OPERA METAFISICA, PIÙ CHE POITICA, SATURA È LA CERNIERA TRA IL VECCHIO E IL NUOVO EUGENIO MONTALE

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Satura (1971)



Eugenio Montale, Satura
in Tutte le poesie, Mondadori, 1984
Meridiani, pp.1245
Euro 55,00

uarto libro di poesie, di Montale, Satura fu pubblicato nel 1971 dalla Casa editrice Mondadori. La silloge contiene 103 poesie divise in quattro grandi sezioni (Xenia I e Xenia II; Satura I e Satura II), introdotte da due poesie: Il tu e Botta e risposta I.

Il titolo Satura riprende una precedente pubblicazione di poesie di Montale del 1962 che conteneva 5 poesie pubblicate per le nozze Fagioli-Crespi. Satura raccoglie, ordina e sistema le poesie scritte tra il 1962 e il 1970.

I nome delle sezioni sono indicativi dei temi e degli argomenti trattati nelle poesie.

“Xenia” è termine latino che Montale riprende dal poeta latino Marziale e significa “doni votivi inviati a qualcuno che si era avuto ospite”, e qui le poesie sono doni mandati dal poeta alla donna che era stata ospite della sua vita.

“Satura” è termine latino ed indicata “il piatto ricolmo di vari frutti offerti agli Dèi (Satura Lanx)”. Ma “satura” era anche un genere letterario formato di vari argomenti di tono sarcastico o satirico. “Satura” sottolinea inoltre la natura aperta della raccolta, il suo carattere di miscuglio di temi, stili, linguaggi diversi, la sua natura insieme satirica, aggressiva, funebre e conviviale.

La seconda poesia Botta e risposta I composta nel 1961 è una poesia che ancora per il tema trattato appartiene a La Bufera e altro. In questa poesia Montale descrive la sua giovinezza durante gli anni bui del Fascismo, definito con questi versi: «Uscito appena dall’adolescenza / per metà vita fui gettato / nelle stalle d’Augia. / Non vi trovai duemila bovi, né mai vi scorsi animali; / pure nei corridori, sempre più folti / di letame, si camminava male / e il respiro mancava; ma vi crescevano / di giorno in giorno i muggiti umani» e dopo aver descritto l’incredibile fine del fascismo e la ripresa della vita dopo la guerra, Montale si chiede se quella nuova vita sia «il sole o sudicia esca di colaticcio sui fumaioli» e conclude «ora sai che non può nascere l’aquila / dal topo».

La prima sezione di Xenia è composta da 14 poesie, così come la seconda.

La moglie del poeta, Drusilla Tanzi, era morta il 20 ottobre del 1963, dopo una dolorosa malattia, compagna della sua vita, l’indimenticabile Mosca. E il 10 aprile del 1964 Montale comincia a scrivere le poesie in ricordo di lei e incomincia un dialogo con lei assente. Sono componimenti in genere brevi e brevissimi, che trovano la loro occasione in eventi apparentemente comuni, o minimi, o in fulminei ricordi, o in una battuta di dialogo. Il tono emotivo spazia tra l’ironia e il rimpianto per la sua breve vita e per l’improvvisa morte; la forma tra il dialogo e l’epigramma.

Gli xenia più famosi e belli sono: Avevamo studiato per l’aldilà n°4 il numero 5, 7, 11, 13, 14 di Xenia I, e il numero 1, 5, 7, 9, 14 di Xenia II.

In questi 28 xenia Montale dà inizio al suo discorso metafisico nel quale i contorni e i confini tra vivi e morti sono labili. Montale dà l’incipit alla dimensione metafisica che terminerà con una delle ultime poesie scritta nel 1980 nell’ultima sua opera poetica Altri versi.

La dimensione metafisica è dunque trasversale a tutta l’opera poetica di montale e riveste un aspetto molto importante di tutta la produzione montaliana.

La tesi di Montale si può riassumere con queste parole: i vivi non sanno di essere vivi o forse sono solo ombre di un mondo originale di cui si è tersa la traccia e di cui non conosce né l’ordito né il costrutto. I vivi sono solo ombre che vorrebbero dialogare con i propri cari, ma non ci riescono, come Montale scrive nella poesia n° 4 di Xenia I.

