TRE CROCI, CAPOLAVORO NARRATIVO DEL '900 SCRITTO DA FEDERIGO TOZZI

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Tre croci (1918)


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Federigo Tozzi, Tre croci
Garzanti libri, 2003
105 pp., Euro 7,00

critto in pochi giorni alla fine del 1918, Tre croci narra la storia di tre fratelli, Giulio, Niccolò ed Enrico Gambi. Essi ereditano dal padre una libreria antiquaria nel centro di Siena. Quando gli affari cominciano ad andare male, sono costretti ad indebitarsi. Ma la situazione rovina a tal punto che finiscono persino per firmare delle cambiali falsificando la firma di un loro amico, il cavalier Nicchioli, a garanzia dei loro debiti. La verità, però, viene subito a galla e la vergogna cade su tutta la famiglia. Giulio non sopporta l’umiliazione e si toglie la vita. Gli altri due fratelli, invece, subiscono un processo, dal quale escono assolti perché hanno scaricato ogni responsabilità sul fratello morto. Ormai, però, il destino è tracciato. Niccolò morirà di lì a poco di apoplessia, dopo aver vissuto di stenti, ed anche Enrico morirà, più tardi, nella miseria, ricoverato in un Ospizio di mendicità.

A torto è considerato un romanzo provinciale, ed in particolare toscano. Al contrario, critiche più attente considerano questo romanzo di Federigo Tozzi - insieme, peraltro, ad altre due perle, Con gli occhi chiusi e i racconti delle Bestie - uno dei capolavori della letteratura italiana del ‘900.

E’ vero che l’uso della lingua rischia, ad una lettura superficiale, di relegare l’opera di Tozzi entro i confini della letteratura regionale - si pensi a quanto toscano è l’incipit del romanzo: «Niccolò! Dèstati!» - eppure l’anima di queste pagine è interamente moderna ed europea.

Pirandello (Tre croci è da Tozzi a lui dedicato), ma in particolare Svevo, la letteratura russa e i primi abbozzi dell’inconscio, addirittura – forse – echi del romanzo americano, costituiscono il fondale spirituale sopra il quale si muovono le vite «vere e vive» di personaggi meschini e per questo reali. L’impotenza di Giulio, le ossessioni di Niccolò, la fragilità di Enrico, fanno di Siena, della città nella quale la storia è ambientata, con le sue case antiche e fatiscenti, il grumo di case e di viuzze che appaiono tutte senza sbocco, la vera protagonista del romanzo. Questa città diventa il paradigma di un luogo dell’anima che ha ristrettezza di una prigione, la sostanza di un incubo. I protagonisti si dibattono senza speranza, né riscatto in un mondo piccolo, chiuso e soffocante. Il paesaggio non accompagna più romanticamente l’animo dei protagonisti, né è verghianamente immobile ed indifferente al destino degli uomini, ma dispiega una propria autonoma esistenza nella quale si riflette l’angoscia esistenziale dei personaggi. Non si è di fronte a pagine di un esasperato verismo, bensì alle prime prove di un nuovo realismo, che comincia a sperimentare inedite analisi psicologiche.

Il senso di oppressione e di angoscia che il libro trasmette forse ha nuociuto alla popolarità del romanzo e dell’autore, ma esso ne fa, entro la prospettiva che il tempo e la memoria assicurano, un grande libro.

A cura della Redazione Virtuale

23 Febbraio 2004
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