Nel 1940 con la madre si trasferì in Inghilterra prima e negli Stati Uniti dopo, per tornare poi in Italia nel 1946 e scoprire che gli studi compiuti allestero non le potevano essere riconosciuti.
Ritornò così in Inghilterra dove si dedicò allo studio della musica e della composizione, quel linguaggio universale, quello dei suoni e dei ritmi, che, unitamente allavventura linguistica che la accompagnò per tutta la vita, resero unica la poesia di questa scrittrice apolide.
Fu inoltre anche con la traduzione che la Rosselli si cimentò, quando, ritornata in Italia nel 1948, a Firenze prima e a Roma in seguito, dopo la morte della madre, cominciò a lavorare per alcune case editrici e a dedicarsi a studi letterari e filosofici. Sono gli anni in cui comincia a frequentare gli ambienti letterari conoscendo nel 1950 lo scrittore Rocco Scotellaro che le presenta Carlo Levi, mentre è degli anni Sessanta la conoscenza dellambiente dell'Avanguardia, da cui quasi subito si distaccò, lontana forse dalle sperimentazioni prevalentemente linguistiche e dallimpronta in qualche modo maschile del gruppo.
Se nella sua opera possiamo parlare di sperimentazione, intesa come neologismi, di una lingua come abbandono a un flusso, come unione di più lingue, è perché la lingua della Rosselli fu una lingua del buio, del privato, e, in quanto tale, labirintica e priva di codici.
Fu Pasolini a scoprire la poesia di questa scrittrice, pubblicando nella rivista letteraria «Il Menabò», nel 1963, ventiquattro sue poesie e definendo la sua scrittura poetica una scrittura di lapsus, versi fatti di distrazione quindi, di una grammatica di errori nelluso delle consonanti e delle vocali.
Spazi metrici, opera del 1962, spiega proprio luso di questa forma dei versi, una grammatica dalle mille possibilità metriche, una musica dalle forme non codificabili, un confronto, come dice Maria Corti, tra «la durata del tempo fra una nota e laltra in musica e quella fra una sillaba e laltra in poesia».
Ma è Variazioni belliche la prima grande opera del 1964 pubblicata per Garzanti, una raccolta in cui si legge il ritmo faticoso della sofferenza, la fatica del vivere di uninfanzia dolorosa che aveva marchiato la sua vita di donna. Aggettivi come lattante e latitante mostrano limpronta della vita inconscia e psichica dellautrice, che latita, che è allorigine, liberando e chiudendo il verso in un frammentazione di emozioni che devono essere rimesse insieme. Una lingua personale quindi, una lingua privata che brucia «in un ardore che non può sorridersi».
Anche in Serie ospedaliere, raccolta del 1969, troviamo schegge del suo corpo, «vasi di tenerezze mal esaudite», «incontrollabile angoscia», come se fosse una decomposizione-ricomposizione di una scrittura in cui la ragione tenta di dominare la passione, fallendo, alla ricerca di una certezza, in continua nostalgia, urlata e soffocata, al ritrovamento di una tenerezza che potrebbe rasserenare, ma che è malata allorigine.
Disse bene il critico Pier Vittorio Mengaldo a proposito della lingua della Rosselli definendola come «un organismo biologico, le cui le cellule proliferano incontrollatamente in unattività riproduttiva che come nella crescita tumorale diviene patogena e mortale».
Una poesia furiosa fatta di solitudine, di silenzio, di morte è anche quella di Documento (1966-1973). I versi «Mi truccai a prete della poesia ma ero morta alla vita» rappresentano alcuni dei versi più esemplificativi della poesia della Rosselli, una poesia dove «la speranza è un danno forse definitivo», e dove il mondo è popolato da «elefanti ottusi».
Ottuso. Come a intendere ciò che non è compreso; e come comprendere del resto, se non vivendolo un conflitto interiore così forte,un buio fatto di interrogativi, alla ricerca della verità impossibile? Diario ottuso (1954-68) è un esempio di prosa della scrittrice ma di una prosa «difficile, interiore quanto la poesia» dice la stessa autrice, evidentemente autobiografico. Ma cosa poteva non essere autobiografico in una donna mossa eternamente dallamore e dal dolore? Verbi come partire, fuggire, non sapere, non capire accompagnano questopera, fatta di pensieri, seppur in prosa, profondamente poetici, di un avventura verso il «terreno nero».
«Ah, potessi avere la leggerezza della prosa» dichiarava essa stessa.
Ma la leggerezza non le appartenne mai. Le appartennero piuttosto la provocazione, la furia, la perentorietà, limmaginazione delirante. La passione che cercava una collocazione, la lingua che cercava una risposta, in tutte le lingue che sapeva, che conosceva, come lesperienza della raccolta Sleep (1992) ci dimostra, «la vita scritta su carta, là scorre il mio seme folle alla morte».
«Io non sono quello che apparo» aveva scritto in Documento. Lenvers dit la verité, aggiungiamo noi.
Amelia Rosselli, fragile e coraggiosa, visse gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove, morì suicida nel 1996.
Nel 1987 usci LAntologia poetica arricchita dalla raccolta dei Primi scritti (1952-63).
Ma è con un piccolo ma significativo libro, anticipato da una prefazione di Giovanni Giudici, e soprattutto da una lettera della poetessa alleditore, che ci piace ancora una volta far parlare Amelia Rosselli.
Da Impromptu (1981), parte XII:
Con la sua morte si è riposata la fatica, si è stesa la lotta.