Giuliano Gramigna, Quello che resta
Mondadori, 2003
69 pp., Euro 9,40
uello che resta è il titolo dellultima raccolta di poesie di Giuliano Gramigna, poeta e critico letterario del «Corriere della Sera», pubblicata nella collana Lo specchio di Mondatori nel 2003. I versi sono stati divisi in sei stanze poetiche.
Nella prima, In seduta, la poesia di Gramigna si dispiega a partire da una seduta danalisi che si fa luogo in cui pure una domanda resta disattesa: «Perché non mi chiede mai/ se non stato felice?(
)» e traccia un solco leggero di parole, insieme intimo e coltissimo nei suoi discreti rimandi, nelle sue giocose allusioni. Alla ricerca di una «rima per ludito/ la vista ormai è persa»; eppure cè la consapevolezza che chi «rifiuta il potere della lingua/ voltato verso langolo vuoto della sua mente (
)» si vota alla demenza. Ha inizio così un viaggio, anzi no, una passeggiata che appare dello spirito unicamente, ed, invece, è anche e principalmente del corpo e nel corpo di una città, la Milano di un bolognese, che chiamano fredda ma può scoprirsi in un «autunno limpido/ verderosato dalla finestra.»
Nella seconda finestra, I seminari e altro, si rinnova la forza instabile, «la scintilla del capire del non capire/ beatitudine estrema di ciò che prendi e non sai.» Questa instabilità non ha stremato il giocatore nella sua partita a scacchi con il tempo: invertendo i suoi versi, anche se i «verbi sono al passato/ Egli pensa un sogno del futuro». Splende ancora, dunque, una qualche gioia « di che gioia? come la fiamma di una candela dietro un foglio di carta», in questa soave poesia del dolore, alimentandosi ostinatamente della «poesia degli altri», letta e riletta, infinite volte, «supponendo un senso che sopravviva/ a ogni sgorbio di penna o battito di computer». E si fa sempre più viva la città, nella quale, paradossalmente, ritrovarsi. E, paradossalmente, la città in cui ritrovarsi è Milano. Piccolo poema per i tram (e i bus) di Milano, è la terza finestra: per scrivere una poesia, «stando alla fermata del bus
» Ovvero per leggere, «quando (
) dalla svolta appaia il viso camuso/ arancione (o verde?) col numero degli anni/ che restano ancora da vivere
».
Non ce nè più di vita: il titolo della quarta non è una desolata risposta. Che dici mai: Ce n'è ancora di tempo per la partita. Ce nè di tempo per lo stupore vigile di Gramigna. Ce nè di tempo per incrociare ancora la città e scoprire una Milano «che conteneva fette di felicità/ per ciascuno». Chi non lo scoprì
Non aveva camminato abbastanza
Camminare. Camminate. «Venute giù dalle pagine dai sogni dalle camminate», sono sgorgate le gocce feconde Del libro futuro nella quinta stanza scritto con linchiostro dellironia quella intangibile (o innominabile?) «di coloro che (
) rimasti sempre di qua/ guardavamo con invidia amorosa la/ vita scritta-una-volta-per-sempre». Lironia dà la forza di camminare. Ma Sulla porta di casa nellultima stanza «anche lacre/ resistenza alla emozione sfianca. (
) Sento il morire/ perdo il senso/ per un istante di essere posseduto/ di possedere (
)» E dopo Milano non brilla più, ma dentro una sua stradetta si inciampa
Questa di Giuliano Gramigna è poesia di verbi e di avverbi, di stupite sospensioni e di lucidi contrappunti. E poesia di movimento, che cammina e guarda. E il poeta che guarda e cammina non è di passaggio; conosce i luoghi che attraversa e questi cambiano e vivono lungo le infinite letture del poeta, in un continuo dialogo dentro-fuori, che soltanto lumile ironia può chiamare confusione ed è, invece, intimo abbraccio.
La poesia di Giuliano Gramigna ha la potenza di un bilancio storico, la soavità di una partitura musicale. E ci rafforza nella convinzione che unanima comunque esiste: è quello che resta, quando tutto è passato.
A cura della Redazione Virtuale
9 marzo 2004
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