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Una vita (1892)



Italo Svevo, Una vita
Bur, Rizzoli, 2001
pp. 396 / Euro 8,78

na vita è il romanzo d’esordio di Ettore Schmidt, in arte Italo Svevo, uno dei più grandi scrittori italiani del primo Novecento. L'opera fu iniziata nel 1887, ma pubblicata a spese dell'autore solo nel 1892.

Ne è protagonista Alfonso Nitti, un giovane colto, ma economicamente disagiato, che dall’amato paese natale si trasferisce in città per lavorare presso la banca Maller. Qui la nostalgia della campagna lo assale, mentre il lavoro in banca si fa sempre più duro, carico di responsabilità ed avaro di soddisfazioni. Saranno solo i primi incontri in casa Maller, dove Alfonso si reca timoroso, a rendergli la vita meno triste. Lo farà soprattutto l’amicizia ambigua ed altalenante che nascerà con la figlia del principale, Annetta, la quale proporrà ad Alfonso la stesura di un romanzo a quattro mani. Gli incontri con la giovane diverranno molto frequenti, mentre l’amore del protagonista nei confronti di Annetta crescerà, rendendo il loro rapporto più stretto nonostante l’apparente freddezza della ragazza.

Tuttavia, la lunga malattia e la successiva morte della madre di Alfonso divideranno i due per un lungo periodo, al termine del quale il protagonista farà ritorno in città scoprendo una situazione fatale per il suo fragile equilibrio: Annetta, infatti, si è fidanzata con il cinico cugino Macario. Nonostante i propositi di rinuncia, il protagonista tenta di instaurare un legame con la ragazza chiedendole un ultimo appuntamento. Al posto della giovane, però, si presenta il fratello di Annetta, Federico Maller, il quale da sempre si era dimostrato ostile nei confronti del protagonista e della sua relazione con la sorella. Maller provoca Alfonso fino a risolversi di sfidarlo a duello, scontro al quale Nitti si sottrae, nauseato, scegliendo come estrema soluzione il suicidio.

Il primo romanzo sveviano risente di una certa rigidità ma anche, in alcuni casi, di una scarsa finezza linguistica: sono ben noti, d'altra parte, gli iniziali problemi dell’autore con la scrittura in lingua italiana e l' accusa di “scrivere male” frequentemente rivoltagli dalla critica. Ad ogni modo, la vera innovazione risiede nella tematica presentata dall'opera. Una vita, infatti, viene considerato un romanzo novecentesco, assai all'avanguardia rispetto ai canoni seguiti negli anni in cui vede la luce.

Alfonso Nitti è un uomo solo, scisso dalla società in cui vive ed in particolare dal mondo cittadino che lo accoglie con tutta la sua freddezza ed al quale il giovane oppone, come già sottolineato, una progressiva introversione. Un inetto era il primo titolo cui aveva pensato l’autore per questo scritto e non può sfuggire l’assonanza di questo aggettivo con il cognome — Nitti — del protagonista.

Nel romanzo di Svevo, oltre all’aspetto psicologico, è presente un’attenta analisi sociale. L’autore, la cui esperienza di impiegato di banca possiamo sovrapporre a quella di Alfonso Nitti, parla di due mondi divisi da un confine invalicabile. Alfonso tenta l’impresa, quella di farsi spazio in un universo che gli è estraneo. Cerca di costruire un rapporto con la giovane Annetta, figlia di un banchiere, figura legata all’alta borghesia capitalista. Ne esce però sconfitto, abbandonato di fronte alla solitudine, al disprezzo e alla morte. Ritroviamo in questo un tema caro ad uno dei più grandi esponenti del Verismo, Giovanni Verga. La fine di Alfonso Nitti è tragica come quella di Mastro Don Gesualdo. Sia il personaggio sveviano che quello verghiano vengono puniti dalla società per aver cercato, in modi e con intenti del tutto differenti, di uscire dall’isolamento piccolo borghese e agganciarsi ai ceti emergenti di fine Ottocento.

