzioni del “suo” bosco durante la Prima guerra mondiale e come, nei pochi giorni di licenza, non perdesse l'occasione per andarsene a vagabondare, osservare gli alberi, i cespugli, l'erba; ascoltare il canto degli uccelli e il vento tra gli alberi (Quel 25 luglio del 1943, p. 74).

Gli alberi, sì, sono un amore sincero, osservati in un modo quasi scientifico, che gli ha fatto scrivere, nel 1996, Arboreto salvatico, in cui l’autore si dispera per la distruzione degli alberi da parte delle truppe austriache che avevano sparato a gas a tal punto che «il bosco non si riprendeva».

Il suo rapporto con gli alberi dei suoi boschi, direi con la natura in sé, è dato da un interesse estetico-sentimentale, ma anche ecologico, essendo egli stato un cacciatore. E se alla sola visione di un albero scortecciato da qualche vandalo prova amarezza e rabbia, allo stesso danno provocato da qualche animale, ghiro o cervo che sia, prova dispiacere. Gli basta un fruscìo di ali per alzare lo sguardo verso il cielo dove una coppia di corvi vola verso la montagna, captando e quasi decifrando i brevi versi con cui si chiamano e comunicano tra loro (Amore e morte nel bosco incantato, p. 226). E che dire quando lo sguardo si spinge lontano al di là della valle e vede la roccia dove “sa” esserci un branco di camosci. Ogni minimo particolare attira l'attenzione nel suo lento camminare, nel suo vagabondare, lento per non perdere l’attimo sublime che la natura gli offre ad ogni istante. Uno sguardo verso terra ed una semplice pozzanghera gli dice che da lì sono passati dei caprioli o dei cervi.

Ma l’istante vitale del bosco lo fa riflettere sull’esistenza umana: si rallegra nel vedere nel sottobosco le piantine di Faggio nate dal seme, soffermandosi sulla precarietà della vita dell’uomo, così come l’albero che muore, ma la foresta si rinnova.

Stern è un attento osservatore del mondo circostante, della vita del bosco, casa naturale dei “suoi” animali, estasiato nell’ascoltare i rami dei Larici che sfiorano il tetto della sua casa, il vento che fa frusciare il bosco, un gatto che sale con passo leggero e sospettoso gli scalini di legno; la cagna che si rigira nella cuccia (Il magico Kolobok, p. VII). Ma il suo sguardo va oltre, oltre la finestra della sua camera, ad ammirare le stelle che attraversano il cielo come i suoi ricordi e le sue fantasie ripercorrono senza sosta la mente.

I ricordi sono per Stern parte fondamentale dell'esistenza. Senza di loro l’uomo perderebbe il legame con se stesso e con la propria presenza nel mondo, perché l’uomo non può dimenticare, anche se ha vissuto i momenti tragici della guerra; e la memoria, dice l’autore, è importante perché ci permette di andare verso il futuro. Non è giusto, dice Stern, dimenticare tutto, nel bene e nel male, anche soltanto per capire e per far capire, ora che di questi tempi si corre senza sapere, a volte, dove si sta andando (Così a diciott’anni andammo in guerra, p. 41).

Questo libro rappresenta, dunque, un “bilancio di tanta esperienza” tra il paese, la guerra e la scrittura; la trascrizione incessante delle riflessioni, anche nei momenti più difficili della prigionia (fogli arrotolati e nascosti nello zaino), gli ha consentito di superare quei drammi, di venirne fuori, e il poter raccontare, ha detto in un'intervista, lo ha aiutato molto a scrollarsi di dosso, almeno in parte, i drammi causati dalla Seconda guerra mondiale; al contrario di altri, che non hanno saputo farlo e si sono tenuti dentro tutta l’angoscia provocata dalla tragedia vissuta in quegli interminabili giorni di sofferenza: drammi come la segregazione, l’oppressione, l’annientamento dell’ “essere” umano nei lager.

Tra due guerre potrebbe essere considerato come un documento storico da adottarsi nelle scuole, non come “libro di narrativa”, ma come libro di testo: poiché è attraverso la memoria che noi possiamo aiutare i giovani a costruire il loro futuro, perché rivivere il passato significa proiettarsi al futuro, dice Stern.

I suoi continui rimandi al passato, i suoi ricordi personali ci inducono a considerare quanto sia importante trattenere tutti gli eventi che hanno accompagnato la nostra esistenza, siano essi positivi o negativi: amori, gioie, angherie.

Ma ci sono anche momenti di solidarietà: ricordiamo l’episodio di Romedio (Un samaritano nell’inferno, p. 65) che scorge un alpino sepolto dalla neve e lo carica sulla sua slitta, così come farà, poi, con altri soldati recuperati nella steppa a cui darà tutta l’assistenza possibile: acqua, cibo e un po’ di tepore, il tutto grazie alle casse degli ufficiali che stava trasportando e che prontamente aveva aperto per poter dare aiuto ai feriti.

Da non dimenticare anche episodi di ingiustizie dovute a precipitose decisioni dei tribunali militari come il caso del capitano Banzi e del sottotenente Raffo degli alpini che nel 1943 vennero fucilati per “resa in campo” in quanto colti di sorpresa dai partigiani nell’isola dalmata di Brazza (Fucilati per sbaglio, p. 87). Ma anche il caso del vecchio soldato richiamato (classe 1897) che si era semplicemente rifiutato di scendere da un vagone ferroviario e, quindi, condannato a un anno e sei mesi (pag. 87).

Sintetizza Stern: «a chi ha vissuto la guerra da soldato di linea strane cose accadono dentro la testa» (Vecchio soldato tra boschi e paludi, p. 88).

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 4 novembre 2004
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