    4

    Avevamo studiato per l’aldilà
    Un fischio, un segno di riconoscimento.
    Mi provo a modularlo nella speranza
    Che tutti siamo già morti.

(bellissima poesia perché esprime la sensazione e la speranza che tutti abbiamo percepito incosciamente di non morire senza saperlo).

Lo xenia n° 13 termina con questi due sublimanti versi: «Ma è possibile,/ lo sai, amare un’ombra, ombre noi stessi.». ( la vita dei viti è solo ombra e si svolge in un luogo nel tempo, ma la vera felicità si troverà in un luogo senza tempo. Da qui il dramma dell’umanità la quale, fin quando vive, è infelice e quando muore potrebbe essere felice se andrà in un posto senza tempo). Ma la poesia in cui questo messaggio emerge più esplicito è la poesia Le Stagioni che si trova in Satura II.

Un tema dominante degli xenia è dunque la morte e il poeta cercherà di esorcizzarla in tutta la sua produzione poetica.

Ecco il commento e la spiegazione di Francesco Puccio sugli Xenia:

    «Fra sottile umorismo, evidenza vitale ed esistenziale degli oggetti dietro la loro apparente desublimazione, stati nostalgici, toni dimessi e colloquiali, Montale rievoca semplici ma toccanti momenti di vita quotidiana in una continua dialettica vita-morte, tempo-eternità. Esprimendosi con forma discorsiva ma commossa, parla con la moglie assente spinto dal desiderio di perpetuare la loro comunione spirituale e tentando di esorcizzare il senso di vuoto e di smarrimento causato dalla sua mancanza».

Sempre negli Xenia Montale esprime i suoi dubbi sulla sua identità, ma esprime soprattutto la sua Weltanschauung, la quale conferma ancora una volta tutto il suo pessimismo antropologico ed esistenziale. Montale esprime anche il suo Zeitgeist e lo fa soprattutto nella poesia n° 14 di Xenia II.

    14

    L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
    delle carte, dei quadri che stipavano
    un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
    Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
    Rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
    il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
    il Valèry di Alain, l’originale
    dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
    da barba, mille cianfrusaglie e tutte
    le musiche di tuo fratello Silvio.
    Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
    Di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
    Tanto prima di perdere la loro identità.
    Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
    Stato civile fu dubbio fin dall’inizio.
    Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
    Di una realtà incredibile e mai creduta.
    Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
    Dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo.

Ecco il commentodi Romano Luperini:

    «Questa poesia è datata 27 novembre 1966 ed è la quattordicesima degli Xenia II. È un esempio notevole della scrittura montaliana dopo la crisi e il silenzio tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta: domina un tono colloquiale e dimesso, al confine con la prosa. La fine di qualsiasi illusione sul valore della propria civiltà e della storia comporta una rivisitazione dolente o ironica dei propri miti passati, che Montale stesso demistifica e rinnega: non però per sostituirvi nuovi valori, ma per prendere atto della mancanza di valori e di significati, sotto la spinta di un nichilismo senza eccessi, piuttosto cinico e disincantato che corrosivo. Il coraggio trasmesso dalla moglie al poeta è l’unico valore possibile – inteso come coraggio di constatare l’insignificanza della vita e cioè come la mancanza assoluta dei valori.
    L’occasione contingente all’origine di questo testo è l’alluvione che colpì Firenze, con lo straripamento dell’Arno, nel novembre del 1966. La distruzione operata dalle acque fangose sugli oggetti conservati dal poeta nella cantina diviene l’allegoria della fine dei suoi miti personali e della crisi ormai irrecuperabile della sua identità. Il riferimento è in particolare alla ideologia degli anni trenta cioè alla convinzione – tipica degli intellettuali non fascisti durante il regime – di poter raffermare la propria identità e difendere il significato della cultura attraverso l’isolamento e la conservazione dei valori della civiltà e della poesia: la cantina rappresenta qui la cittadella delle lettere, con i suoi fragili miti.».

