Giorgio Bàrberi Squarotti, Le vane nevi
Prefazione di Ernesto Guidorizzi
Bonaccorso editore, 2002
Collana di poesia contemporanea, 167 pp.
Euro 11,00
Il lungo e intenso magistero critico e poetico di Giorgio Bàrberi Squarotti ben oltre la pur ricca bibliografia che lo documenta induce a leggere Le vane nevi, che raccoglie poesie composte tra il 1999 e il 2002, con la certezza di trovarvi dentro più di un dono.
Iniziando la lettura delle centodieci liriche, si ha subito la sensazione di trovarsi come allinterno di unampia e ariosa pinacoteca di preziose tele, con paesaggi e scorci reali o idealizzati. Non immote raffigurazioni, però, ma scene vivissime allinterno di piccoli racconti impalpabili come sogni, attraversati da sentimenti e pensieri.
E tali rappresentazioni come da un lampo vengono impresse dallallegoria della vita: le giovani donne che sono presenza costante in quasi tutte le liriche e che, nelle più disparate sembianze e pose e situazioni, denudandosi, simboleggiano della vita proprio lessenza più pura: chimica, biologica; ma sono anche verità o divinità antropomorfe, le giovani donne, che irridono ai luoghi comuni, alle umane imperfezioni, ai pregiudizi che oscurano la solarità creaturale del mondo:
il segno vero di corpo e anima
quello che nessuno vede o cura,
(Stazione)
Ironica, divertita, beffarda è, perciò, la multiforme fanciulla con chi non vuole o non sa cogliere lopportunità irripetibile della vita. Senza però mai rinunciare, la fanciulla-vita, allinvito a guardare e a procedere verso di lei. Invito che in Lesbica si fa aspro e duro, e lesortazione allazzardo si serve di immagini e di parole forti.
Ma i giovani corpi, nella loro terragna evidenza, testimoniano e rispecchiano del disegno divino anche la sua perfezione, il sogno perpetuo di bellezza che qua e là ogni tanto «(Per una volta almeno nel suo tempo/(ed era ormai dubbioso e incerto) vide/la Bellezza
(La bellezza))» o forse sempre e ovunque, ma solo per chi sa coglierla si materializza miracolosamente suscitando stupore e commozione:
Vergine è sempre la bellezza, nella
Presenza eterna di Dio
(Compite)
perché così in alto, quasi in cielo,
soltanto la bellezza può salire
(Collina e ciuffo di canne)
nella perfezione
della bellezza che è sicura vita,
modello unico della creazione
divina, e basta.
(Discesa)
oh la perfezione del mondo creato,
beffardo perché dura quanto è scritto
e inventato, ed è tutto, prima o dopo,
o mai
(La bellezza)
Dunque, un tema e un valore primario quello della bellezza, in queste poesie, in quanto massima espressione dellesistenza e suo simbolo supremo: «
così in alto
soltanto la bellezza può salire
»; «
modello unico della creazione
». E in quanto tale, valore dalleffetto consolatorio e salvifico, da affermare e difendere strenuamente.
Un percorso, quello di Bàrberi Squarotti, che induce a riflettere sul senso della poesia, su quello che resta e resterà di essa nel tempo, nei lettori che vi si avvicineranno; sulle motivazioni ultime, sul bisogno di esemplarità, o di semplice, purissimo godimento.
Nella fluidità, nel tocco leggero del dettato scopriamo alcune particolarità di questa scrittura: il marcato uso di aggettivi che qui si fa ricchezza di dettaglio, di potenza evocativa e, comunque, caratteristica di stile; e una particolare ironia spesso molcente, tenuemente malinconica che pervade le liriche stemperando o acuendo stati danimo, meditazioni, visioni.
Ironia e giocose trasgressioni sembrano contribuire a tenere in equilibrio armonico tradizione e modernità, libertà inventiva e sentimento estetico. E le rappresentazioni che ne scaturiscono, dentro cornici in prevalenza endecasillabiche, ci mostrano lo spettacolo della vita mondato e ricreato con sguardo virginale e sognante come per le descrizioni anatomiche delle ragazze e dei loro intimi gesti per riportarlo alla sontuosità latente, «
perché dura quanto è scritto e inventato
». Ed ecco, allora, atmosfere di rarefatta grazia, spesso soffuse e dissolventi, dai particolari cesellati con antica perizia. Un librarsi memore di quanto di più bello e significativo il genio artistico abbia mai saputo creare.
Da qui il dilatarsi surreale della visione, là dove la realtà nulla può offrire, dove non si dimostra allaltezza del sogno e del bisogno di gioia e di bellezza:
Nello specchio chi apparse su dallombra
malinconica e vuota, appena un poco
animata da fluttuanti echi e occhi
assorti? Forse un soffio mite, un fiocco
di melo nevicato, il giglio subito
divaricato, il più alto candore
e illuminatamente acceso di vergine
nuda. Tutto era immobile, si sa
che nel vetro perfetto non esiste
il tempo, ma le presenze vitali
lì durano, ed è la gioia trepida
di poterle ammirare quanto dura
il proprio nome.
(Soffio)
Milano, 24 gennaio 2005
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