Al di là dell'argomento sociale, è tuttavia quello dell’inettitudine il fulcro del romanzo. Svevo infatti — e lo farà anche nei successivi romanzi — costruisce un antieroe che vive continuamente in bilico tra la voglia di affermazione, la consapevolezza della propria superiorità nei confronti del volgare mondo esterno e la propria innata incapacità di azione, lo scoramento che essa comporta. Alfonso farà continui progetti di rinascita buttandosi sulla composizione di opere filosofiche e letterarie, su uno studio assiduo in grado di distrarlo. Purtroppo, però, egli resterà sempre uguale a se stesso e la vita non lo porterà a nessuna maturazione. Anche il gesto finale di ribellione, il suicidio, l'unico momento nel quale Alfonso sembra assumere le sembianze dell’eroe, si trasforma in un dovere eseguito stancamente. La scelta suprema si riduce così ad un compito svolto meccanicamente, come quelli che ogni giorno il protagonista esegue nella banca Maller. Nemmeno il gesto estremo riuscirà a dare la scossa vitale all'elettrocardiogramma piatto di Alfonso Nitti.

Negli anni in cui nella letteratura si muovono altri eroi come quelli incarnati dal superuomo di D'Annunzio, l’autore triestino crea un personaggio la cui inettitudine non ha nulla di nobile, essendo la causa stessa della sua marginalità. La stessa Trieste, città che in quegli anni viveva una dinamica fioritura culturale grazie anche alla propria funzione di ponte tra mondo latino e Mitteleuropa, si riduce ad una città squallida e grigia che evidenzia la debolezza del protagonista.

Svevo crea quindi un antieroe che, portando avanti le proprie difficoltà in un ambiente del tutto ostile, giunge al compimento di un gesto tragico. Nonostante lo scarno intreccio e la prosa spesso troppo asciutta, la novità più importante del romanzo d’esordio di Italo Svevo sta proprio nell’invenzione del suo sfortunato protagonista. La capacità di creare personaggi come Alfonso Nitti — Emilio Brentani in Senilità e Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno — colloca Svevo tra i grandi della letteratura europea. In Alfonso Nitti, poi, si ritrovano molti tratti in comune con un altro straordinario personaggio che vedrà la luce di lì a pochi anni (1912) e ai confini opposti della Mitteleuropa. Si tratta dell’uomo-insetto de La metamorfosi di Franz Kafka: Gregor Samsa.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 21 gennaio 2002
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Cry, 16/09/'04

Per me, una vita non è altro che la visione negativa del mondo da parte di svevo. secondo me ci sono alcuni collegamenti ad altri fatti che possono essere paragonati a fatti realmente accaduti a svevo. per affascinare il libro affascina ma dopo un pò, verso metà, ci si inizia a stancare perché sembra che capitino cose che alfonso non vorrebbe mai che accadessero (vedi quando viene promosso che si lamenta del troppo lavoro, quando insegna a lucia è scocciato ecc ecc). quindi in conclusione sinceramente è un libro vuoto, molto simile ad altri (vedi "italia donati" di elena gianini belotti): vita molto riservata, complessi assurdi e alla fine il suicidio perché nessuno lo capisce.

Josè Luis Sanchez (osininos@eresmas.com), Madrid (Spagna), 10/11/2002

Questo primo romanzo di Italo Svevo mi è sempre sembrato affascinante. In quanto lettore è difficile non provare subito una grande simpatia per Alfonso Nitti; la sua ingenuità, i suoi disinganni ed il suo esordio in società (indimenticabile l'ambiente della banca Maller; la concorrenza tra gli impiegati e la loro mediocrità sono descritte con grande precisione) sono l'inizio di un percorso vitale che porta all'insuccesso; l'apprendimento non è completo, comunque, fino alla morte della madre. L'esperienza della morte dei genitori è un tema caro a Svevo; in questa sede non possiamo dimenticare la morte del padre di Zeno Cosini e lo schiaffo finale che sarà sempre presente nella vita psichica del personaggio. L'agonia e la morte della signora Carolina sarebbero forse i momenti più intensi del romanzo; Svevo riesce a cogliere magistralmente la decadenza della famiglia e soprattutto la sofferenza ed il tracollo fisico della malata (queste descrizioni sono talmente intense da portare alla memoria l'Amalia drogata e folle di Senilità). La scomparsa definitiva della stirpe e lo smacco subito sia nella banca, sia in casa Maller, fanno di Alfonso un fallito, un dèracinè, in modo che, alla fine dell'opera, il suicidio pare l'unica soluzione coerente.





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