Inoltre Montale fà suo il giudizio della moglie sulla nuova società italiana e sulla vita degli uomini e lui si affida completamente a lei, la quale benché miope vede meglio del poeta come scrive nel celebre Xenia II n°5.

    5

    Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
    E ora che non ci sei più è il vuoto ad ogni gradino.
    Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
    Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
    Le coincidenze, le prenotazioni,
    le trappole, gli scorni di chi crede
    che la realtà sia quella che si vede.

    Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
    Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
    Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
    Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
    erano le tue.

Romano Luperini:

    «Il tema dello sguardo della donna amata ha origini stilnovistiche e petrarchesche, ed è frequente anche nelle Occasioni e nella Bufera ed altro. Clizia, per esempio, era dotata di occhi di ghiaccio simbolo della sua chiaroveggenza intellettuale. Invece gli occhi di Mosca sono offuscati. Tuttavia essa guida egualmente il poeta perché provvista di una saggezza a lui ignota e del tutto diversa da quella della donna-angelo: essa infatti non è data da un privilegio culturale come quello di Clizia, ma dalla forza degli istinti e da una capacità innata,e, si direbbe fisica di orientamento. Mosca sapeva che la realtà non coincide con quella visibile quale viene percepita da chi vive in preda alle scadenze temporali e agli impegni pratici. Il senso profondo della vita coincide con la percezione e con l’accettazione della nullità dell’esistenza e dunque non ha niente a che fare con il senso moderno del tempo».

Ecco la spiegazione che Marco Forti dà di questa tematica:

    «In questa prospettiva la condizione umana non appare tanto diversa da quella delle ombre e la centralità dell’uomo nel mondo, la sua presenza in esso, lo statuto reale di ciò che ci circonda vengono messi radicalmente in dubbio. In una intervista del ’65 Montale ha detto: “Non sono sicuro che il mondo esista, che la materia esista, che io esista”».

Satura I comprende poesie di vario contenuto. Dalla tettura de La Storia emerge lo spirito dissacratorio del poeta verso la storia.

La storia, dunque, cardine delle concezioni moderne, laiche e progressiste è oggetto di una critica demolitiva, che le sottrae ogni possibile funzione o insegnamento.

Lo spirito sarcastico e canzonatorio di Montale raggiunge il suo massimo livello nella poesia Fanfara dove ironizza sul materialismo storico e su tutte le ideologie filosofiche che sono attuali in tutto il mondo. Ma il poeta in fine di poesia si chiede: «tu dimmi / disingaggiato amico / a tutto questo / hai da fare obiezioni?». Come scrive Giulio Ferroni su queste due poesie:

    «La storia svolge questa polemica in tono di falsetto, in apparenza svagato e indifferente; i vari spunti satirici culminano nel componimento Fanfara che in una vorticosa successione di versi brevissimi accumula una serie di parole e di formule correnti nel linguaggio politico-culturale intorno al’68 dalla cui giustapposizione emana uno spontaneo effetto di assurdo e di non senso».

In Satura II c'è dell'altro: dal tono sarcastico a quello preoccupato, da quello dubitativo a quello scettico. E Montale introduce il tema del Tempo, il quale nel suo svolgimento è inesorabile ed indifferente agli uomini. La poesia più esplicita sul Tempo è L’Arno a Rovezzano.

    L'ARNO A RAVEZZANO

    I grandi fiumi sono l’immagine del tempo,
    crudele e impersonale. Osservati da un ponte
    dichiarano la loro nullità inesorabile.
    Solo l’ansa esitante di qualche paludoso
    Giunchetto, qualche specchio
    Che riluca tra folte sterpaglie e borraccina
    Può svelare che l’acqua come noi pensa se stessa
    Prima di farsi vortice e rapina.
    Tanto tempo è passato, nulla è scorso
    Da quando ti cantavo al telefono “ tu
    Che fai l’addormentata” col triplice cachinno.
    La tua casa era un lampo visto dal treno. Curva
    Sull’Arno come l’albero di Giuda
    Che voleva proteggerla. Forse c’è ancora o
    Non è che una rovina. Tutta piena,
    mi dicevi, di insetti, inabitabile.
    Altro comfort fa per noi ora, altro
    Sconforto.

