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Il disprezzo si snoda nella Roma medio borghese degli anni 50, tutta ipocrisia e opportunismo. Qui Alberto Moravia colloca Riccardo Molteni e la moglie Emilia |
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La vita interiore (1978) |
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Seduto di fronte alla propria macchina da scrivere, Moravia impiegò sette travagliati anni di stesure (« era un enorme groviglio di fili. Così prima ho dovuto fare il gomitolo e poi sfilarlo», La Vita di Moravia, Moravia Elkann), prima di lasciare che il romanzo, nel 1978, giungesse fra le mani di chi, fermandosi alla superficie, non ne comprese da subito il significato simbolico.
Dalle prime battute il romanziere saccorge davere di fronte non una persona, ma due: oltre a Desideria, una Voce. Questultima, come la protagonista stessa spiega, insieme alla verginità è ciò che la rende somigliante alla figura di Giovanna Darco; la Voce parla, decide, guida e comanda dalla sede dei pensieri della ragazza, dalla sua mente. La narrazione non ha tempo, si svolge in un presente non databile ricco di flashback attraverso cui la protagonista ripercorre esperienze vissute, talvolta meditate e volute, più spesso frutto di un inesorabile plagio della Voce. Come annebbiata dagli effetti di una droga, Desideria si lascia trasportare da essa fino a cercarla, ad accorgersi di non poterne più fare a meno, ad esserne paralizzata e sconcertata, ma succube. Figlia adottiva di una madre ricchissima e spietata, perversa e ossessionata dallerotismo, Desideria comincia ad esserne amata solo quando, da «grassona» (come lei stessa si definisce), diventa bellissima; ciò nonostante, il sentimento di Viola, non è mai ben piantato, ma sempre oscillante fra l'affetto materno e l'amore incestuoso. Desideria non odia la madre, le è sostanzialmente scostante, ma il vero disprezzo per Viola è della Voce: «Ogni volta che mi attribuisco dei pensieri ostili a Viola, devi intendere che questi pensieri mi erano suggeriti oppure imposti dalla voce e che io non centravo», spiega la protagonista al romanziere. Il testo ha due motori a dargli lo stimolo narrativo: da una parte il senso simbolico, come Desideria stessa spiega («nella vita pratica si agisce realmente, ma nella vita interiore tutto avviene simbolicamente»), dallaltra la «rivolta», elemento costante e ossessivo nella vita e nelle opere di Moravia. La stessa verginità della ragazza è votata alla rivolta: ella aspetterà luomo che saprà attuare la rivoluzione, prima di dissolvere la propria purezza. Attraverso un «piano di trasgressione e dissacrazione», la Voce pone Desideria di fronte al fatto compiuto: simbolicamente le fa vivere lesperienza della prostituzione e poi, di seguito, la lascia scivolare lungo «gli anni criminali» durante i quali, seppure in una staticità di conseguenze pratiche, la ragazza non indugia nel lasciarsi andare al furto, alla fuga, alla dissacrazione del linguaggio, della cultura, della religione, della famiglia, del denaro e della stessa vita umana. Infine, come Desideria racconta, si svolge «lultima e suprema dissacrazione», quella dellamore. La protagonista, in un istante del veloce evolvere degli eventi, sente il freno della coscienza, le apparizioni della lucidità e giunge a disubbidire a ciò che le è dettato da dentro innamorandosi di Giorgio, un ragazzo borghese del suo stesso quartiere. E il momento in cui lo stimolo interiore scompare e Desideria resta «atterrita dallidea di tornare ad essere come era prima dellapparizione della Voce: un pezzo di carne massiccio, anche se dotato di smaniosa, fisiologica vitalità». Lassenza della Voce non dura molto: spinta da un invincibile bisogno, in ultimo la giovane decide di respingere Giorgio e di riaccoglierla più che mai nella propria vita. In modo quasi crescente, il desiderio di rivoluzione e un'ubbidienza ormai totale ai suggerimenti interiori la spingono oltre, in un vortice senza ritorno che la coinvolge in situazioni estreme: unorgia, la pianificazione del sequestro della madre e, da ultimo, lazione, la rivolta e il suo cinico e truce risvolto nel duplice omicidio. E interessante notare come Moravia indugi sullabbigliamento di Desideria per simboleggiare la rivoluzione che in lei è fine ultimo; in un passo del romanzo Tiberi, amante e amministratore dei beni di Viola, si rivolge alla giovane protagonista dicendole: «Parlano per te i tuoi vestiti, il tuo maglione, i tuoi pantaloni»; in effetti essi non sono certo quelli di una ragazza ricca, borghese, «pariolina», come la stessa Voce, con intento provocatorio,usa definirla. Nel primo romanzo di Moravia, Gli indifferenti, Michele vorrebbe uccidere Leo, amante della madre e della sorella, ma a causa del suo essere «indifferente», non ha una giustificazione morale per farlo e finisce, così, col dimenticare di caricare la pistola. Ne La vita interiore, invece, quella che per Michele era stata solo unintenzione, per Desideria diventa azione. La ragazza spara e Moravia la lascia fare, poiché ella, a differenza di Michele, ha un motivo per farlo. La protagonista segue il dettato della Voce e uccide due volte. Si potrebbe dire che con La vita interiore Moravia abbia ripreso, continuato e portato a termine ciò che ne Gli indifferenti aveva solo accennato senza risolvere. Il romanzo non termina, resta sospeso. Desideria se ne va, rincorsa dallautore che le grida di aspettare. Tuttavia, lei conclude: «La tua immaginazione mi ha bruciata, consumata. Alla fine non esisterò più, se non nella tua scrittura, come impronta, come personaggio». Moravia segue, in questo modo, una tradizione già calcata da scrittori illustri come Kafka, in definitiva la tradizione della vicenda non compiuta secondo cui «fine del romanzo non è quello di avere una conclusione, ma piuttosto quello di permettere ai personaggi di manifestarsi» (Dario Bellezza). A cura della Redazione Virtuale Milano, 18 aprile 2001 |
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