YELLOW, DI ANTONIO PORTA: UNA RICOSTRUZIONE DI POESIE E APPUNTI IN PROSA INEDITI
Yellow (2002)
Antonio Porta,Yellow Mondadori, 2002
Lo specchio, pp. 164
Euro 9,40
Yellow è un libro non programmato da Antonio Porta nella forma in cui appare a stampa. Il libro è una ricostruzione di poesie e appunti in prosa inediti (il titolo, dal quaderno inglese yellow, non è dell'autore), a cura di Niva Lorenzini, con il commento di Fabrizio Lombardo. La conseguenza è ovvia: il lettore ha una mediazione in più tra sé e lopera, e questa mediazione non è e non sarà eliminabile; la forma che il libro ha assunto non può più subire cambiamenti né accogliere spiegazioni dopo la morte del poeta. Giustamente, Pasolini ha scritto, in una delle continue evocazioni della propria fine, che «la morte non è / nel non poter comunicare / ma nel non poter più essere compresi» (Una disperata vitalità, in Poesia in forma di rosa).
Porta ha capìto che la rivoluzione riguarda, prima di tutto, se stessi. Tra il prima e il dopo si pone una cesura forte: è una possibilità insita nella tradizione italiana, dal Duecento al Novecento, se ad esempio Bonagiunta rimprovera a Guido Guinizzelli di aver «mutata la mainera» della poesia damore o con due libri usciti nel 1971 Pasolini e Montale aggrediscono la loro compostezza (e per il secondo, la propria classicità) per rifarsi in unaltra lingua e in unaltra forma. Cioè Trasumanar e organizzar e Satura vogliono testimoniare e inaugurare la liquidazione (sia tematica sia linguistica) di un mito che non funziona più.
In ogni caso, il vecchio tempo non può essere ripristinato. Il nuovo (vita nuova, dolce stil nuovo, ri-nascimento, nuovo rinascimento, rime nuove, ecc.) è raggiunto a prezzo di un cambiamento totale, o come effetto di una nuova forma di vita quotidiana. Per Porta si tratta anche dellamore coniugale, continuamente descritto e lodato in Yellow («avere la forza di cantare / prima e durante lamore») e della nascita dei figli, che comporta il ripensamento di se stesso come figlio, soggetto del canto (La posizione fetale: «Anche il senza tempo ha un tempo / e ci sfugge e non va inseguito, / ritorna da solo quando il corpo / guizza fuori dallutero e nasce / la voce»). La (seconda) nascita è il nuovo, che ha una «voce» propria.
Allinterno del libro una poesia-chiave è quella dedicata ad Edoardo Sanguineti il 23 marzo 1986 [me ne sono occupato in un articolo sulle contrapposizioni in letteratura: Il gioco del massacro, in «Smerilliana», 3, 2004, pp. 363-370; Sanguineti, in unintervista con Daniele Piccini, dà una risposta diplomatica riguardo a questa poesia: «Poesia», 171 (2003), p. 14 n.d.r.].
Porta è chiarissimo nel distanziarsi da un passato che non è solo sperimentale, ma soprattutto politico e duramente irreligioso. Non perché nel frattempo Porta diventi un poeta della fede, ma perché la vita nuova e in questa lapparizione della moglie e dei figli rappresenta il «divino». La poesia elenca gli elementi che impediscono di credere che «il destino nostro è niente»: «una donna dietro una parete», «una risata schietta, senza fretta», «un suono dei passi sullultimo selciato», «una bimba che dice: io non sono malata». Per questo motivo «al gioco del massacro allora non ci sto, / preferisco del linguaggio quel che ha di divino / e non mimporta, amici, di ciò che direte»: dove il divino non si identifica con un Dio invisibile, ma con lintero visibile (la donna nellaltra stanza: la moglie-madre; la bambina da baciare; i suoni dallesterno, che comportano luscita da se stesso e la rinuncia allisolamento; tutto insieme è la varietà del mondo quotidiano).
Il mondo è «divino» in quanto complesso e vitale; di questo mondo «niente andrà perduto, ne sono così sicuro che penso: / io non ci sono già più / e da fuori vedo e confermo / la luce, le forme, i suoni leggeri / e la febbre che non mi abbandona / e la fame e la sete / e la mia bocca arida da sempre». Il linguaggio «divino» è coerente con il mondo: ne indica i dati visibili (luce, forme, suoni; la donna, i passi, la bimba) e questo elenco loda la realtà («Tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo», secondo il Centauro della Medea di Pasolini).