Un altro tema dominante è quello delle divinità che vengono sulla terra ma non si lasciano scoprire e vedere, come nella poesia Divinità in incognito.

Un’altra composizione ripropone il tema dei vivi con i morti come Nel silenzio che così si conclude: «Anche i morti si sono messi in agitazione. / anch’essi fanno parte del silenzio totale. / Tu stai sotto una lapide. Risvegliarti non vale / perché sei sempre desta. Anche oggi ch’è sonno / universale.

Ma la poesia che esprime il grande messaggio di tutta la raccolta è certamente Le stagioni, nella quale Montale afferma che la felicità non si trova nelle quattro stagioni, ma può trovarsi solo fuori dal tempo e precisamente nell’Intemporaneo, là dove muoiono le ragioni degli uomini e Dio sa s’era tempo; o s’era inutile creare il mondo, l’universo e gli uomini.

    LE STAGIONI

    Il mio sogno non è nelle quattro stagioni.

    Non è nell’inverno
    Che spinge accanto a stanchi termosifoni
    E che spruzza di ghiaccioli i capelli già grigi.
    E non è nei falò accesi, nelle periferie
    Dalle pandemie erranti, non è nel fumo
    D’averno che lambisce i cornicioni
    E neppure è nell’albero di Natale
    Che sopravvive, forse, solo nelle prigioni.

    Il mio sogno non è nella primavera
    L’età di cui ci parlano antichi tabulari,
    e non è nelle ramaglie che stentano a mettere piume,
    e non è nel tinnulo della marmotta
    quando s’affaccia dal suo buco,
    e neanche è nello schiudersi delle osterie e dei crotti
    e non è nell’illusione che ormai più non piova
    o pioverà forse altrove, chissà dove.

    Il mio sogno non è nell’estate
    Nevrotica di falsi miraggi e non è nelle lunazioni
    Di malaugurio, non è nel reticolato
    Del tramaglio squarciato dai delfini,
    non è nei barbagli dei suoi mattini,
    e non è nelle subacquee peregrinazioni
    di chi affonda con sé e col suo passato.

    Il mio sogno non è nell’autunno
    Fumicoso, avvinato, rinvenibile
    Solo nei calendari o nelle fiere
    Dei barbanera, non è nelle sue nere
    Fulminee sere, non è nelle processioni
    Vendemmiali o liturgiche, non è nel grido dei pavoni
    Non è nel giro dei frantoi, non è nell’intasarsi
    Della larva e del ghiro.

    Il mio sogno non sorge mai dal grembo
    Delle stagioni, ma nell’intemporaneo
    Che vive dove muoiono le ragioni
    E Dio sa s’era tempo; o s’era inutile.

Ecco il commento di Marco Forti su questa seconda parte dell’opera:

    «Nella seconda lunghissima sezione di Satura che dà il titolo all’intero volume, l’entropia, la polverizzazione degli oggetti simbolici un tempo caratterizzanti la poesia di Montale, si accompagnerà anche a quella delle idee e del mondo sociale come ridottosi a quinta grottesca di una scena deittica. Si tratti del bagaglio del volgar-marxismo o del metamorfismo cattolico di Teilhard de Chardin, dei voli interplanetari o dello sciopero generale, della storia o della poesia intesa come istituzione, si tratti di D’Annunzio o del suo proprio glorioso passato di poeta, tutto può divenire oggetto di irrisione e di dissacrazione da parte del poeta di Satura irrispettoso di tutto e di tutti, non più in grado a lottare per la salvezza degli altri per cui ha pur tentato, a suo tempo, l’impossibile».

Ragioni e motivi della svolta poetica di Montale in Satura.

Alcuni critici vedono nella quarta opera di Montale una continuazione del terzo libro La Bufera e altro, o quanto meno intravedono in questa temi e toni che preannunciano il tono e la svolta della sua quarta opere Satura.

Altri affermano che Montale ha fatto una svolta improvvisa e nuova per adeguarsi ai tempi nuovi che vanno dal 1945 al 1965. In effetti il nuovo clima culturale italiano del neorealismo e del Gruppo 63 hanno contribuito notevolmente alla svolta stilistica e di temi del quarto Montale.

Su questa scorta Luperini afferma:

    «Il ritorno alla poesia avviene, con Satura nel 1971, su basi in gran parte nuove. Dal punto di vista dei contenuti, si assiste a una violenta critica dei miti e dei tic della società di massa, attraverso l’uso prevalente dell’ironia e del sarcasmo. Dal punto di vista formale, è abbandonato il tono alto e spesso impegnato che aveva caratterizzato la poesia di Montale fino alla Bufera: il lessico si apre ai linguaggi speciali e ai termini di moda, la metrica tradizionale è respinta oppure esibita nelle sue forme più elementari con intenzione di parodia e di caricatura, lo stile alterna il parlato della prosa a citazioni di sublime con scopo straniante. Secondo una calzante metafora dello stesso autore, come i primi tre libri sembrano scritti in frac, il quarto sembra scritto in pigiama».

Ma è lo steso Montale che spiega le ragioni e i motivi della svolta poetica e lo fa nella recensione al libro di Vittorio Sereni Gli Strumenti Umani uscito nel 1965. Montale così spiega

    «la qualifica di poeta (e non il solo dirlo; ma il difficile comincia dopo, quando si è costretti a vivere sul rovescio della poesia, accettandone i rischi e le torture e la necessità di mimetizzarsi nel modus vivendi dell’uomo della strada). Una poesia così fatta, che dovrebbe tendere logicamente al mutismo, è pur costretta a parlare. Lo fa con un procedimento accumulativo, inglobando e stratificando paesaggi e fatti reali, private inquietudini e minimi eventi quotidiani, senza dimenticare che nel passaggio dell’uomo strumentalizzato l’officina e la macchina sostituiscono il già obbligato fondale della natura. Il linguaggio è ovviamente dimesso, colloquiale pur consentendo parole tecniche, allitterazioni interne e rapide interiezioni intese come altrimenti inesprimibili salti d’umore. A volte Mah! Ha valore di clausola musicale: è suono e insieme una somma di significati».

E parlando del linguaggio poetico di Satura Montale ha detto anche: il linguaggio poetico «apparentemente tende alla prosa e nello stesso tempo la rifiuta».

Marco Forti così spiega la svolta poetica di Montale in Satura:

    «Risulta esplicito il prezzo che anche un poeta della statura e della centralità di Montale, vero classico ormai di questo secolo, ha voluto coscientemente pagare, per non ripetersi, al flusso sempre aperto e in fieri della poesia come trasformazione, come espressione delle mutazioni che nulla privilegia ormai in un universo massificato, se non il continuo divenire del reale in linguaggio e in segni».

Alcuni giudizi critici su Satura.

A Satura, vero e proprio libro cerniera tra il vecchio e il nuovo, giornali, critica e pubblico decretarono subito un ampio successo.

Maria Corti elogiò il libro scrivendo: «Una nuova e palese componente diaristica attraversata da lampi di ironia e di desolazione».

Andrea Zanzotto scrisse che Satura era «un grande testamento imperniato sull’idea della vita come detrito».

Franco Fortini, invece, diede un giudizio limitativo: secondo lui l’opera mostrava i limiti del suo autore, responsabile di aver tramutato e così nascosto «il conflitto fondamentale del nostro secolo – quello sociale e politico – nel tema “eterno” dello scacco e della incomunicabilità».

Aspetti estetici di Satura.

L’amore, la fedeltà di Montale per Drusilla Tanzi, quel senso di ironia e di distacco che l'autore dimostra nei confronti della morte, così come appaiono espressi nella prima poesia di Xenia II

    La morte non ti riguardava.
    …….
    E neppure
    T’importava la vita e le sue fiere vanità e ingordigie e tanto meno le
    cancrene universali che trasformano
    Gli uomini in lupi.

    Una tabula rasa; se non fosse
    Che un punto c’era, per me incomprensibile,
    E questo punto ti riguardava.

fanno di Satura un vero e proprio capolavoro poetico.

Questa prima poesia richiama alla mente il bellissimo e tragico finale dell’ultima poesia di Sergio Esenin: «In questa vita, morire non è cosa nuova, / ma anche vivere, certamente, non è una novità».

Inoltre, il linguaggio nuovo e moderno di tutte le composizioni, quel linguaggio che apparentemente tende alla prosa e nello stesso tempo la rifiuta; i temi metafisici toccati (a chi non capita di dubitare della vita su questa terra, della stessa esistenza, ombre destinate a durare lo spazio di un mattino); la lexis delle poesie, aperta ed originale, varia e personale; il tono emotivo, vario e vivace, non basso e dimesso. Tutto questo invita a dissentire sul giudizio espresso da Franco Fortini (forse in quel momento indotto da ragioni che attengono più alla sfera della politica che quella della poesia).

La vera bellezza di Satura è nell'essenza di un'opera fondamentalmente metafisica, in contrapposizione – nel giudizio di chi scrive – a un'opera politica, come quella che Pier Paolo Pasolini produsse nel 1970, Trasumanar e organizzar, basata essenzialmente su fatti e problemi politici contingenti dell’Italia degli anni ‘60 e ‘70: un libro – di nuovo, nel giudizio di chi scrive – datato, eccetto per qualche piccola parte. Mentre Satura va al di là di un periodo storico e tocca i lettori per i sentimenti espressi, per la Weltanschauung ironica e pessimistica nello stesso tempo, che è valida in tutti i tempi.

La forma di Satura.

La svolta poetica di Satura verso la prosa è un dato di fatto. Lo stile si è fatto più colloquiale e aperto i temi sono presi anche da fatti minimi della vita quotidiana, ma ciò non sminuisce la forma nuova dei componimenti. Essi hanno ora una forma sciolta e fluida, un linguaggio alto e quasi prosastico, ma sempre vicino alla poesia. Le liriche presentano un lunghezza che varia dai 5 a poco più di 35 versi. Ogni poema ha una forma composta e unitaria, con versi liberi ma pieni di allitterazioni e un ritmo andante, più vicino alla poesia che alla prosa. Tutte le composizioni hanno la stessa struttura: il poeta esprime il suo giudizio sui fatti della società del suo tempo, oppure riporta antichi ricordi personali. Ripropone i temi già noti presentandoli sotto una luce nuova o giudizio inedito.

Ecco cosa scrive sulla forma e sui temi Giulio Ferroni:

    «In Satura II, insieme a questi spunti polemici, ritornano con maggiore insistenza oggetti, situazioni, figure del passato: nell’attrito con un presente vuoto di senso e pieno di rumori, di parole, di rottami, questo passato si stempera in un succedersi di segni grigi».

Satura appare come un’opera poetica strutturata e strutturante. Strutturata in quanto divisa in quattro sezioni parallele e corrispondenti. Strutturante perché dà inizio all’ultima fase della produzione poetica di Montale in cui dominerà una poesia libera da schemi prefissati e una poesia libera da una concezione metafisica gerarchizzata e finalizzata a Dio.

Ogni poesia pur rientrando nei temi di fondo è libera e autonoma e si può leggere per sé sola, tenendo conto però di tutto il contesto poetico. Si potrebbe dire che la caratteristica dominante dell’ultima produzione poetica di Montale sia quella che lui stesso usa per descrivere la personalità di Diamantina. In questa poesia (N°80): «Sfuggente, libera, e sfaccettata / fino all’estremo limite, pulviscolare».

Tale è ogni poesia dell’ultima produzione montaliana: «sfuggente, libera e sfaccettata / fino all’estremo limite, pulviscolare».

Assecondando questa caratteristica, ogni poesia va letta per se sola e nello stesso tempo in una nuova metafisica che è quella appunto quella che esorcizza la morte, ci libera da essa.

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 19 aprile 2006
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